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Free Birds – Tacchini in fuga: Recensione in Anteprima

Reggie e Jake hanno una missione: non salvare qualche tacchino, bensì tutti i tacchini. Si viaggia nel tempo in Free Birds – Tacchini in fuga, primo divertente lungometraggio d’animazione di Reel FX

pubblicato 24 Ottobre 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 08:09

Dopo polletti (Chicken Little), formiche (Z la formica), api (Bee Movie) e porcellini (Babe) volete che uno spazio per i tacchini non si trovasse? A colmare tale lacuna ci pensa la texana Reel FX con Free Birds – Tacchini in fuga, al suo primissimo lungometraggio. In un’epoca di rivalità acerrima e nient’affatto a senso unico come quella tra Pixar, DreamWorks, Sony, Blue Sky Studios e Disney, ecco saltar fuori un potenziale antagonista, sebbene sia ancora presto (troppo presto) per pronunciarsi in toni così altisonanti.

Ma in realtà neppure interessa porre la questione in simili termini: Free Birds era e probabilmente è un titolo al quale non si tende(va) a concedere chissà quale credito. E diciamolo, sbagliando. Siamo dalle parti del dissacrante Shrek, da cui infatti vengono i produttori di questo film: qui, certo, non abbiamo quella solida impalcatura attorno alla quale costruire un discorso allegramente parodistico e che non si piglia mai sul serio. Resta comunque la scanzonata demenzialità che oscilla tra il grottesco e l’irriverente.

Reggie è un tacchino. Diverso dai suoi simili, con i quali condivide forzatamente la propria esistenza, lo si distingue subito se non altro per una cosa: è l’unico ad essere blu dal collo in su, dove tutti gli altri sono rossi. Non solo, sono pure stupidi, dannatamente stupidi. Adorano la propria condizione di bestie all’ingrasso, scambiando la via verso il mattatoio per la via verso il Paradiso, al quale anelano con inquietante trasposto. La loro, nondimeno, è un’imbecillità goffa, talmente forzata che non può che suscitare sorrisi più o meno intensi. E qual è l’appuntamento che più di tutti un tacchino teme se non il Giorno del Ringraziamento?

Tutti lo temono tranne uno, ossia il «tacchino graziato», quello che nientepopodimenoché estrae a sorte il presidente degli Stati Uniti d’America, sottraendo il fortunato pennuto dall’infausto epilogo. Si dà il caso che Reggie sia il fortunato, fortemente voluto da una bimba (la figlia del presidente) che non ha peli sulla lingua e che prima di lasciarsi andare ad un estemporaneo stato catatonico ha sempre l’accortezza d’avvertire. Da quel momento in avanti l’esistenza di Reggie cambia totalmente: pizza e telecomando hanno radicalmente stravolto il proprio concetto di vita, condannandolo ad un paio di pantofole ed una telenovela che è oramai vangelo per lui.

Finché non salta fuori Jake ed il film muta ritmo e forma, dopo un lungo preambolo che era ormai approdato a un punto morto. Jake è un tacchino missionario, per così dire, a seguito di un’apparizione avuta quando era ancora piccolo e senza un grammo di massa muscolare: fu allora che il Grande Tacchino gli diede il compito di abolire l’usanza di cucinare tacchini il Giorno del Ringraziamento, dotandolo di una fede cieca e di un pomello d’oro (?). Qui, peraltro, ha inizio l’avventura, con i due tacchini che riescono in maniera rocambolesca ad andare indietro nel tempo, laddove tutto ebbe inizio, ossia nel secolo XVII.

In Free Birds troviamo un po’ tutto, anche se in piccole dosi. Un po’ d’azione, un po’ di sentimenti, ma soprattutto tante risate. Non quelle talmente ingenue da far presa solo su un pubblico di bambini, bensì quelle un pelo più sofisticate ma non abbastanza per sfuggire proprio al pubblico verso cui è diretto questo prodotto, cioè i più piccoli per l’appunto. E non si può che sorridere compiaciuti nella scena della base, quando i due animali sfuggono alla sorveglianza: quest’ultima composta sostanzialmente da simpatici cretini, che si lanciano battute in schermo condiviso in maniera vagamente riconducibile a quella nota sequenza parodistica di Scary Movie (What’s uuuuppp?). Oppure quando Jake scopre come usare al meglio il proprio “cannocchiale”, innescando uno tra i vari, esilaranti paradossi.

E di passaggi così divertenti ce ne sono parecchi, riusciti nella misura in cui fanno leva sul nonsense, quello che, come sopra accennato, scorgiamo pure nei vari Shrek. I temi poi, per chi vuole vederli, ci sono pure: amicizia, fede, eroismo degli ultimi. Tutti leitmotiv che da tempo accompagnano certe produzioni e che oramai vanno per lo più riadattati a secondo del contesto. Chiaro, il rischio, nella misura in cui si appronta un discorso un attimino più elevato, è quello di incartarsi, di non riuscire ad amalgamare in ogni sua parte la congerie di episodi-sketch di cui un film come Free Birds è comunque costellato. Né ci interessa stare lì a fare le pulci ad una sceneggiatura che, considerate le premesse di cui abbiamo già fatto menzione, non si preoccupa nemmeno alla lontana di accarezzare gli intelletti dei più scrupolosi.

Free Birds, dunque, va preso così per com’è. Una simpatica variante dai toni demenziali non troppo accesi, girata bene, graficamente dignitosissima, doppiato come si deve pure in italiano e che si lascia tranquillamente seguire. Ma soprattutto rappresenta un bel modo per inaugurare quella che si spera essere una lunga e fruttuosa sequela di bei film d’animazione. Ché ce n’è sempre bisogno ed in fondo ce lo auguriamo in molti.

Voto di Antonio: 7

Free Birds – Tacchini in fuga (USA, 2013) di Jimmy Hayward. Con Woody Harrelson, Owen Wilson, Dwight Howard, Amy Poehler, Dan Fogler, Lesley Nicol, George Takei, Colm Meaney e Keith David. Nelle nostre sale dal 28 novembre.