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Senza Arte né parte: Recensione in Anteprima

Senza Arte né parte (Italia, 2011) di Giovanni Albanese; con Vincenzo Salemme, Giuseppe Battiston, Donatella Finocchiaro, Hassani Shapi, Giulio Beranek, Ernesto Mahieux, Ninni Bruschetta, Mariolina De Fano, Paolo Sassanelli, Sonia BergamascoCosa potrebbe succedere se unissimo due mondi diametralmente opposti come quello dell’arte contemporanea e quello della fabbrica? Fatta questa domanda, Giovanni Albanese ha deciso di

pubblicato 3 Maggio 2011 aggiornato 1 Agosto 2020 12:51

Senza Arte né parte (Italia, 2011) di Giovanni Albanese; con Vincenzo Salemme, Giuseppe Battiston, Donatella Finocchiaro, Hassani Shapi, Giulio Beranek, Ernesto Mahieux, Ninni Bruschetta, Mariolina De Fano, Paolo Sassanelli, Sonia Bergamasco

Cosa potrebbe succedere se unissimo due mondi diametralmente opposti come quello dell’arte contemporanea e quello della fabbrica? Fatta questa domanda, Giovanni Albanese ha deciso di tornare al cinema 8 anni dopo A.A.A.ACHILLE, pellicola con cui vinse il Giffoni Film Festival. D’altronde chi meglio di Albanese, titolare della Cattedra di Decorazione all’Accademia di Belle Arti di Roma, e invitato al Padiglione Italia alla prossima 54^ Biennale di Venezia 2011, per girare Senza Arte né parte, film che nelle intenzioni voleva probabilmente aprire un dibattito sul concetto stesso di arte concettuale, fallendo malamente.

Perché pur affidandosi alla tradizione tragicomica della commedia all’italiana, e ad un cast sulla carta di primissimo ordine, Albanese finisce per dar vita ad un prodotto assai mediocre, spento, noioso ed annoiato, scontato e dai tempi comici appesantiti da una sceneggiatura mai frizzate e raramente originale. Provando a rappresentare la tanto decantata ‘arte’ di riarrangiarsi tipicamente italiana, con protagonisti tre operai di un pastificio divenuti falsari d’opere d’arte, Albanese gioca con la ‘riproducibilità’ dell’arte contemporanea, alimentando cliché e senza mai strappare una risata.

Salento. La crisi si fa sentire anche nel Pastificio Tammaro, costretto a chiudere improvvisamente la vecchia fabbrica, licenziando la squadra di operai addetti allo stoccaggio manuale. Al posto loro una serie di macchinari, puntuali, precisi, e privi di rogne. Per i tre licenziati la situazione è drammatica, se non fosse che Alfonso Tammaro, proprietario del pastificio, compra una collezione d’arte contemporanea, che viene provvisoriamente sistemata nel vecchio pastificio, con l’intenzione di vendere le opere. E’ il mercato del futuro, Tammaro ne è convinto. A custodire le opere Enzo, Carmine e Bandula, ovvero i tre licenziati di un tempo, a cui viene un’idea tanto folle quanto geniale. E se ci trasformassimo in falsari? Riprodurre le opere custodite da Tammaro, sostituirle e vendere le originali. Impossibile? Mai dire mai…

Il solitamente straordinario Giuseppe Battiston, il pur sempre ottimo Vincenzo Salemme, il simpatico Hassani Shapi, la bella e brava Donatella Finocchiaro, e un ‘gigante’ come Ernesto Mahieux a completare ‘l’opera’. Se il cast faceva ben sperare, Senza Arte né parte segue ciecamente il messaggio portatore della pellicola, riproducendo il titolo nella costruzione stessa del film. Senza Arte né parte, per l’appunto. Perché la buona idea alla base della pellicola si è purtroppo persa in fase di scrittura, e soprattutto in quella che riguarda più dettagliatamente la regia, soporifera per lunghissimi tratti. A risentirne, ovviamente, gli attori stessi, ingabbiati in una trama che sembra non decollare mai, lasciando un cocente amaro in bocca per quello che sarebbe potuto essere e purtroppo non è stato.

‘Criticando’ il senso stesso che solitamente viene dato all’arte contemporanea, Albanese da una parte prova a dimostrare come chiunque, anche un operaio con la terza media, può trasformarsi in ‘artista concettuale’ affermato e addirittura comprato a peso d’oro, mentre dall’altra ironizza sulla riproducibilità delle opere stesse, a volte talmente ‘semplici’ e inspiegabili da poter essere tranquillamente rifatte da chiunque. Nel farlo il regista si perde in una visione particolarmente populista, che va oltre la celebre riflessione warholiana sulla riproducibilità dell’opera, rimanendo infatti a galla, e senza mai scavare realmente al suo interno, finendo così per riprodurre all’infinito 90 minuti di quasi totale noia. Ed è un peccato…

Uscita in Sala: 6 maggio
Qui il Trailer
Voto Federico: 4