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Escape Plan – Fuga dall’inferno: Recensione in Anteprima

Stallone e Schwarzenegger di nuovo insieme per Escape Plan – Fuga dall’inferno, thriller poco muscolare ambientato in una prigione da cui è impossibile evadere. Forse.

pubblicato 15 Ottobre 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 08:30

Chi è Mannheim? Non che il mistero di Escape Plan – Fuga dall’inferno ruoti attorno a tale quesito ma certo è che alla quinta volta che la domanda ti viene sbattuta sul grugno un pensiero ce lo fai. Tuttavia c’è anche da dire che non è da qui che il film comincia. Ray Breslin (Sylvester Stallone) è un genio che conduce una vita che tanti altri possono solo sognarsi: il suo lavoro consiste infatti nell’intrufolarsi nelle più svariate prigioni di stato, e fin qui ce la possono fare tutti. Ciò che lo contraddistingue da tutti gli altri ospiti di questi affollati edifici è una cosa ed una soltanto: che lui sa anche come uscirne senza che nessuno se ne accorga.

Esatto, il vostro rimuginare vi sta portando verso la direzione giusta: Breslin collauda prigioni. Sono finiti i tempi di Sorvegliato speciale (1989), quando Sly era costretto a metodi ben meno ortodossi per amore della libertà; stavolta nessuna minaccia di stupro può innescare la molla. No, è che col tempo il nostro non è più quello di una volta, sebbene la sua stazza suggerisca un passato alquanto irrequieto. E ci sta tutta. Giunti a questa tappa dell’esistenza, con non poche primavere sul groppone, meglio buttarla sull’esperienza, sull’astuzia, insomma fare tesoro delle lezioni apprese nel corso degli anni. Uno allora si aspetterebbe mascelle lussate, clavicole roteanti e nocche arrossate, invece. Beh, invece pare che l’avanzare dell’età renda più saggi. Quindi cambio di registro.

Uno dei limiti che risaltano maggiormente in Escape Plan lo si ritrova essenzialmente nel tentativo di dare vita ad un thriller accantonando un potenziale enorme alla luce delle pedine in gioco. Voglio dire, nel cast troviamo, giusto per fare altri due nomi, gente come Arnold Schwarzenegger e Vinnie Jones, due che per darsele più o meno con stile non si sono mai tirati indietro. E difatti una scaramuccia a testa ci scappa pure, se non fosse che è sempre troppo poco per un trio che dovrebbe alternare una battuta ad effetto ogni tre ceffoni. Dall’altro lato, a conferma dell’indirizzo che si è inteso dare al progetto, abbiamo nomi del calibro di Jim Caviezel, Vincent D’Onofrio e Sam Neill: tutti graditissimi, se non fosse che l’ultimo dei tre appena menzionati appare e scompare in maniera quasi mistica.

Ecco il punto. Tutto ciò che manca ad Escape Plan è una sceneggiatura che funga da collante a così tante buone premesse. Non sta a noi giudicare il rischio corso dalla produzione nell’affidare a Miles Chapman questo compito così gravoso, ma l’impressione è che a tutto ciò che mancava in termini di curriculum (?) si poteva in qualche misura far fronte con una bella dose di action-movie anni ’80. Certo, poco sopra abbiamo accennato ad un certo indirizzo, che effettivamente non depone a favore del contesto. Perché, diciamocelo pure, rimestare nel thriller con protagonisti di questo tipo è un po’ come cercare di montare la panna con le bacchette, ossia uno sforzo inutile. Il film si perde letteralmente in un bicchier d’acqua nel momento in cui fa di Sly un ex-avvocato che per motivi che sa lui si trova costretto sistematicamente ad escogitare piani di fuga a suon di equazioni e derivate. Ok, non è proprio così, ma diteci voi se avete mai visto una puntata di McGyver in cui quest’ultimo riuscisse a creare un sestante rubando, tra l’altro, un paio d’occhiali. Forse mai, direte voi, specie perché di solito McGyver non aveva a chi fare un occhio nero per avere ciò che gli serviva, trovando tutto sul posto con sospetta facilità.

Insomma, questo del reperimento delle lenti per un sestante è uno dei non tantissimi momenti in cui si sorride, magari con aria addirittura compiaciuta. Qui emerge una necessità che si avverte per l’intera durata del film, che si vive costantemente con l’ansia della scena d’azione seria che non arriva. Era tanto aspettarsi qualcosa di più muscolare? Evidentemente sì, perché le premesse suggerivano qualcosa di diverso, tendente al tenore già evidenziato.

Fatto sta che Escape Plan non parte male, perché l’idea piace. Finché non si entra in questo penitenziario di estrema sicurezza, progettato con tutti i crismi dal perfido Caviezel, forte delle nozioni apprese a menadito dal massiccio tomo redatto da Breslin, che tra una fuga e l’altra ha avuto anche il tempo di scrivere l’opera omnia circa la sicurezza delle carceri, roba che Bentham del celebre Panopticon non ha fatto altro che prendersela comoda.

La Tomba, questo il nome della prigione simil-hi-tech da cui il personaggio di Stallone deve fuggire. Ma oltre al fatto che non sarà semplice come le altre volte, in più c’è che qualcuno a ‘sto giro l’ha presa sul personale. All’interno stringe rapporti con un tale di nome Emil Rottmayer (il buon vecchio Arnoldo, che invecchiando migliora), il quale da subito si mostra oltremodo disponibile e già arruolato per una causa che non è la sua, anche se la possibilità di evadere schifo non gli fa. I due stringono questo insolito sodalizio, inaugurato (si fa per dire) con la battuta del film: si stanno prendendo a pugni, allorché l’uomo col pizzetto (Emil) sfotte l’altro dicendogli che picchia «come un vegetariano». E via di altre botte.

Tra una cosa e l’altra saltano fuori pure il Dr. Kaikev (Neill), un dottore che definire spaesato è un eufemismo, e Drake (Jones), il mezzo braccio destro del direttore Hobbes (Caviezel) che nell’ambito di questo ricorrente duo esercita il ruolo dei muscoli anziché quello del cervello. Allora, il dottore prima di eclissarsi ci lascia con uno dei momenti più divertenti del film, quando davanti ad un biccherino si prende di coraggio e torna su quel giuramento di Ippocrate oramai sepolto da anni di medicina, specializzazione e praticantato. L’altro, invece, si mette in mostra in una specie di baruffa dall’esito scontato, tanto che alla fine non si sa nemmeno se rimanerci male.

Per farla breve, resta qualche simpatico siparietto tra Sly e Schwarzenegger, merito più che altro dei tempi che furono, oltre ad un demenziale perciò interessante monologo dell’ex-Mister Olympia, che ad un certo punto vaneggia in lingua madre biascicando frasi prese un po’ da dovunque, compreso il celebre «Dio è morto» di nietzschiana memoria; il tutto, giusto per creare un diversivo (!). E dire che sul finire la caramellina ci viene pure data, solo che si scioglie subito e non lascia chissà quale gusto sul palato. In sostanza, più cazzotti e meno tedesco: ecco cosa serviva ad Escape Plan. Che per alcuni sarà in qualche misura godibile uguale per via del revival, ma a ‘sto punto meglio di gran lunga I Mercenari. Tutti e due.

Voto di Antonio: 5,5
Voto di Federico: 5

Escape Plan – Fuga dall’inferno (Escape Plan, USA, 2013) di Mikael Hafström. Con Sylvester Stallone, Arnold Schwarzenegger, James Caviezel, 50 Cent, Sam Neill, Vinnie Jones, Vincent D’Onofrio, Amy Ryan, Caitriona Balfe, Faran Tahir, Matt Gerald, Jeff Chase, Steven Krueger, Jaylen Moore, James Rawlings, John L. Armijo e Lydia Hull. Nelle nostre sale da giovedì 17 ottobre.