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Venezia 2012 – Bella Addormentata: Recensione in Anteprima del film di Marco Bellocchio

Tra polemiche annunciate, Bella Addormentata di Marco Bellocchio arriva a Venezia. In anteprima per voi, la recensione di Cineblog

pubblicato 6 Settembre 2012 aggiornato 31 Luglio 2020 22:28

Chiacchierato e discusso ancor prima di mettere piede nelle sale, Bella Addormentata di Marco Bellocchio sbarca al Lido. Era sul regista piacentino, senza false ipocrisie, che cadevano le speranze di molti riguardo all’Italia presente alla Mostra di quest’anno. In attesa di Un giorno speciale della Comencini ed avendo già visto E’ stato il figlio di Ciprì.

Un film, quello di Bellocchio, chiamato doppiamente a rappresentare il nostro Paese. Sia a livello cinematografico che sul fronte politico, aspetto che a quanto pare ad alcuni sta maggiormente a cuore rispetto a qualsivoglia istanza artistica. Ma dato lo scottante tema, eludere l’attualità appare pressoché impossibile, né tantomeno ci pare che l’argomento venga in qualche modo dribblato. Anzi, Bellocchio non si preoccupa di nascondere più di tanto il proprio giudizio, qui filtrato in maniera un po’ più discreta ma comunque ben presente.

Il resto, come lo stesso autore evidenzia, è frutto della scelta di non porsi limiti immaginativi, potendo quindi contare su più possibilità. Il ritratto non cerca compromessi e attacca su più fronti: Chiesa, Politica, ideologia. Ce n’è per tutti, anche se qua e là viene sparso il seme del dubbio. Bellocchio cerca di guardare alle ragioni di ognuno dei suoi personaggi, nel tentativo di agevolare quell’empatia che ci consenta quanto meno di comprenderne le ragioni.

Nel Febbraio del 2009 a tenere banco nei media nostrani è il tremendo dibattito sull’eutanasia, per via del caso inerente ad Eluana Englaro. Uno di quegli argomenti tabù, scabrosi all’inverosimile per quanto dividono letteralmente a metà il Paese. E come sempre accade quando una questione diviene di dominio pubblico e a carattere nazionale, certa Politica se ne appropria, scegliendo di volta in volta una delle due parti (perché sono sempre due, mai di più) e scontrandosi furiosamente con la parte avversa. Ma nel caso dell’eutanasia entrano in gioco anche altre dinamiche. La Chiesa, per esempio, si pone come primo e forse unico baluardo a difesa dei no a oltranza. Ma non si pensi che la questione si riduca ad un mero scontro ideologico.

Pensiamo alla figura del senatore Beffardi (Toni Servillo), schierato col Polo della Libertà e quindi contrario all’eutanasia per esigenze di partito. La sua non è una scelta, anzi. In piena facoltà, la sua coscienza lo spinge ad essere del tutto favorevole. Questo essenzialmente perché lui per primo si è trovato coinvolto in una situazione analoga, episodio che per forza di cose l’ha segnato a vita. Ecco perché certe logiche di partito, certe uscite dei suoi colleghi, lo infastidiscono, lo esasperano fino al tedio. La sua presa di posizione è dovuta ad altro rispetto alla Politica o anche solo all’ideologia. Uliano Beffardi, come tutti i protagonisti del film, soffre. Ed è tale sofferenza a pesare in maniera determinante.

Accade la stessa cosa con Divina (Isabelle Huppert). Ex-attrice, si è rintanata in una Fede vissuta in maniera distorta. E lo dice, allorquando ammette che il suo unico interesse è che la sua stupenda figlia si risvegli dal coma vegetativo in cui si trova. Sia chiaro, nessun giudizio, ma nell’episodio che coinvolge la Huppert vediamo due figure contrapposte: quella dell’attrice francese e quella di suo figlio (Brenno Placido). Entrambi, di opinione nettamente divergenti, sono mossi da tutto fuorché apparentemente dall’amore per la figlia/sorella. Entrambi in qualche modo egoisti perché anziché ragionare in funzione al bene della ragazza, in realtà si trovano vittime di sé stessi. Divina non riesce a staccarsi dalla figlia, travolta da un amore che è quasi possesso, poiché più attento ai propri di bisogni anziché a quelli della persona amata. Peggio ancora, il figlio è del tutto abbacinato dalla cieca ambizione che lo rode. Per lui la presenza della sorella è un ostacolo affinché la madre possa tornare ad esercitare la professione e quindi occuparsi della preparazione del figlio. Non desidera la morte della sorella: a lui andrebbe bene pure che si risvegliasse. Ciò che oramai non sopporta più, in poche parole, è l’attesa.

E qui emerge una chiave di lettura su cui poco spesso ci si sofferma con la giusta attenzione. Ciò che in ultima analisi divide è proprio il grado di sopportazione. Potrà sembrare banale, ma non è affatto così. Perché sostanzialmente il tutto si riduce, per così dire, nel contrasto tra chi intende aspettare e chi invece ritiene l’attesa inutile se non addirittura mostruosa. Per ognuno disposto a dirsi cauto, sostenendo di non essere autorizzato a disporre della propria e altrui vita (nel senso di toglierla), ce n’è almeno un altro che sostiene la medesima cosa, ma che proprio per questo ritiene sia giusto che ognuno scelga da sé. Un paradosso apparentemente inconciliabile, anche perché qui non si discute in merito a un aumento o a uno sgravio fiscale per qualche categoria. Qui è in gioco la vita di ciascuno di noi, non meramente di uno specifico ma altrettanto anonimo gruppo.

Bellocchio non lesina tra l’altro di citare la Bibbia per portare acqua al proprio mulino, come quando mette in bocca al figlio di Divina la parabola dei talenti per giustificare il rimprovero di lui nei confronti della madre, annullatasi per prendersi cura della figlia. Al tempo stesso, però, è attraverso il personaggio di Tognazzi che il regista si mostra più equilibrato, facendogli dire risolutamente che anche le opinioni (?) contrarie alle nostre posizioni vanno rispettate. Mossa astuta, questa, ma che si pone comunque su un livello differente rispetto a chi, tra la schiera dei favorevoli, non accetta in alcun modo che qualcun’altro ponga limiti di principio – come nel caso della Chiesa.

Ma la stoccata senza dubbio più violenta, Bellocchio la sferra ai danni della classe politica, tutta. In uno dei passaggi cinematograficamente più alti di Bella Addormentata, il senatore Beffardi ed uno psichiatra (il fenomenale Roberto Herlitzka) si confrontano all’interno di una sauna-bagno turco. Il lapidario discorso approntato dal dottore è oltremodo sarcastico, quasi irrispettoso (e non che ci dispiaccia, s’intende) nei riguardi del sistema politico e dei politici nello specifico. Gente frustrata, vittime anche’essi dello star-system come fossero vecchi divi di Hollywood. Stanchi, spenti, nevrotici e sì… alcuni pure ladri. Fino a quell’eccezionale epilogo, quando non ci resta che ridere amaramente dopo l’ennesima prescrizione di un farmaco calmante.

E di momenti carichi di una certa intensità non ne mancano. D’altronde Bellocchio ci sa fare, e questo non lo scopriamo mica noi. Le note meno positive emergono in relazione a certe interpretazioni, forzate, tacciabili di una teatralità a dire il vero fuori luogo. E’ questo il caso di Maya Sansa, che nel film interpreta una tossicodipendente. O Brenno Placido, a cui manca la spontaneità giusta per rendere la propria interpretazione indiscutibilmente credibile.

L’ultimo lavoro di Bellocchio, però, non risparmia nemmeno i media. Quei media a cui si deve un contributo determinante ai fini della frenesia di quei concitati giorni, settimane, mesi. Parecchie e disseminate per tutto il film i filmati di repertorio, tra interviste, sedute al Parlamento e TG. Una critica che pone anche televisione e giornali, su tutti, allo stesso livello di Chiesa e Politica in termini di responsabilità. Tutti mossi nella maggior parte dei casi da interessi che nulla hanno a che vedere con la Morale o con l’Etica. Un triste scenario, che la dice ancora una volta lunga su quanto dinanzi a sfide come queste si sia un po’ tutti impreparati.

Si parla tanto, e lo abbiamo fatto noi stessi poco sopra, di dibattito. Ma in realtà il problema è proprio un altro: dibattito non c’è stato. E se c’è stato nessuno se n’è accorto, visto che dal dialogo dovrebbe sempre venir fuori qualcosa. Certi maliziosi giochi semantici, frutto della tendenza ad un marcio legalismo che non tiene conto di niente e di nessuno. Da un lato si parla di “alleviare l’agonia”, dall’altro di “assassinio”. In entrambi i casi, anche se in maniera diversa, trattasi per lo più di un gioco. Uno in cui ciascuna della parti si deve produrre nella difesa migliore. Ma anche in questo caso, non siamo in tribunale. Perché quale che sia la propria posizione, è innegabile che in gioco non ci sia qualche anno di galera, ma lirrimediabile annientamento della persona colta da infermità. Annullamento per alcuni preferibile al dolore, alla sofferenza, per altri via sbrigativa per togliersi il problema.

Ed è anche scrivendo questa recensione che ci siamo resi conto di quanto possa essere difficile e provante portare a termine un progetto come Bella Addormenta. Ecco perché quest’ultima fatica di Marco Bellocchio non la si può liquidare così impunemente. Cercando di arginare la non taciuta parzialità, il regista tratteggia uno scenario efficace, perché al peggio solleva questioni importanti, al cui confronto siamo tutti chiamati. Non come cittadini, credenti, affiliati et similia. Come persone. Persone che debbono necessariamente appropriarsi della propria capacità di giudizio. Se non del tutto esente da condizionamenti esterni, almeno autonoma. Il che non vuol dire affatto che ogni posizione sia giusta in quanto tale; tutto il contrario. Ma se è Giustizia quella che si cerca, nell’accezione nobile del termine, il primo passo da cui partire è l’approfondimento. Non sarà certo l’indifferenza a risvegliare chi dorme.

Voto di Antonio: 7
Voto di Gabriele: 8

Voto di Federico: 7

Bella Addormentata (Italia, 2012), di Marco Bellocchio. Con Toni Servillo, Isabelle Huppert, Alba Rohrwacher, Michele Riondino, Maya Sansa, Pier Giorgio Bellocchio, Brenno Placido, Fabrizio Falco, Gianmarco Tognazzi, Roberto Herlitzka, Gigio Morra e Federica Fracassi. L’uscita nelle nostre sale avverrà oggi, 6 Settembre. Qui trovate il trailer ufficiale.