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The Assassin: recensione del film di Hou Hsiao-hsien in Concorso a Cannes 2015

Festival di Cannes 2015: ritorno in grande stile di Hou Hsiao-Hsien, che con The Assassin rivede il genere wuxia dalla testa ai piedi, ripensandolo a propria misura. Ne viene fuori un film che si vive come al cinema ma si osserva come un dipinto

pubblicato 21 Maggio 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 15:40

Nella Cina del IX secolo una ragazzina di dieci anni, Nie Yinniang (Shu Qi), viene sottratta ai genitori e cresciuta per diventare un assassino. In un territorio nel quale l’Impero si trova a dover fronteggiare la crescente ribellione delle provincie, Yinniang cresce sapendo di dover combattere corruzione e crudeltà, che sono all’ordine del giorno. Inviata a portare a termine il suo primo incarico, la ragazza fallisce, colpa che dovrà espiare tornando nel paese natio ad uccidere l’uomo a cui era stata promessa in sposa, ovvero il cugino, nel frattempo divenuto la guida militare della regione più grande del Nord della Cina.

The Assassin si abbatte sul genere wuxia come un uragano; Hou Hsiao-hsien lo stravolge dalle fondamenta, dando vita a qualcosa di unico, sinceramente inaspettato. C’è chi impropriamente ha parlato di action, e qui emerge una delle maggiori differenze rispetto al genere di riferimento: gli scontri, che eppure ci sono ed in più punti, in The Assassin diventano quasi secondari. Meno spettacolo su questo fronte perciò, a tutto vantaggio di un lavoro che si vuole più contemplativo, ancorato com’è all’immagine anzitutto significativa. Il regista cinese ci mette inevitabilmente del suo, ovvero del proprio cinema: montaggio ridotto il più possibile, movimenti di camera lenti e cadenzati, mai superare la barriera del campo medio al massimo.

A ripensarci ora Hou Hsiao-hsien sembrava il meno adatto per un simile progetto, consapevolezza che nel corso degli anni è stata sublimata dalla curiosità verso un esperimento così ardito, da parte di un regista il cui modus operandi, per così dire, non calzava esattamente a pennello. Ora, alla luce della nostra prima visione del film, non si può fare a meno di pensare che nessuno avrebbe potuto ottenere un simile risultato se non lui, così apparentemente avulso dal contesto di un genere che grazie al cielo non rispecchiava la sua poetica.

Ciò che abbiamo di fronte sono perciò una serie di dipinti in movimento, che scorrono come un flusso costante ma soave. The Assassin, è bene dirlo, è un film piuttosto impegnativo, che richiede senz’altro una certa predisposizione, o per lo meno un po’ di buona volontà. Meno di uno Tsai Ming-liang, certo, ma ugualmente bisognoso di un’attenzione fuori dai canoni. E come ogni flusso, la parte difficile è entrarci, ché una volta dentro non si deve far altro che lasciarsi trasportare, cullare dalla corrente. Un concetto su cui è peraltro imperniata certa cultura orientale, la cui paternità in relazione a questo lavoro è indiscussa e indiscutibile. È ovvio che il grado di coinvolgimento muta a secondo dello spettatore, che non è tabula rasa ma, dovendo espormi, personalmente a un certo punto ho addirittura “dimenticato” ci fosse una trama. Che, manco a dirlo, come avete appreso dalla sinossi di cui sopra, c’è ed è anche piuttosto affascinante.

Tuttavia è altrove che vanno ricercati i punti di forza di The Assassin. Per esempio nella sua innata grazia, dovuta ad una commistione di elementi, su tutti la preponderante presenza di figure femminili. Il film di Hou Hsiao-hsien è un film di donne, aspetto su cui non si può glissare così impunemente: da qui deriva anche una certa purezza, che non sapremmo come altro definire. Sì perché non si tratta semplicemente di donne, ma donne-cavaliere, dotate di un codice al quale credono ciecamente, con una fedeltà che è di per sé espressione di bellezza. The Assassin sembra un film venuto da un altro mondo, piovuto dal cielo senza apparenti ragioni; eppure è rassicurante sapere che c’è, che questo cinema esista e sia possibile accedervi.

Emerge una discrezione ed una precisione di regia più unica che rara; la distanza della macchina da presa rispetto all’azione e ai personaggi, i movimenti misurati, la ricchezza cromatica che non infastidisce in nessun caso, anche quando la nostra vista viene sottoposta ad accostamenti decisamente azzardati. Più in generale è l’armonia tra le sue parti a lasciare di stucco, poiché tutto concorre al risultato, in una somma di cose in cui nulla è mero dettaglio.

Per esempio, The Assassin è un film per lo più muto, ma per rendersene conto deve passare un po’ di tempo. Definire infatti verbosa la prima parte non è esatto, ma alla luce della piega che assume nella seconda si ripensa a quei dialoghi o monologhi che siano con un certo sollievo, perché davvero non se ne avverte il bisogno. Lungi da noi affermare che il film avrebbe potuto farne a meno sin dall’inizio: non sarebbe stata la stessa cosa evidentemente. Ma è innegabile che man mano che la vicenda procede e la storia va crescendo, di pari passo cresce anche l’intensità del film, il cui ritmo però non subisce particolari impennate. Gli scontri, la cui coreografia è per lo più minimalista (del tipo pochi movimenti, zero sangue e via discorrendo), altro non rappresentano che delle parentesi, totalmente integrate ma non più centrali, come abbiamo accennato sopra.

Ribaltando perciò la prospettiva dei wuxia, per certi aspetti analoga agli action, in cui la battaglia, l’atto vero e proprio del combattere, è il centro gravitazionale attorno al quale ruota tutto il resto, Hou Hsiao-hsien mette a soqquadro certe consolidate convenzioni. La sua di prospettiva è un’altra, ovvero quella di rendere il genere più avvezzo alla contemplazione, alla placidità di un’immagine che, anche quando non è statica, in nessun caso rischia anche solo per sbaglio di essere frenetica. Facendo leva su una fotografia mozzafiato, densa al punto giusto, estrosa ma non kitsch, che riscalda, rapisce ed ipnotizza. Quei luoghi prendono vita, ma la loro magia… come dire?… è realistica. Le persone che si muovono all’interno del quadro non sono corpi estranei, bensì elementi di tutta una serie di dipinti oltremodo suggestivi.

Alla luce di quanto scritto verrebbe da pensare che il film sia noioso, il che, sorprendentemente, non è vero affatto. Va senz’altro inquadrato, contestualizzato all’interno della propria categoria, questo sì. Per il resto è cinema al suo meglio, che tocca vette di eccellenza assoluta per cui questo mezzo lo si avvertirebbe in qualche modo monco, se non addirittura “sprecato”, qualora certi film non esistessero. Gusti e preferenze stanno altrove. The Assassin condensa un’idea di cinema fiero, senza essere per nulla esclusivo e indisponente. Dove anche l’utilizzo del tappeto sonoro è peculiare, fino all’apice di un tamburo che si appropria della scena orchestrandone i movimenti. Perché cinema è anche mood, sensazioni, percezioni… tutte cose che Hou Hsiao-hsien con questa sua ultima fatica stimola all’inverosimile, presentando il film più importante del Concorso. Nella peggiore delle ipotesi, senz’altro il più elegante. Una di quelle opere che dell’Arte prendono la parte migliore e la espongono affinché chiunque, se davvero lo desidera, ne possa godere come si gode di un quadro che ci catapulta in altri mondi. Questo è The Assassin.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”10″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Gabriele” value=”10″ layout=”left”]

The Assassin (Cina, 2015) di Hou Hsiao-Hsien. Con Satoshi Tsumabuki, Chen Chang, Shu Qi, Jack Kao e Nikki Hsieh.

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