Home Festival di Cannes La semplicità della complessità – Appunti più o meno ordinati su The Tree of Life di Terrence Malick

La semplicità della complessità – Appunti più o meno ordinati su The Tree of Life di Terrence Malick

Leggi una delle possibili interpretazioni di The Tree of Life di Terrence Malick

pubblicato 22 Maggio 2011 aggiornato 1 Agosto 2020 11:42


Il post è PIENO ZEPPO DI SPOILER. Non leggete se non avete visto The Tree of Life.

Continuo a pensare una cosa che ho scritto fin da quando sono usciti i primi tweet di commento dopo la proiezione stampa di The Tree of Life: è un film che fa paura. Nel senso che mette in soggezione e fa un po’ paura criticare, ovvero analizzare, (ri)pensare, scriverne, e forse fa paura “schierarsi” (uno dei mali della critica, oggi). Ho visto ieri il nuovo film di Terrence Malick e vorrei dire la mia, anche se ne sono un po’ intimorito in prima persona, e infatti questi sono “appunti”, pensieri critici personali che spero possano stimolare un dibattito sul film.

Mi è capitato di leggere che The Tree of Life è un film sotto forma di poesia. Lo ha detto anche Brad Pitt in conferenza stampa a Cannes. Sarà, ma credo che bisognerebbe partire da altro per approcciarsi al film: ed è il fatto non secondario che Malick ha studiato filosofia, si è laureato e per un periodo l’ha anche insegnata. Lo si ripete spesso quando esce un suo film, e mi sembra un buon punto di partenza anche in questo ultimo caso.

Terrence Malick è quindi uno studioso di filosofia, e per un’analisi approfondita su The Tree of Life credo bisognerebbe avere qualche conoscenza (che personalmente non ho, mea culpa) sulla teodicea. Ce lo dice subito la didascalia iniziale, con i versetti di Dio a Giacobbe: “Quando io ponevo le fondamenta del mondo, tu dov’eri?“. Ripercorriamo velocemente la storia di Giobbe e accantoniamolo per un po’ (ma se avete visto A Serious Man non occorre il ripasso), tanto tornerà dalla finestra.

The Tree of Life - Foto di scena 1

Semplifichiamo: Giobbe viene messo alla prova da Dio diverse volte, prendendosi i suoi beni, i suoi figli e anche la sua salute. Gli amici sono convinti che gli sia successo ciò perché ha peccato, ma Giobbe sa di non averlo fatto. L’uomo non capisce il perché di cotanta gratuita sofferenza. Da qui scaturisce una domanda che ha tormentato secoli di filosofia religiosa e razionale: perché il male?

Malick per il suo The Tree of Life sceglie di partire da una storia che evidentemente ben conosce, almeno nelle sue radici più profonde (c’è chi ha parlato di “film autobiografico”): quella di una famiglia borghese che vive a Waco, Texas, negli anni ’50. Proprio nella città dove ha vissuto sin da ragazzino. Al di là dell’essere pretestuoso, il film è anche stato accusato di eccessiva banalità. Ma più che “banalità”, io parlerei di semplicità. Paradossale per un film del genere? Forse, ma non improbabile.

The Tree of Life - Foto di scena 2 Rubando una frase da Alberto Barbera, è incredibile “la verginità di uno sguardo capace di reinventare la banalità di un gesto quotidiano”. Già, perché la descrizione della vita familiare è perfetta e a suo modo sorprendente. Si vedano anche i momenti di gioco dei bambini “dentro” la nube di DDT, il loro sguardo verso gli orrori della vita (l’amichetto ustionato), la separazione di Jack dal proprio migliore amico al momento del trasferimento…

Questa semplicità si riversa anche nelle voci off dei protagonisti. Quelle voci off sempre presenti nel cinema di Malick sin dai primi due film (dove erano però voci narranti), e divenute cifra stilistica con l’amalgama di voci de La sottile linea rossa e le riflessioni filosofiche di The New World. Mi pare comunque che in The Tree of Life il contenuto di queste voci si facciano sì più “banali”, ma perché sono le solite domande-cliché che ci poniamo tutti. Sono banali le nostre domande di esseri umani e sono banali le nostre poche convinzioni, di conseguenza…

The Tree of Life - Foto di scena 3 Quali sono queste domande nel corso del film? Ad esempio tutte le richieste verso il Signore, perennemente interpellato dai protagonisti, sul perché si sia preso con sé il proprio figlio, o sul perché il proprio padre sia così cattivo (con conseguente pensiero di Jack bambino che vuole ucciderlo), e via dicendo. Preghiere, farfugliamenti, percorsi interiori. Ecco il punto: il percorso interiore.

Che ci sia una tensione verso l’alto nei personaggi dei film di Malick è sempre stato chiaro, così come è sempre presente l’innocenza di chi continua ad osservare la Natura come un John Smith sbarcato nel Nuovo Mondo. Ma dopo due film corali, The Tree of Life ci spiazza e ci fa un po’ perdere la bussola: perché, nonostante tutto, il protagonista è uno e uno solo. Va bene, le voci off ci sono per tutti, ma è Jack l’indiscusso protagonista del film. Un film che è un vero e proprio percorso interiore di una persona cresciuta in una nazione, in un periodo e in una cultura. Con tutte le conseguenze del caso.

The Tree of Life - Foto di scena 4 “Il film di Malick è un costante ricordare”, ha scritto il nostro Antonio nella sua recensione in anteprima da Cannes. Niente di più giusto: il film equivale ad un percorso personale, difficile e tortuoso come solo può essere quello dell’attraversare un canyon a piedi. E il ricordo esige una scrittura cinematografica tutta sua: così The Tree of Life non è lineare, ma scombina i piani temporali in modo simbolico e metaforico.

In una delle prime immagini del film, la voce off della madre (la splendida Jessica Chastain) ci dice che esistono due approcci alla vita: la via della Natura e la via della Grazia. Però parte della critica si è fatta trarre in inganno ed ha associato i due modi alla figura del padre (la via della Natura: istinto di sopravvivenza, rigidità e violenza) e alla figura della madre (la via della Grazia: amore, empatia). In realtà non è del tutto sbagliato, ma solo se si prende questa visione come quella di un bambino, Jack, cresciuto con due modelli a prima vista molto diversi. A prima vista, infatti.

The Tree of Life - Foto di scena 5 In realtà Natura e Grazia convivono e lottano dentro ogni uomo. Jack lo dice anche, dopo un bel po’: la madre e il padre continuano a lottare senza fine dentro di sé. Ed è un dolore fortissimo, aumentato dal lutto del fratello. Se il film tratta del lutto, della religione e dell’amore è perché è il contesto della Storia che lo prevede: temi che nascono fuori da sé. Siamo nel bel mezzo dell’America degli anni ’50, alle soglie della perdita dell’innocenza e dell’inizio della fine del Sogno Americano.

In questo The Tree of Life è un film profondamente americano quanto lo era La sottile linea rossa. E che cosa c’è in mezzo tra la storia di Jack piccolo, gli anni ’50, e di Jack grande? C’è La rabbia giovane, perfetto cult che ci racconta guarda caso la fine del Sogno americano e la perdita dell’innocenza. In The Tree of Life abbiamo la descrizione dell’educazione bigotta e severa impartita da un padre ai figli, della paura che fa sia a loro che alla moglie, della vergogna dei propri impulsi sessuali (emblematica la scena in cui Jack ruba la sottana della vicina e poi la seppellisce)…

The Tree of Life - Foto di scena 6 Alle soglie della perdita dell’Innocenza, si diceva. All’inizio del film ci viene detto che uno dei fratelli di Jack muore a 19 anni. Facendo un rapido calcolo degli anni, e unendo il risultato alla lettera ricevuta dalla madre e alla scena in cui il padre si trova all’aeroporto, credo di poter affermare che potremmo trovarci nei ’60 inoltrati. Si può pensare che il figlio sia morto in Vietnam (l’intervento americano comincia nel 1963)? La mia teoria potrebbe avvalorare la problematicità del rapporto religioso da parte di Jack, che spesso, come abbiamo già detto, interroga Dio sulla violenza e sull’orrore che vede attorno a sé.

Dopotutto il cardinale americano Spellman aveva detto che quella in Vietnam era una guerra santa: “Voi non solo state servendo il vostro paese, ma state servendo la causa della giustizia, la causa della civiltà e la causa di Dio. Noi siamo tutti uniti nella preghiera e nel patriottismo in questo sforzo”, scriveva il prete. Credo ci possa stare, soprattutto se si legge il film anche alla luce della sua cultura, del suo periodo storico e delle sua radici come abbiamo fatto fino ad ora. E la questione regalerebbe sfumature in più alla rabbia di Jack verso il padre, che forse ha lasciato partire orgogliosamente il figlio per la guerra.

The Tree of Life - Foto di scena 7 C’è a riguardo una cosa che mi sembra sia stata forse fraintesa: la scena dei dinosauri. C’è chi ha detto che si tratta di una metafora dello schiacciamento di un padre verso il figlio: ma come? Sono due specie diverse, e si vede, e mi sembra abbastanza chiaro che uno stia per uccidere l’altro, ferito sulla riva del fiume, salvo poi decidere di lasciarlo e andarsene. Trattasi di un momento di empatia (di Grazia?), e non c’entra nulla con il rapporto tra Jack e il padre. Un padre padrone senz’altro, ma non una figura totalmente bidimensionale: tornando alla semplicità di cui si discuteva prima, come non intenerirsi quando accarezza i piedi del neonato o gioca assieme ai figli?

The Tree of Life, più che un film anti-narrativo (la trama c’è: semplice ed emozionante), usa un certo tipo di montaggio sperimentale che nasce dal cinema russo d’avanguardia per andare oltre, per la prima volta, alle voci off. Ed è qui che dubito che Malick voglia raccontarci in parallelo la cosmogonia e la storia della famiglia del Texas: non ne vedrei sinceramente il nesso. Semmai usa la prima per dare nuova luce (filosofica) alla seconda, intrecciandole proprio grazie ad un montaggio emotivo ma anche più che sensato.

The Tree of Life - Foto di scena 8 Se The Tree of Life, come ci dice anche il titolo, è effettivamente un film sulla Vita, lo è anche sulla Morte, e non solo per il tema del lutto. Nel finale, la Terra si spegne assieme al Sole. E succede qualcosa che manda in cortocircuito tutto e tutti, fa andare in visibilio l’Osservatore Romano ed infuriare la critica laica. Siamo in Paradiso, con i morti che finalmente vivono assieme felici assieme tra le braccia del Signore? Tentiamo, nel nostro piccolo, di fare un po’ di ordine.

Prendiamo una scena del finale, in cui la madre di Jack accetta di dare il figlio deceduto al Signore. È un momento che effettivamente, per chi è ateo come il sottoscritto, è difficilmente digeribile, un rospo che in un’interpretazione laica rischia di spezzare tutto. Ma dov’è il confine tra religione e spiritualità? E la Grazia è la direzione verso Dio? Quindi il filosofo Malick andrebbe verso il Signore? Permetteteci almeno di dubitarne.

The Tree of Life - Foto di scena 9 Ma non sarebbe nel percorso di Jack riconciliarsi così con la religione. Beh, ma si dirà che quel che accade a Jack e alla sua famiglia è esattamente quel che accade a Giobbe (eccolo di nuovo!), che dopo aver sofferto viene premiato da Dio. Consolatorio. Ma The Tree of Life non era appunto un continuo ricordo/flusso di pensieri di una persona sola? Quindi inequivocabilmente anche il finale è solo e soltanto di Jack.

La dimensione è sicuramente spirituale, ma Malick va al di là di ogni (ogni!) religione, perché la Morte arriva per tutti. L’immagine del Sole che si spegne è lì non a caso. E il film resta un percorso in cui i ricordi sono metabolizzati. E poi “uccisi” (c’è qualcosa di simile in Inception, mi si perdoni il parallelismo che a molti farà storcere il naso). Altro che catechismo da oratorio. Il finale è la chiusa di un percorso privato e soggettivo che giustifica la cornice urniversale, ma sempre di percorso soggettivo si tratta.

The Tree of Life - Foto di scena 10 Non è mica un caso che ci siano solo persone viste durante il film e che hanno avuto relazioni con Jack, e che tra l’altro abbiano la stessa età di quando li abbiamo visti nell’arco dell’opera? E poi di chi è quella mano anziana che la madre accarezza, che si vede però in un brevissimo frammento? Quasi una scheggia impazzita dei ricordi del protagonista. Quel Paradiso non è affatto il Paradiso, semplicemente. È una condizione della mente, o forse del cuore. Un Paradiso della mente, del cuore e del proprio tempo. Che riconcilia, finalmente, con il proprio dolore: e chissene importa da dove viene il Male, a questo punto. Più “Grazia” di così…

Per questo Malick non mi sembra dia una bella lezione a nessuno, e per fortuna nemmeno di Bene vs. Male. Narra semplicemente una storia, una visione del mondo. Una possibile. In un modo così raro, potente e unico che oggettivamente non si vede spesso al cinema. Probabilmente da anni. Discutiamone, vivisezioniamolo, ascoltiamone ancora le tracce della colonna sonora (da quanto tempo non ne sentivamo una del genere?). Ma comunque teniamocelo stretto e lasciamolo anche riposare per un po’: al solito con questi film sarà il tempo a sentenziare…

Qui trovate la nostra recensione in anteprima da Cannes; qui trovate il trailer italiano.
The Tree of Life

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