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Venezia 2021, Madres paralelas, recensione del film di Pedro Almodóvar

Tre madri, due storie, con la Spagna contemporanea a fare da sfondo. Più ambizioso del previsto l’ultimo di Pedro Almodóvar, Madres paralelas

pubblicato 1 Settembre 2021 aggiornato 3 Settembre 2021 08:49

Janis (Penelope Cruz) vuole sapere che fine abbia fatto il bisnonno, rimasto ucciso nel corso della Guerra Civile spagnola. Una ferita inevitabilmente ancora aperta, la Spagna un Paese che tutto sommato di recente si è emancipata dalla dittatura, con ancora non poche delle persone che sono state a contatto con quello scenario ancora in vita (il regime di Franco si conclude con la sua morte, nel 1975). Eppure Madres paralelas non è quel film lì, insomma, quello che ci si immagina. Almodovar preferisce fare un giro molto largo, finendo con il racimolare molto più di quanto non avrebbe fatto se una simile questione l’avesse presa di petto, frontalmente.

Basti, credo, soffermarsi sul titolo: si parla di madri, non di maternità. Sembra una precisazione un po’ fine a sé stessa, ma non lo è, mettendo in evidenza uno scarto notevole; di solito, infatti, certi film che evocano pagine di Storia così delicate, entrando a gamba tesa in dibattiti effettivamente politici, finiscono per astrarre dagli eventi che narrano, peccando di un eccesso di genericità, maneggiando maldestramente metafore che quasi sempre risultano essere espressione di una posizione netta. Certo, nulla di male nel prendere posizione, anzi, e non v’è dubbio circa quale sia l’idea di Almodovar; senonché il punto non è mai, in nessun momento, quello di ragionare per astratto.

Perché le protagoniste sono appunto madri, dunque donne, dunque persone. Ma sono anche spagnole, la cui cultura, la cui identità è perciò inevitabilmente plasmata anche dal passato; quel passato che è impossibile da seppellire e col quale forse non sarà possibile nemmeno venire a patti nell’immediato. Il personaggio della Cruz è l’ago della bilancia di questa parabola, lei una donna non più giovanissima che rimane incinta senza aver cercato la gravidanza. Decide di tenere il nascituro ed in ospedale incontra Ana (Milena Smit), lei si giovane, adolescente quasi, che invece è pentita. Accomunate da questa maternità vissuta in solitaria, senza uomini, le due stringono amicizia; un rapporto che ci metterà un po’ per consolidarsi, dopo una prima fase in cui ci si perde di vista.

La madre di Ana, Teresa (Aitana Sánchez Gijón), non sembra essere più di tanto toccata dalla situazione della figlia. Si capisce che anche il loro di rapporto sia stato travagliato, i genitori di Ana divorziati, il padre dall’altra parte della Penisola, la madre totalmente ripiegata su sé stessa. Tanto più che a Teresa è stata appena assegnata una parte importante per una pièce teatrale, e sebbene debba lasciare Madrid, dunque la figlia con la bimba appena nata, non ha alcuna intenzione di rinunciare. Da qui s’innesca il percorso che porterà Ana e Janis ad avvicinarsi ancora di più, con quest’ultima che ha un segreto che la sta schiacciando.

Effettivamente colpisce il controllo che Almodóvar riesce ad esercitare sul materiale, roba incandescente, sul punto di sgretolarsi pressoché ad ogni scena. Ti aspetti il melò, quello almodovariano per giunta, salvo poi ritrovarti un Almodóvar in tono minore, il che non è affatto un male, al contrario. La forza delle sue donne stavolta emerge più alla lunga, costruita con eleganza e padronanza pressoché ad ogni livello. Mettendosi al totale servizio della storia, raccontata in economia, con una semplicità che fa specie, tanto che qualcuno, erroneamente, potrebbe adontarsi per il registro che costeggia la telenovela, equivoco comprensibile ancorché poco fondato. La mano del regista quasi non si vede, il che agevola ulteriormente il vortice entro il quale si viene catturati, questo dipanarsi lento ma inesorabile, mentre monta ciò che non ti aspetti – è interessante come Madres paralelas giochi coi codici, sottoponendoci talune questioni in maniera mai troppo scontata, in primis il concetto di famiglia, qui esteso, allargato, forse finanche (volutamente) mistificato, ma che di certo prende le distanze dallo spot a uso e consumo di chi è entrato nel film aspettandosi che venga infilato a forza per la gola la recriminazione ideologica.

Sulla traccia inerente alla fossa comune su cui Janis intende indagare poi, a conti fatti, ci si accosta all’inizio, proprio a mo’ di preambolo, e nell’ultima fase del film. In mezzo, in pratica larga parte del racconto, a farla da padrone è l personale di Janis. Il punto è che proprio attraverso quest’ultima viene evocato qualcosa di gran lunga più profondo rispetto a quanto possa far filtrare la mera cronaca, quantunque romanzata. Janis, infatti, matura in quel mondo, nell’ambito di un contesto specifico, la Spagna contemporanea, e certe cose vanno inferite da situazioni apparentemente avulse, che non c’entrano nulla, almeno in superficie.

Come spiegare, per dirne una, il desiderio radicale di esternare una verità scomoda, pur sapendo di uscirne potenzialmente con le ossa rotte? All’apice della loro frequentazione, quando la relazione ha virato sui sentimenti, Janis non regge più e decide di vuotare il sacco con Ana; così, di punto in bianco. Eppure, se ci si fa attenzione, la piega in questione non è per niente improvvisa. Chi ci dice infatti che proprio la natura di questo loro rapporto, che le ha condotte a divenire amanti, non sia alla base viziato dal senso di colpa di Janis? Non per nulla in questa liaison amorosa non c’è alcuna rivendicazione, solo il naturale, verrebbe da dire organico sviluppo del rapporto tra due donne che si sono trovate in delle specifiche circostanze.

Ed è un qualcosa che aleggia per tutto il film, anche quando Almodóvar forse si rivela non proprio impeccabile; il che riguarda semmai un accento più che l’intera frase, non a caso senza mai pregiudicare l’andamento generale. Sviluppo e intreccio non risentono di forzature: di fronte abbiamo persone che si comportano come tali, senza che qualcuno rappresenti o stia in luogo di qualcos’altro. Questo evadere qualsivoglia tesi è con ogni probabilità una delle componenti più corroboranti, infondendo una verosimiglianza che sa di vita, specie nella misura in cui le toccanti vicissitudini di Janis in particolare, così come di Ana, danno adito a quel briciolo di speranza senza la quale tutto è perduto, ossia la speranza che presto o tardi la verità s’imponga. E, a differenza di quanto sostengono gli scettici, non è mai troppo tardi.

Madres paralelas (Spagna, 2021) di Pedro Almodóvar. Con Penélope Cruz, Milena Smit, Israel Elejalde, Aitana Sánchez-Gijón, Julieta Serrano e Rossy De Palma. In Concorso.

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