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The Program di Stephen Frears: Recensione in Anteprima

Il regista di The Queen e Philomena per il più clamoroso imbroglio sportivo di tutti i tempi. La storia di Lance Armstrong diventa cinema con The Program

pubblicato 4 Ottobre 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 12:26

Per sette anni è stato l’incontrastato Re dello sport mondiale, e non solo del ciclismo. L’uomo che sconfisse il cancro per poi far suo il Tour de France, ovvero l’evento sportivo più seguito al mondo, per 7 edizioni consceutive. Nessuno come lui. Un campione, un eroe, un’icona, un bugiardo. Ci voleva un 74enne regista inglese da sempre molto legato alle ‘storie vere’ per portare al cinema la vita sportiva di Lance Armstrong, leggenda su due ruote passato dalle stelle dei trionfi a ripetizione alle stalle dello scandalo doping che l’ha travolto nel 2013, quando la maschera di ciclista tutto forza di volontà e sudore cadde sotti i colpi della verità.

Ascesa e caduta in poco meno di due ore per Stephen Frears, regista di Philomena e The Queen qui chiamato a tratteggiare i lineamenti della frode sportiva probabilmente più celebre e clamorosa di tutti i tempi. Nel farlo il regista si è affidato ad uno script di John Hodge, che ha preso spunto da Seven Deadly Sins: My Pursuit of Lance Armstrong, libro di David Walsh in Italia pubblicato da Sperling e Kupfer che ha provato a ripercorrere 20 anni della carriera del ciclista americano.

Perché la prima volta del ‘texano’ al Tour de France avvenne nel lontano 1993, all’età di 21 anni appena. Un ragazzino determinato e presuntuoso che Walsh conobbe e intervistò durante una partita a biliardino. Un discreto ciclista da tappe in piano, e non da sfiancanti competizioni, se non fosse che lui, Lance, fosse dannatamente ambizioso e pronto a tutto pur di vincere. Iniziò così a collaborare con Michele Ferrari, medico dell’EPO che attraverso un programma ad ‘hoc’ ricostruì l’atleta Armstrong, uscito malconcio dalla chemio per sconfiggere il cancro ai testicoli. Nel 1999, tornato miracolosamente a cavallo di una bici, un trasformato Lance stravinse il Tour de France, solo un anno prima uscito distrutto dallo ‘scandalo Festina’. Era stato annunciato come il Tour della rinascita e lui, quell’americano mai stato ‘competitivo’ come scalatore, sbalordì il mondo. Vetta dopo vetta. Nacque il mito Armstrong, in realtà sporcato dal programma di doping più sofisticato della storia dello sport, che di fatto permise a Lance e ai suoi compagni dell’americana US Postal di dominare il mondo del ciclismo per quasi un decennio. Solo un giornalista non credette alla ‘favola’ del miracolato, del malato di tumore che diventa Superman. Ovvero proprio quel Walsh che pochi anni prima aveva incrociato uno sconosciuto Armstrong, testando con mano il suo innato amore nei confronti della frode sportiva. Persino in una banale partita a biliardino. Contro tutto e tutti, vedi mondo del giornalismo e del ciclismo, Walsh non ha mai mollato la presa sull’icona idolatrata da mezzo mondo, scommettendo tutto, ma proprio tutto, sul proprio fiuto da ‘innamorato del ciclismo’. Sbancando il banco.

Un uomo ossessionato dalla propria celebrità, travolto dal peso delle proprie ‘responsabilità’, ingabbiato da decenni di vergognose e immorali menzogne. Un uomo che è stato prima mito vivente e poi truffatore epocale. Un uomo dai segreti inconfessabili e dal sangue ossigenato attraverso fiale e siringhe. Un uomo che per un decennio ha rappresentato l’immagine dell’eroe americano, in grado di rialzarsi dalle difficoltà della vita per poi conquistare il mondo. Ma a che prezzo. E con quali strumenti. Non avevano certamente un compito facile Frears e Hodge nel dover raccontare quello che è stato ‘l’imbroglio Armstrong’, tanto sfaccettato, affascinante, inquietante e ricco di contenuti. Non volendo scegliere i due hanno così incamerato tutto, spalmando poco meno di 20 anni in poco meno di due ore di film, snocciolando fatti ed eventi in modo lineare e cronologico. Il risultato, purtroppo, tende così a spiazzare. Perché se da una parte la ricostruzione storica conquista, grazie anche ad un intenso, somigliante e credibile Ben Foster e alle splendide riprese ‘su strada’ con telecamera montata sulla bici, dall’altra non appaga, perché nulla di nuovo viene effettivamente raccontato.

I vari protagonisti sono monodimensionali, quadrati e decisamente poco variegati. Lance appare come un diabolico narcisista che cede al Dio doping solo e soltanto perché ‘costretto’ da un mondo, quello del ciclismo, che non dava ulteriori possibilità a chiunque volesse anche solo lontanamente pensare di vincere. Walsh, interpretato dal ‘comico’ Chris O’Dowd, è l’altra faccia della medaglia, ovvero il giornalista ‘buono’ che moderno Don Chisciotte intraprende una battaglia personale contro i mulini a vento dei media, mentre Lee Pace è il cinico e senza scrupoli agente del ciclista americano, Jesse Plemons il pentito di turno che dopo anni di imbrogli si decide finalmente a ‘confessare’ i propri peccati e Guillaume Canet il pazzo medico ‘italiano’ (perché prendere un attore francese?) che novello Frankenstein diede vita allo sportivo inumano.

Passo dopo passo la truffa viene preparata, cucinata, mangiata e poi finalmente vomitata, attraverso una narrazione oggettivamente dinamica e quasi ‘sorrentiniana’ nel ricordare Il Divo, grazie ad innesti grafici che personaggio dopo personaggio ‘presentano’ i vari nomi della ‘Banda Armstrong’. Dedicato metà film alla ‘genesi’ dell’inganno e al primo trionfo al Tour, The Program scatta poi improvvisamente sui pedali volando indisturbato verso il traguardo, tanto da limitare ad una rapida ultima parte lo scoperchiamento del vaso di Pandora, a cui Frears avrebbe dovuto dedicare maggior spazio. Il castello di menzogne costruito in due decenni da Lance cade frettolosamente, tra pentiti, denunce sportive e quella storica confessione tv da Oprah Winfrey qui allestita e divorata in poche scene, al termine di una lunga e triste pagina di omertà sportiva e giornalistica. Perché tutti sapevano ma nessuno ebbe il coraggio di sbugiardare il ‘campione’, organizzatori del Tour in testa, in quanto accecati dall’abbagliante maschera dell’icona. Ed è qui che si fa spazio il doveroso atto di accusa nei confronti di un mondo, quello del ciclismo, affondato a causa delle proprie menzogne.

Se con il meraviglioso The Queen Frears era straordinariamente riuscito a raccontare quanto avvenuto in una drammatica ma epocale settimana di monarchia britannica, qui, dinanzi alla mastodontica fregatura Armstrong durata due decenni, ha invece perso lucidità nel didascalico racconto.

[rating title=”Voto di Federico” value=”5.5″ layout=”left”]

The Program (Usa, drammatico, 2015); di Stephen Frears; con Ben Foster, Chris O’Dowd, Dustin Hoffman, Lee Pace, Jesse Plemons, Elaine Cassidy, Guillaume Canet, Laura Donnelly – uscita giovedì 8 ottobre 2015.