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Asterix e il Regno degli Dei: recensione in anteprima

Le avventure del celebre gallico Asterix per la prima volta in computer grafica al cinema. Asterix e il Regno degli Dei è opera credibile quanto a forma e contenuto; senza abdicare alla propria natura e che, pur non eccellendo, offre spunti interessanti. Se vogliamo, pure attuali

pubblicato 12 Gennaio 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 19:02

Armorica, villaggio di scanzonati ma irriducibili galli, i soli che ancora resistono alla Roma imperiale. Resistenza che viene però messa a repentaglio dall’ultima trovata di Cesare, che intende costruire nel bosco lì vicino Il Regno degli Dei, complesso residenziale per la Roma bene, che in quelle zone può appagare il proprio desiderio di esotismo. In realtà però, manco a dirlo, il motivo è un altro: non hanno ceduto con le cattive, cederanno in altro modo questi galli.

Torna al cinema uno dei fenomeni che, dagli anni ’60 in avanti, ha accompagnato l’infanzia di tanti. Nel 1961 la serie a fumetti “Le avventure di Asterix il Gallico” riscuote un successo enorme, forse inaspettato, con 6 mila copie vendute. Dieci anni dopo il diciassettesimo albo, “Asterix e il Regno degli Dei” supera il milione di copie. Un invidiabile fenomeno di culto, che parte dalla Francia ma va ben oltre i confini francesi.

Molti di noi ricordano le serie TV, quelle che trasmettevano su emittenti che il solo evocarle ci parlano di un mondo che non c’è più, come TMC (Telemontecarlo), oggi La7. Quei centurioni sgangherati, genialmente tradotti in romanaccio qui in Italia, le cui pessime vicissitudini sembravano legate solo ed esclusivamente a questi stranieri duri a morire, che dalla loro avevano il saggio Panoramix, il solo capace di preparare la cosiddetta “pozione”, una brodaglia che rende invincibili – e che tutti possono bere eccetto Obelix.

Sul grande schermo si ricordano live action relativamente recenti come Asterix & Obelix contro Cesare (1999) Asterix & Obelix – Missione Cleopatra (2002) Asterix alle Olimpiadi (2008) e Asterix & Obelix al servizio di Sua Maestà (2012), che hanno stentato non poco nel catturare quel mood specifico, senza peraltro riuscirci. Asterix e il Regno degli Dei rappresenta il primo tentativo di far rivivere le avventure di Goscinny e Uderzo mediante la computer grafica. Scelta interessante, sebbene è altrove che va rintracciata la resa di questo film, su cui si è cominciato a lavorare nel 2012.

Al di là infatti della nuova veste, gli autori hanno per forza di cose dovuto far fronte a due fattispecie apparentemente conflittuali, o comunque non facili da conciliare: da un lato restare fedeli allo spirito dei vari Asterix, senza non soltanto snaturarne l’elegante comicità di fondo (roba d’altri tempi) bensì rendendola “comprensibile” a chi magari si affaccia per la prima volta su questi personaggi. Da qui la seconda fattispecie, che vuole un film in linea coi tempi, focalizzato su un pubblico di bambini ma rivolto anche ai grandi.

Non a caso la scelta de Il Regno degli Dei, che una sua attualità, anche se a limite con la tempistica, ce l’ha. Non è difficile scorgere nell’Impero, e nell’operato di Cesare, quello americano, con la sua “cultura” ed i suoi “riti” soverchianti, perché Roma deve stare sopra agli altri, sempre e comunque. Certo, in un lasso di tempo così ristretto, che è quello di un lungometraggio, non è semplice recuperare in toto quell’ironia di fondo, quella simpatica canzonatura che è un po’ il leitmotiv della serie TV per esempio, dove Roma, “padrona del mondo”, si regge su soldati goffi e sfaticati nel migliore dei casi. Asterix è sempre stato così, prendere o lasciare: non ha mai inteso fare storia, quanto semmai avvicinare alla storia mediante la fantasia.

Oggi, al netto di tutta una serie di misure tese a colpire soprattutto i più piccoli, ci pare che si sia tentata una strada che porta ad uno svolgimento un pelo più maturo. Riferimenti come l’aquila che sovrasta gigantesca il capo di Cesare vuole mettere in soggezione, cosa che i bimbi assimileranno in un modo, mentre magari ai più grandicelli toccherà accorgersi dell’esplicito riferimento.

Non solo. In chiave critica appaiono non poco interessanti personaggi del tutto secondari, ma più e più volte presenti, come lo schiavo nero che, sfatando un tabù comunicativo dopo l’altro, è il più aggiornato di tutti: colto, astuto, opportunista, dal linguaggio forbito, finanche omosessuale, come lascia a intendere un’estemporanea inquadratura di appena due secondi in cui viene colto a dormire nello stesso letto del suo “padrone”, un generale romano. Insomma, la contemporaneità fatta a persona; quella più sfrenata per giunta.

Piccoli accorgimenti che lavorano su una storia che, per carità, scende giù dignitosamente, ma il cui restyling non incide più di tanto. I galli devono ancora una volta restituire al mittente l’ennesima offensiva romana, che a ‘sto giro è più subdola, facendo leva sulla sfarzosità e l’imponenza di una cultura che genera di per sé fascino. Un fascino irresistibile, al quale infatti pressoché tutti gli abitanti del villaggio di Armorica non resistono, indossando quelle tuniche che sono un po’ i jeans di cinquant’anni or sono, o quale che sia l’indumento che più rappresenta una civiltà specifica. Fanno jogging sulle note dei Ricchi e poveri, cedono alle lusinghe della fiorente economia romana, dimenticando in poco tempo il proprio villaggio e le loro origini.

Un monito in fin dei conti sempre attuale, che arriva direttamente da quegli anni in cui la bagarre tra due visioni completamente opposte, capitalismo ed anticapitalismo, si davano le ultime mazzate, prima di mescolarsi e sciogliersi in quel post-modernismo per cui servirebbero tomi interi. Se insomma Asterix e il Regno degli Dei fa qualcosa è dunque riportare in auge un dibattito tornato di moda spontaneamente, a crisi cavalcante, mentre molti tornano a chiedersi se ne sia valsa la pena.

È chiaro, trattasi di uno strato ulteriore, che al massimo poggia su quello di maggior spessore, per cui questo nuovo Asterix è anzitutto un film concepito per trattare con leggerezza la vicenda di una cultura che intende a tutti i costi soverchiarne un’altra, sulla carte più debole, sotto ogni aspetto. Fare critica, insomma, o forse satira, quella intelligente. Solo ora ci accorgiamo che quest’ultima parte sta prendendo una piega à la Marcuse o chi per lui, perciò stop.

Il Regno degli Dei è un’operazione che non spicca su altre che sono state tentate negli ultimi tempi, tra un Tintin e un Mr. Peabody e Sherman. Nondimeno ha una sua dignità, sia a livello di forma che di contenuto, data anche la buona CGI, se non altro credibile. Dalla loro gli autori hanno che non si tratta della solita, svilente speculazione a tema, ma di un’opera ragionata (stando a certi passaggi, pure troppo) e che di raffazzonato non ha alcunché. Non mancano alcune chicche, quantunque si tratti di scene lungi dal sembrare indelebili, più che buone per essere consumate sul momento, salvo poi passare avanti immediatamente dopo che le luci si sono riaccese. Eppure qualcosa di quel mondo lì è rimasto, ma soprattutto ci pare sia stato ripescato e proposto con cura, con rispetto verso chi creò dei personaggi oramai consegnati alla storia, non solo del fumetto, ma ancor più di costume. Preservare, in questo senso, è già onorevole.

Voto di Antonio: 6½

Asterix e il Regno degli Dei (Francia, 2014) di Alexandre Astier, Louis Clichy. Con Alain Chabat, Laurent Lafitte, Géraldine Nakache, Alexandre Astier, Elie Semoun, Lorànt Deutsch, Roger Carel, Florence Foresti, François Morel, Artus de Penguern, Lionnel Astier e Baptiste Lecaplain. Qui trovate il trailer. Nelle nostre sale da giovedì 15 gennaio.