Home Festival di Venezia Stray Dogs: recensione in anteprima del film di Tsai Ming-liang

Stray Dogs: recensione in anteprima del film di Tsai Ming-liang

Festival di Venezia 2013: luoghi, lacrime, figli, padri, madri, pietre. E poi Tempo, Amore e Cinema. Stray Dogs è l’ultimo film in assoluto del maestro Tsai Ming-liang: un’opera che s’inserisce perfettamente all’interno del suo cinema e va oltre, contro tutto e tutti. Con un finale che, per radicalità, entrerà nella Storia. Da Leone d’oro.

pubblicato 5 Settembre 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 10:28

Quando mai finirà il dolore dei sudditi dell’Imperatore?

Ci sono dei cani randagi ai margini di Taipei. Ci sono dei luoghi che ne sono addrittura pieni. I “cani randagi” del titolo dell’ultima fatica di Tsai Ming-liang sono però un padre, Lee, e i due figlioletti, Yi-cheng e Yi-chieh, vagabondi in una città dove piove un giorno sì e uno no, e che vivono alla giornata nei boschi e nei fiumi della periferia e nelle strade bagnate della città.

Di giorno il padre racimola una misera paga come uomo sandwich per appartamenti di lusso, mentre i due bambini sopravvivono con campioni gratuiti di cibo in giro per i supermercati e i centri commerciali. Ogni sera la famiglia trova riparo in un edificio abbandonato. Un giorno una donna che non conoscono entrerà nella loro vita…

La prima, lunghissima inquadratura fissa del film vede una donna che si pettina a bordo di un materasso posto per terra, sul quale stanno dormendo un bimbo e una bimba. Ci si mette pochi secondi, visto che quella donna non compare più, a capire che si tratta della madre, che sta guardando per l’ultima volta i suoi figli prima di abbandonarli.

Le inquadrature di Tsai bisogna viverle e leggerle, anche col senno di poi. Le si vive facilmente, visto che il regista è un maestro della costruzione e dell’architettura delle stesse. Si veda anche solo la primissima scena in cui Lee fa il suo lavoro in mezzo ad una strada trafficatissima. Sono soprattutto i suoni e i rumori del traffico, quindi anche il fuori campo, a creare virtualmente lo spazio.

Si viene letteralmente investiti da questo caos sia visivo che sonoro. Poi, con uno stacco netto, Tsai taglia su un campo lunghissimo su una spiaggia in cui non si sente praticamente alcun rumore. Campo lungo e campo lunghissimo sono i tagli di inquadrature preferiti dall’autore taiwanese, che tuttavia alterna anche primi e primissimi piani: questo alternarsi dà a suo modo il ritmo alla pellicola.

Stray Dogs è una pellicola tutt’altro che monotona, anche se difficile e complessa da digerire. Nonostante tutto i tempi del racconto di Tsai sono quelli delle inquadrature-mondo, quelle che sembrano non finire mai. Ma c’è molto da fare con queste inquadrature, ad esempio esplorarle in lungo e in largo per tutta la loro durata. Non è cosa da poco.

Se ne può poi ammirare la bellezza, sia nei colori (pazzeschi quelli notturni), sia nella posizione della macchina da presa (inquadrature sghembe, la mdp messa in posti impensabili), persino i giochi di specchi e vetri. A volte sembra che compaiano dei fantasmi, ma sono dei riflessi!

C’è poi un’altra cosa che non si può non ammirare, ed è il connubio tra pianosequenza di un’inquadratura fissa e gli occhi degli attori che piano, piano, pianissimo si gonfiano di lacrime. Tsai ridà un senso cristallino all’atto di piangere, e in almeno due momenti si resta francamente a bocca aperta per come gli attori siano riusciti a fare quello che fanno per gestire le emozioni dei loro personaggi.


Stray Dogs è un film di lacrime non solo perché le persone piangono, ma piangono addirittura le case. In una scena la donna che è da poco entrata nella vita della famiglia è a letto assieme alla figlia piccolina di Lee; racconta la storia della sua casa, che sta praticamente cadendo a pezzi. Dopo un allagamento causato dalla pioggia torrenziale, infatti, la casa si mise a piangere, e i segni, le righe delle lacrime sono rimaste sui muri…

I personaggi del cinema di Tsai Ming-liang sono spesso emarginati in cerca di qualcosa. Outcast solitari in cerca di conforto, di qualcuno da abbracciare, di un desiderio da realizzare. In Stray Dogs a prima vista ciò che il padre di famiglia cerca è soltanto un po’ di dignità per i suoi figli, che è costretto ad abbandonare a sé stessi durante tutta la giornata per fare quel lavoro umiliante e guadagnarsi due spiccioli.

Ma tra le pieghe del racconto si notano poi le assenze, le paure, i miraggi: come quel muro su cui sono dipinte delle macerie e che ha quasi il potere ipnotico di attirare la gente verso sé. Lo spettatore è chiamato in causa a riempire i vuoti e le cesure della narrazione, ridotta all’osso fino a scomparire. Tsai non racconta storie: dipinge corpi su paesaggi, spesso abbandonati. Come li sa rendere lui sul grande schermo, i luoghi abbandonati, non sa farlo nessuno.

Stray Dogs si presenta quindi a suo modo anche come un film-sfida. Di sfide il film ne mette in gioco parecchie: reietti contro sistema, famiglia contro società, sopravvivenza contro sentimento, cinema lento contro spettatore, e pure uomo contro cavolo…!

In una delle varie inquadrature fisse in pianosequenza, Lee trova sul letto il cavolo che la figlia tiene con sé. La bimba c’ha disegnato sopra una faccina. D’istinto gli viene da mangiarlo (ha fame, e quello dopotutto è un cavolo), poi dopo un po’ inizia a piangere disperato (dopotutto c’era dipinta una signora, Miss Tette Grosse!, e in più era il cavolo della figlia!).

Se è vero che i personaggi di Tsai sono alla ricerca di qualcosa che possa dar loro la pace nella loro infinita erranza nel mondo, pure lo stesso regista è alla ricerca di qualcosa. Le sfide dei personaggi e del regista si concludono nella parte finale del film, che è una roba che al confronto il finale di Vive l’Amour (ricordate?) è cosa che si può proiettare tranquillamente nei multisala.

Lee fa la sua scelta, e Tsai fa la sua. Coerentemente col suo cinema, va oltre tutto ciò che ha fatto finora. Stray Dogs è il suo ultimo film in assoluto, e oggi può quindi permettersi di ribadire che cos’è per lui il cinema e in che rapporto sta rispetto al tempo. Le ultime due-inquadrature-due lo dimostrano, mentre non dimenticano di portare avanti il discorso sui personaggi. Se non è puro, purissimo cinema questo…

Voto di Gabriele: 10
Voto di Antonio: 8,5

Jiao You [Stray Dogs] (Taiwan / Francia 2013, drammatico 138′) di Tsai Ming-liang; con Lee Kang-sheng, Lu Yi-Ching, Chen Shiang-chyi, Chen Chao-rong.

Festival di Venezia