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Torino Film Festival 2009: Santina – Medal of Honor – Guy and Madeline on a Park Bench

Santina – di Gioberto Pignatelli (Concorso) La Storia di Elsa Morante fa da spunto e filo conduttore per un’opera anomala nel panorama italiano: un giovane ragazzo dal terribile passato comincia una relazione con una vecchia prostituta. La sfrutta, la fa innamorare, ci fa sesso e pretende dei soldi. All’inizio del film accade il fattaccio: lui

pubblicato 21 Novembre 2009 aggiornato 2 Agosto 2020 07:58


Santina – di Gioberto Pignatelli (Concorso)
La Storia di Elsa Morante fa da spunto e filo conduttore per un’opera anomala nel panorama italiano: un giovane ragazzo dal terribile passato comincia una relazione con una vecchia prostituta. La sfrutta, la fa innamorare, ci fa sesso e pretende dei soldi. All’inizio del film accade il fattaccio: lui uccide lei con una forbice…

Il film di Pignatelli si può dire abbia il merito di tentare una via diversa rispetto al panorama para-televisivo di tanto cinema nostrano, così come La bocca del lupo di Pietro Marcello, il primo film italiano in concorso a Torino. Ma forse bisognerebbe ragionare sul fatto che per far “rinascere” il cinema italiano bisognerebbe semplicemente puntare su storie e trame scritte decentemente e girate con un po’ di stile, invece di buttarsi a capofitto con esperimenti che potrebbero rivelarsi fallimentari.

Purtroppo Santina non si può salvare. E’ una contaminazione lunga quasi un’ora e venti di video-arte, teatro e tanta letteratura, che mescolati assieme non ottengono il risultato di essere buon cinema. Tra deliranti animazioni, momenti forzatissimi e trovate “originali” che sanno di già visto, si assiste ad un delirio che non annoia solo perché si guarda con interesse a come possa essere stata girata la sequenza successiva.

L’errore più grande della pellicola, in realtà, sta proprio nel rapporto con il testo di partenza: da cui continua a rubare a piene mani frasi complete, scrivendole su ogni parte dei corpi dei protagonisti, sui muri e in ogni posto possibile. Però punta molto sull’eccentricità visiva, e poi, verso la fine, ti mette una voce off continua e pedante che recita ancora frasi intere. Santina è un film che, al di là di tutto, si contraddice, esagera, esaspera ogni suo aspetto e che per questo non può far altro che frastornare lo spettatore.

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Medal of Honor (Medalia de onoare) – di Calin Netzer (Concorso)
Ion vive con la moglie Nina: vivono di pensione e hanno problemi col riscaldamento in casa. In più è da un po’ di tempo che la moglie non gli rivolge la parola. Un giorno Ion riceve una medaglia al valore per aver fatto un’azione esemplare durante la Seconda Guerra Mondiale: potrebbe essere l’occasione per rifarsi agli occhi del figlio, che dopo anni sta per tornare a casa.

Nel momento in cui la cinematografia documentaria sta vivendo un momento di rinascita e di conseguente attenzione da parte della critica italiana, vedi anche l’ultimo, discusso Francesca, Netzer al suo secondo lungometraggio realizza un’opera che riesce a convincere pur con uno stile sobrio, ma mai noioso, bensì essenziale e ironico.

Medal of Honor dopotutto è “semplicemente” la storia di un padre che vuole regolare i conti col passato, mettersi in buona luce davanti al figlio che sta per ricontrare finalmente dopo tanto tempo, e dopo aver avuto problemi che è meglio non svelare, sullo sfondo di una Romania post-Caesescu che tenta di risolvere le sue contraddizioni e vivere con quello che ha.

Merita una segnalazione il bravissimo Victor Rebengiuc, che interpreta il protagonista Ion, alle prese con i mille problemi della vita, che sembrano peggiorare sempre di più man mano che il film prosegue e che l’uomo tenta di affrontare di petto con costanza. La sua è una recitazione ironica ed espressiva che lascia il segno. Attenzione il finale, che per stile e contenuto ricorda decisamente una scena di 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni.

Guy and Madeline on a Park Bench

Guy and Madeline on a Park Bench – di Damien Chazelle (Concorso)
Guy, Madeline: si conoscono e s’innamorano, poi si lasciano. Ognuno prende la propria strada. In mezzo ci sono la musica, la vita di tutti i giorni, gli incontri, il lavoro…

Damien Chazelle ha 24 anni: solo per questa merita un applauso. E’ un cinefilo accanito, e il suo film d’esordio, pensato inizialmente come un cortometraggio, fa vedere tutto il suo amore per il cinema. Il film è infatti girato pensando a Cassavetes, ma in mezzo ci stanno Godard, improvvisazione alla Warhol, e inserti musical tra canzoni e tip tap.

Girato in digitale con una fotografia in bianco e nero a tratti sorprendente a volte un po’ meno, Guy and Madeline è incredibile per lo stile che presenta: Chazelle riesce a ricreare movimenti di macchina, uso dello zoom, tempi, ritmi e addirittura il sonoro di tutto il cinema che vuole omaggiare. Ma il gioco si spezza dopo i primi venti minuti.

Viene il sospetto che Guy and Madeline sia essenzialmente una dimostrazione di bravura e conoscenza del pur talentuoso Chazelle, un compito orchestrato stilisticamente molto bene che però mostra la corda dopo un po’. Perché anche la trama, che è libera, apparentemente poco scritta, viene ricostruita pensando ai modelli prima citati.

Lo stile e la voglia “postmoderna” di stupire il cinefilo con una confezione del genere finiscono per incatenare il progetto e non farlo mai respirare troppo, perché la magia e l’urgenza di quel cinema non possono essere rifatti così. Resta una prova di un certo talento e un investimento per il futuro, sperando però che Chazelle scriva qualcosa di più personale, e non solo un collage di idee, ossessioni e passioni tutte derivate da conoscenze cinematografiche.

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