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Straight Outta Compton: recensione in anteprima

L’ascesa dei N.W.A. da prima degli esordi fino al successo dei singoli componenti, Straight Outta Compton si concentra sui protagonisti di uno dei fenomeni più rilevanti del periodo, non solo per la musica

pubblicato 1 Ottobre 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 12:16

Raccontare la scena rap a cavallo tra gli anni ’80 e ’90: a priori sembra questo l’intento di Straight Outta Compton. Focalizzandosi su chi più di ogni altro ha contribuito a tale fenomeno, ovvero gli N.W.A., il gruppo formato da Dr. Dre, Eazy-E, Ice Cube, MC Ren e DJ Yella. Con un titolo che non funge solo da programma al film ma che, più semplicemente, è lo stesso del loro primo, storico album.

Prodotto, tra gli altri, da Ice Cube, il tentativo è quello di metterci a parte di talune dinamiche interne a questo gruppo di ragazzi di Compton che si barcamenano in un periodo in cui essere nero da quelle parti era di per sé una discriminante agli occhi del corpo di polizia di Los Angeles. Un luogo, quello, dove effettivamente il tasso di criminalità era alto e per i giovani dei quartieri popolari la vita di strada sembrava l’unica praticabile. Gli N.W.A. provano perciò ad emancipare il loro quartiere, e con esso la propria gente, a colpi di gangsta rap, compagine originaria dunque più “pura”, se vogliamo, di quel fenomeno che da quel momento in avanti assunse proporzioni enormi.

Il tutto esaurito ai concerti, feste assurde, una visibilità che fino al giorno prima semplicemente non era concepibile; a quanto pare questo repentino passaggio dalle stalle alle stelle è servito più al genere che ai diretti interessati, i quali hanno pagato a caro prezzo l’iniziale inesperienza, sebbene la storia abbia più che retribuito chi dapprima ha rischiato di venire risucchiato dal tritacarne del successo. Ma questo riguarda la vicenda, la storia in sé insomma.

Ciò che va tenuto in debita considerazione è la natura del progetto, rivolto ad un target specifico, ovvero agli appassionati. Non tanto per un certo specialismo, che Straight Outta Compton a dire il vero evita, quanto per il tono celebrativo che immancabilmente si coglie. Ed era forse troppo chiedere di evitarlo, sebbene il regista Gary Gray afferma di aver voluto dare un taglio realistico, raccontare dunque più che rendere omaggio; suppongo si tratti di una piega connaturata all’idea quella di propendere più per la seconda fattispecie. In tal senso risulta indicativa l’impressionante somiglianza dei protagonisti alle controparti reali, elemento che, unito ad una più che accettabile recitazione, acuisce quel senso di “documento” malgrado a conti fatti si avverta sempre l’incombere della ricostruzione postuma, dove perciò si ha avuto modo di smussare.

È andata così per filo e per segno? Chi può dirlo? Tanto più che un esperto in materia ha senz’altro più credito di chi scrive nell’inoltrarsi in questo tipo di valutazioni; in questa sede si rileva solo che la finzione non di rado prende il sopravvento e che la troppa patina appare un’evidente integrazione ad una storia, per così dire, ben più “sporca”. Sì, Straight Outta Compton si concede nudi, mezze orge, parolacce, violenza e chi più ne ha più ne metta, ma non è questo il punto; c’è tanto su cui soffermarsi a livello narrativo, leitmotiv come fratellanza, tradimento, tragedia, successo, dinamiche sociali. Dal generale al particolare, questa è una storia che dà adito a ben altro argomentare rispetto a quanto non si assista nel film. Ecco, l’impressione è che non si sia fatto abbastanza fondo a tali tematiche, che più degli eventi in sé avrebbe dato anche parzialmente ragione di un periodo in cui tra East e West Coast non correva buon sangue. Ma che soprattutto avrebbe potuto farci entrare meglio in quella vicenda lì, visto che al centro rimangono sempre le storie di tre personaggi in particolare, ovvero Dre, Eazy e Cube.

Un limite a conti fatti tangibile, poiché laddove i conoscitori nonché gli entusiasti dell’argomento qualche appiglio ce l’hanno eccome, gli altri rischiano di rimanere fuori e non per mero disinteresse. Che si è trattato di un fenomeno importante è fuor di dubbio, solo solo per il fatto che la cosa viene denunciata a più riprese; quello che manca pare essere una prospettiva “forte”, un punto di vista che vada oltre, che veicoli con più incisività la tanta, troppa carne al fuoco. Restano ad ogni modo apprezzabili scelte come quella di non eccedere nel rappresentare la lotta alla polizia di allora, proprio perché il livore viene contestualizzato ed anche episodi come la rivolta successiva al pestaggio di Rodney King viene rievocato con discrezione.

Straight Outta Compton va perciò preso per quello che è, ossia un omaggio in forma di dramma di finzione ad un periodo rilevante della storia della musica americana; specie in un’epoca, la nostra, in cui il rap ha oramai raggiunto un ulteriore apice di successo, pur cambiando. Difficile credere che con la rete a disposizione le nuove generazioni non abbiano già provveduto a farsi una cultura a riguardo, ed infatti non poche informazioni vengono date per scontate. Resta comunque che vedere i loro beniamini su schermo (Snoop Dogg e Tupac inclusi), malgrado attraverso il filtro dell’opera di finzione, resti un’operazione che può attecchire e che infatti negli USA ha già riscosso successo. Lo stesso che qui da noi con ogni probabilità non verrà a mancare, in proporzione certo. Anche perché non abbiamo sino a questo punto preso in considerazione il doppiaggio, che, anche nella più rosea delle ipotesi, non potrà in alcun modo rendere giustizia ad un contesto in cui parole, accenti, inflessioni ed espressioni sono fondamentali; d’altra parte chi vorrebbe mai ascoltare Fuck Tha Police tradotta in qualunque altra lingua? Grossomodo siamo lì.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”6″ layout=”left”]

Straight Outta Compton (USA, 2015) di F. Gary Gray. Con O’Shea Jackson Jr, Corey Hawkins, Jason Mitchell, Neil Brown Jr, Aldis Hodge, Paul Giamatti, Alexandra Shipp, Elena Goode, Keith Powers e Keith Stanfield. Nelle nostre sale da oggi, giovedì 1 ottobre.