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Venezia 2015, L’attesa: recensione in anteprima

Primo italiano in Concorso, L’attesa di Piero Messina si cimenta in Pirandello. Tentativo rischioso ma dall’esito interessante, sebbene molto si debba ad una stupenda Juliette Binoche

pubblicato 5 Settembre 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 13:01

Sulle pendici dell’Etna si celebra un funerale. La madre di Giuseppe (Juliette Binoche) riceve una telefonata; è la fidanzata del figlio che avvisa di essere in viaggio verso la Sicilia. Non è il momento migliore per riceve ospiti, specie in una villa così maestosa, in cui la donna abita da sola, aiutata da Pietro, un po’ il tuttofare. Ed infatti è quest’ultimo che va a prendere Jeanne all’aeroporto. Il clima è surreale: tante persone sparse per le varie ali della sfarzosa abitazione, volti contriti, nessun cenno, nessuna parola. Ci vogliono ventiquattr’ore prima che fidanzata e suocera si conoscano. Ma Giuseppe dov’è?

«È fuori, ma tornerà», dice la madre. Ne L’attesa non tutto è come sembra, per lo meno le dinamiche. Tratto da un’opera di Luigi Pirandello, non a caso se ne avverte il tratto, l’alone d’incertezza tipica di certe opere dello scrittore agrigentino, lo stesso di Così è se vi pare. E ci vuole coraggio per portarlo al cinema, perché le vicende pirandelliane ci sguazzano nella carta come un pesce nell’acqua; fuori si rischia di farle morire. Tuttavia l’esordiente Piero Messina qualche idea ce l’ha su come rendere questo passaggio accettabile, senza svilire troppo la fonte.

Riservando certe comprensibili risorse sorrentiniane al solo inizio, limitandole ai titoli di testa e poco altro nel film (il ballo sulle note di Leonard Cohen), Messina procede per il resto verso la propria strada. Seppure saldamente ancorati alla realtà, gli eventi de L’attesa sono intrisi di una dimensione meno netta, a tratti plumbea, a tratti trasognante. Più avanti scopriamo che questo non mettere mai entrambi i piedi in uno sfrenato realismo è essenziale per rendere credibile il twist conclusivo dissimulato (in realtà due, ma vabbè).

Poco alla volta comincia ad instaurarsi uno strano rapporto tra le due, con la ragazza che avverte qualcosa senza mai dar troppo conto a certe sensazioni. Dal canto suo la madre sembra gradualmente riguadagnare quella serenità che fino a prima dell’arrivo di Jeanne le era mancata. Tale ambiguità funziona a tratti, dato che a questo punto si segue lo sviluppo dei personaggi, non quella della vicenda, che permane in un limbo d’incertezza, come sospeso. Non a caso risulta inutile proseguire oltre, se non citando la Binoche.

È lei il film. Lo è la sua femminilità, la sua grazia, che riempiono lo schermo, riscaldano, “muovono”, tanto che non è possibile immaginare questo film senza di lei: da qualunque prospettiva lo si guardi, sarebbe un’altra cosa. Il che è di per sé un test implicito: l’accettazione de L’attesa è proporzionale all’apprezzamento dell’attrice francese. È lei che rende tollerabili certi insopportabili silenzi, il ritmo cadenzato anche se non contemplativo, “lusso” che Messina non si concede in nessun caso, ché già il tono rema in quel senso. Il giovane regista non disdegna di aggrapparsi «all’insolito», quello a cui tanto ambisce proprio Sorrentino. Ed allora la statua devozionale imbustata, con le sole mani visibili, che viene trasportata da un camion; il materassino gonfiabile; il bicchiere rigirato dal vento. Tutte licenze vagamente poetiche che scommettiamo tanti critici di casa nostra avranno trovato fuori posto, se non addirittura pretenziose.

Ma se L’attesa ha davvero un limite che rischi di vanificarne in toto la resa, sta nel suo scorrere esclusivamente in funzione della risoluzione finale. Fuorviati per appena qualche minuto, la “verità” di questa storia torna ad essere quella che è sempre stata dall’inizio. Un lungo preambolo che evidentemente deve cedere qualcosa in termini di ritmo, ma che non appena raggiunge il proprio culmine riprende le redini, e con esse anche noi.

Insomma, quello di Piero Messina è un debutto che non va a mio parere archiviato con troppa diffidenza. Al coraggio di accostarsi al testo di uno scrittore anche troppo ostico per il cinema, il regista siciliano oppone un approccio più “familiare” quanto alla messa in scena. Nella misura in cui non evita la trappola di certi film italiani cosiddetti d’autore, L’attesa può anche indisporre, è vero; ma se ragiono su come riesce inaspettatamente l’ultima, fondamentale parte, ritengo più sensata una certa clemenza, che non è accondiscendenza. Messina aveva bisogno di farsi le ossa, e gli strumenti non gli sono mancati. Che la sua voce non riesca ancora a distinguersi mi pare un peccato veniale nella peggiore delle ipotesi. Tutto considerato, il bilancio dell’operazione è positivo. Con una Binoche che sì, è salvatrice della patria. Ma può starci.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”6″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”6.5″ layout=”left”]

L’attesa (Italia, 2015) di Piero Messina. Con Juliette Binoche, Lou de Laâge, Giorgio Colangeli, Domenico Diele, Giovanni Anzaldo, Corinna Lo Castro e Antonio Folletto. Nelle nostre sale da giovedì 17 settembre.

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