Home Trailer Una madre, una figlia: trailer italiano e tutte le anticipazioni sul film del regista Mahamat-Saleh Haroun

Una madre, una figlia: trailer italiano e tutte le anticipazioni sul film del regista Mahamat-Saleh Haroun

Tutto quello che c’è da sapere su “Una madre, una figlia”, il dramma transitato a Cannes diretto dal regista africano Mahamat-Saleh Haroun.

12 Aprile 2022 18:02

Dopo le tappe lo scorso anno a Cannes, Toronto e al Festival di Torino arriva nelle sale italiane il 14 aprile con Academy Two Una madre, una figlia (Lingui), un dramma di produzione francese che ci porta nell’odierno Ciad visto attraverso gli occhi di Amina e la sua unica figlia quindicenne Maria.

Trama e cast

La trama ufficiale: Nella periferia di N’djamena in Ciad, Amina (Achouackh Abakar Souleymane) vive sola con la sua unica figlia quindicenne, Maria (Rihane Khalil Alio). Il suo mondo, già fragile, crolla il giorno in cui scopre che sua figlia è incinta. La ragazzina non vuole questa gravidanza. In un Paese in cui l’aborto non è condannato solo dalla religione, ma anche dalla legge, Amina si ritrova a dover affrontare una battaglia che sembra persa fin dall’inizio…

Il cast di “Una madre, una figlia” include anche Youssouf Djaoro, Briya Gomdigue, Saleh Sambo, Hadje Fatime N’Goua, Hamid Khayar, Emmanuel M’Baide Rotoubam, Emmanuel Rotoubam, Aïssa Mbogo, Hawa Abdelhakim, Chanceline Allah-Odoum Guinlar, Darassalam Tahir, Djaïbé Noubadjim.

Una madre, una figlia – trailer e video

Trailer ufficiale sottotitolato in inglese pubblicato l’11 dicembre 2021

Clip ufficiale sottotitolata in inglese pubblicata il 6 luglio 2021

Trailer ufficiale italiano pubblicato il 25 marzo 2022

Curiosità

  • Il regista Mahamat Saleh Haroun parla del cineoperatore Mathieu Giombini con cui aveva già collaborato in Une saison en France e nel documentario Hissein Habré, une tragédie tchadienne: “Era stato primo assistente operatore in Abouna, che sono state le sue prime riprese in Africa e aveva fatto un ottimo lavoro. Era l’unico europeo che mi fossi portato in Ciad che non passasse tutto il tempo a fare commenti sui costumi e sulle pratiche locali. Per questo film gli ho chiesto di visionare The Pleasures of the Flesh, di Nagisa Oshima, per mostrargli il tipo di inquadratura che desideravo. Volevo anche catturare le sfumature dorate della luce che sono tipiche di N’djamena, l’aria notturna densa…Mathieu ha saputo come catturare tutto visivamente. Mi fido di lui, capisce molto velocemente che cosa voglio.
  • Mahamat Saleh Haroun parla della montatrice Marie-Hélène Dozo, sua collaboratrice di lunga data: “Ha lavorato con me fin dal film Daratt. Lei ed io siamo d’accordo nel pensare che bisogna dare tempo alle cose. Forse passerò per un vecchio dinosauro ma trovo che la nostra epoca sia sempre più stressante e precipitosa. Il cinema odierno non chiede più alla audience di guardare, ma di provare sulla sua pelle sensazioni estreme. Il mio cinema ha a che vedere con l’ascolto, è importante prendersi il tempo necessario per ascoltare i personaggi, rappresentarli con dignità, per catturare la loro complessità e la loro umanità. Ho la sensazione che questo punto di vista sia sempre meno prevalente. Grazie al cielo, esiste ancora una solida comunità di amanti del cinema in tutto il mondo che permette a film come i miei di esistere. Infatti, sembra evidente che ci sia un lingui internazionale di amanti del cinema, ed è un vero balsamo per l’anima.”
  • Le musiche originali di “Una madre, una figlia”  sono del compositore Wasis Diop (Iene, Ramata, Djogo). Diop e Il regista Mahamat Saleh Haroun hanno collaborato anche per Grigris, Une saison en France e Daratt – La stagione del perdono.

Chi è Mahamat Saleh Haroun?

Nato in Ciad, Mahamat-Saleh Haroun era già conosciuto dalla critica per i suoi cortometraggi, quando diresse il suo primo lungometraggio, Bye-bye Africa (Premio per la migliore opera prima al Festival del Cinema di Venezia nel 1999). In seguito ha diretto Abouna (Quinzaine des Réalisateurs, Cannes 2002), Daratt, La stagione del perdono (Premio speciale della Giuria Festival del cinema di Venezia 2006), Un homme qui crie (Premio della Giuria Festival del cinema di Cannes 2010), Grigris (Premio Vulcain per la migliore fotografia, Concorso ufficiale Festival del cinema di Cannes 2013). Hissène Habré, une tragédie Tchadienne il suo primo film documentario, è stato presentato al Festival del cinema di Cannes nel 2016 nella Selezione Ufficiale – Special Screening, Une saison en France è il suo primo lungometraggio girato in Francia, con protagonisti Eriq Ebouaney e Sandrine Bonnaire. Selezionato al Festival internazionale del film di Toronto nel 2017 nella sezione Special Presentations. New York ha reso omaggio a Mahamat-Saleh Haroun ospitando due retrospettive dei suoi film: nel 2006 presso il Museum of Modern Art (MoMA) e nel 2018 presso la Brooklyn Academy of Music (BAM). Nel 2010 Haroun ha ricevuto il Premio Robert Bresson alla Mostra di Venezia per le sue opere e nel 2013 la Medaglia Fellini conferitagli dall’UNESCO.

Intervista al regista

“Una madre, una figlia” è il suo primo film con donne in ruoli da protagonista. Quando è nata l’idea di realizzare questo progetto per parlare della condizione delle donne in Ciad?

Era da molto tempo che pensavo di rappresentare un ritratto di una donna ciadiana simile a quelle che conosco. Sono donne single, vedove o divorziate, che allevano da sole i loro figli. Spesso sono disprezzate dalla società, e nonostante tutto riescono ad escogitare un modo per tirare avanti. Conoscevo una donna che rimase sola con i suoi figli dopo la morte del marito. Per guadagnare soldi per la famiglia, iniziò a recuperare sacchetti di plastica per farne funi e venderle. Volevo ritrarre la vita di queste donne che vengono emarginate ma non vivono come vittime e non si considerano tali. Sono le eroine non riconosciute della vita di ogni giorno. In Ciad, ci fu un tentativo di far promulgare delle leggi che avrebbero aiutato le donne con la gravidanza e la contraccezione, qualcosa di simile ai servizi di pianificazione delle nascite, ma quelle leggi non furono mai approvate. Gli aborti sono proibiti, ma ci sono alcuni medici che li praticano per aiutare le donne in difficoltà.

“Una madre, una figlia” è un film che parla di donne, un film femminista. Esiste nella società del Ciad l’idea di femminismo?

Il femminismo non esiste come teoria o come credo, ma esiste nella vita di ogni giorno. Vedo giovani donne del Ciad che hanno conseguito titoli di istruzione universitaria prestigiosi e vorrebbero costruire una famiglia, ma non possono farlo perché la società disapprova il fatto che guadagnino tanti soldi. Sono considerate troppo indipendenti, troppo libere. Queste donne si riuniscono per parlare in modo sincero della loro vita, per condividere le loro esperienze, per aiutarsi e sostenersi a vicenda. Spesso sono madri single. Vengono disprezzate, ma le salva il fatto di guadagnare bene. Sono consapevoli della situazione in cui vivono, del loro essere emarginate, anche se grazie al loro reddito e al loro lavoro si trovano dentro il sistema. È un femminismo che non reclama nulla apertamente, ma che è estremamente attivo. Queste donne organizzano spesso delle raccolte fondi private e contribuiscono regolarmente a questi fondi per finanziare progetti differenti o per aiutare una persona in difficoltà. Così trovano il modo e i mezzi per resistere all’ordinamento patriarcale della società ciadiana. Sono sempre stato molto sensibile alle cause femminili perché sono stato allevato da mia nonna, una donna straordinaria. Una donna di grande carisma che ha lasciato un segno nella mia vita. Quando suo marito (mio nonno) prese una seconda moglie, mia nonna salì su un cavallo con suo figlio (mio padre) e fuggì. Mio nonno la raggiunse e le portò via suo figlio. Mia nonna non si risposò mai, né ebbe altri figli. Immagino che abbia avuto comunque altre relazioni, ma senza restare mai incinta. Mi piace pensare che abbia inventato la contraccezione in Ciad! Questa donna di grande volontà è sempre al mio fianco. Volevo rendere omaggio a tutte queste donne dallo spirito libero, battagliere come mia nonna.

Che cosa significa il titolo originale del film Lingui?

Si tratta di una parola in arabo ciadiano che significa legame o connessione. Più generalmente, è ciò che lega le persone per permettere loro di vivere insieme. È un termine che implica solidarietà, mutuo soccorso, aiutarsi reciprocamente a restare a galla. Io posso esistere solo se anche gli altri esistono, questo è il lingui, questo è il filo comune, il legame sacro del nostro tessuto sociale. Essenzialmente, si tratta di una filosofia altruista. La parola simboleggia la resilienza di una società quando deve affrontare problemi e prove terribili. E quando questo lingui viene spezzato, preannuncia l’inizio di un conflitto. Questa nozione di solidarietà proviene dalla nostra tradizione. Nel mondo moderno, la nozione di lingui tende a scomparire, perché chi governa l’ha distorta. Questa classe di governanti presta poca attenzione al lingui perché è spesso mossa da interessi egoistici a breve termine e si appropria in modo indebito di ricchezze per il proprio profitto, sebbene queste stesse persone che detengono il potere siano cresciute con i valori del lingui.

Come ha trovato le sue attrici, Achouackh che interpreta Amina e Rihane che interpreta Maria?

In Ciad praticamente non esistono attori professionisti, a parte le persone che hanno lavorato con me e che io considero professionisti. Achouackh aveva già rivestito un piccolo ruolo in Grigris. Quando ha letto questa sceneggiatura, ha voluto interpretare Amina. Ha detto che quel ruolo era per lei, mentre io avevo immaginato un’altra persona per quella parte. Ha vissuto a Los Angeles per qualche tempo ed ha molta familiarità con il cinema americano. È anche una madre, e poteva immaginarsi facilmente nei panni di Amina. Ha frequentato dei corsi per imparare come costruire da sola una stufa per cucinare, insomma ha studiato molto per interpretare la parte. Per quanto riguarda Rihane, non avevo preso in considerazione nessun altro per il ruolo di Maria. Appena ci siamo incontrati, mi sono sentito stranamente vicino a lei. È una ragazza brillante, e ha fatto un ottimo lavoro nei provini iniziali. La sua sorella maggiore aveva avuto una parte in Abouna, ma non sapevo che fossero sorelle e Rihane non sapeva che avevo diretto Abouna! Questa è stata un’altra coincidenza sorprendente. A volte devi credere nei segni, specialmente quando si tratta del processo creativo.

Ha incontrato ostacoli nel realizzare il suo film in Ciad?

No. Nei Paesi in cui i cinema non esistono, i film non rappresentano una minaccia per chi sta al potere. Il governo del Ciad ha problemi ben più gravi da affrontare che tenere d’occhio le mie opere. Sono considerato un intrattenitore ed i premi vinti dai miei film sono una fonte di orgoglio. Tutto qui. In Ciad esiste solo un cinema, nella capitale, e le stazioni televisive governative non diffondono i miei film quindi l’intera faccenda muore sul nascere. Ciò nonostante, i miei film vengono visti in Ciad da persone amanti del cinema, grazie ai video club e a cinema raffazzonati alla meglio in cui un monitor prende il posto di uno schermo cinematografico. Una volta, in un villaggio, in un video club locale un mio film ha battuto il record di numero di spettatori che fino a quel momento era stato detenuto da Robocop! Il mio film aveva avuto 5 spettatori in più, e ne ero molto orgoglioso.

Foto e poster