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Junun: recensione del documentario di Paul Thomas Anderson

Intenso progetto a cavallo tra documentario e sperimentazione, Junun di Paul Thomas Anderson condensa in poco meno di un’ora un’accattivante lezione di cinema, con al centro la musica e soprattutto lei, mescolando antico e nuovo

pubblicato 14 Ottobre 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 12:05

Cos’è Junun? Davvero, rispondere a questa domanda non semplicemente si tratta di un procedimento stimolante, ma in fondo è anche l’unico modo per accostarvisi e discuterci attorno. Non è un documentario, ma lo è. Non un video musicale, ma anche qui… lo è pure. Se esiste un modo per definirlo, beh, è del tutto probabile che non sia stato ancora sdoganato.

Questo è il fatto: prima dell’estate Paul Thomas Anderson si è recato in India con Jonny Greenwood and Nigel Godrich dei Radiohead. All’interno della suggestiva cornice del forte di Mehrangarh, i tre si sono uniti a Shye Ben Tzur, compositore israeliano, e ad alcuni altri musicisti indiani. L’occasione era quella della preparazione di un disco che prende per l’appunto il nome di Junun. Senza entrare nel merito, Anderson si limita semplicemente a seguire il gruppo durante le prove.

Forte sarebbe, e di fatto è, la tentazione di lasciarsi andare ad un flusso d’impressioni, se non fosse più che altro per il rischio di eccedere nei termini oltre che nei toni. Diciamo allora che questa sorta di documentario (sì, sopra l’ho descritto in altri termini, ma mi limito a questa categoria, sennò non se ne esce)… dicevamo, questo documentario sta ad un videoclip come il making of che generalmente troviamo nella versione home video di buona parte dei film in commercio sta ai film stessi. Solo che non c’è nulla di esplicativo in Junun, che preferisce, lui sì, abbandonarsi alla musica e lasciare che sia lei a dettare tutto il resto.

Si tratta infatti di uno di quei casi in cui il flusso d’immagini, senza concedersi praticamente alcuna licenza poetica, riesce nondimeno a legarsi con la musica che non semplicemente le accompagna ma le guida. Ad Anderson basta soffermarsi sui volti dei vari artisti, di tanto in tanto sui loro strumenti, senza troppo curarsi di tutto il resto. Dovete sapere che Junun rappresenta un esempio di filmmaking talmente puro ed intenso che limitarsi ad una mera disamina è praticamente impossibile, senza dubbio inutile.

Possiamo tuttavia estrapolare alcune annotazioni e metterle nero su bianco, come l’esaltante mistura di nuovo e antico che contraddistingue più di tutto il resto quest’opera: il nuovo della tecnologia, tra la Blackmagic Pocket Cinema Camera e un drone, roba che «qui e adesso» sa a tal punto d’indipendente che non te lo aspetteresti mai da un regista indipendente sì, ma soprattutto affermato come Anderson. Il quale però riesce a mettersi da parte pure su altri fronti, che sono poi quelli che più contano, dimostrando di avere a proprio modo assimilato la lezione di Frederick Wiseman, a cui suppongo questo lavoro sia almeno in parte debitore.

Un’ora scarsa di suggestioni anzitutto sonore, mentre il drone entra ed esce dall’elegante sala allestita per ottenere il massimo dalle perfomance di questo gruppo che si muove all’unisono, trovando nel suonare insieme una forma di catarsi. Sì perché Junun, tra le altre cose, questo è, ossia l’illustrazione di un rito che, in quanto tale, è religioso. Basta la prima sequenza: tutti seduti a terra in cerchio, ciascuno a fare la sua parte, lucidi, presenti a sé stessi, mentre la musica si spande nell’aria come un balsamo che arriva sino alle nostre stesse orecchie.

Non neghiamo che per certe cose ci sia bisogno di un minimo di predisposizione, a livello di sensibilità sia filmica che (spendiamolo almeno un parolone) esistenziale. Diremo allora che Junun è anzitutto un resoconto, sorprendentemente gioioso anche se molto calmo, che non s’affanna a spiegare ciò che si vede né ciò che si sente. Parla attraverso altri canali quest’ultimo lavoro di Paul Thomas Anderson, che coglie le potenzialità di un ambiente così affascinante proprio perché antico, sapendo però di poterne amplificare la portata riservandosi l’opportunità di servirsi di alcuni gadget da geek consumato. Non so voi, ma riuscire ad unire il nuovo con il vecchio, anche se per un breve lasso di tempo, dovrebbe essere il sogno che ad ogni uomo sano di mente toccherebbe ambire per tutta la vita.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”8″ layout=”left”]

Junun (India/USA, 2015) di Paul Thomas Anderson. In esclusiva mondiale su MUBI a partire dal 9 ottobre 2015.