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Il viaggio di Arlo: recensione in anteprima del film Pixar

Recuperando il gusto per l’avventura, declinata secondo alcuni stilemi del western, Il viaggio di Arlo è un coming-of-age sui generis sul timore di affrontare la vita e l’amicizia trasversale. Altra cosa rispetto ad Inside Out, la cui vicinanza rischia di diventare più punitiva di quanto il film di Peter Sohn non meriti

pubblicato 24 Novembre 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 10:50

Siamo nell’anno di Inside Out ma la Pixar ha già pronto il suo prossimo film. Il viaggio di Arlo, almeno dalle nostre parti, sembra un progetto a cui Disney non pare credere particolarmente; vuoi per la prossimità con Star Wars: Episodio VII, vuoi perché il botto le cui ripercussioni si avvertiranno sino alla notte degli Oscar c’è già stato per l’appunto con Inside Out. Insomma, una finestra tutt’altro che propizia questa, ma da questi parti vi consigliamo di non sottovalutare il film di Peter Sohn.

Film d’animazione che recupera il gusto per l’avventura, declinata secondo alcuni stilemi del western, per quello che a conti fatti è un coming-of-age. La domanda da cui ha origine il progetto è la seguente: cosa sarebbe accaduto se milioni d’anni fa il meteorite che ha causato l’estinzione dei dinosauri avesse appena sfiorato il pianeta? Arlo è un dinosauro fortemente condizionato dalla paura; paura per ogni cosa, già alla nascita, quando manifesta una certa ritrosia ad uscire dal guscio dell’uovo. Sulla sua strada incrocia Spot, un giovanissimo esemplare di essere umano.

Emerge qui una delle intuizioni più interessanti, ovvero rendere l’uomo il cane dell’animale. Questo ribaltamento di ruoli, di gran lunga più efficace in video che sulla carta, comporta tutta una serie di implicazioni che, a conti fatti, reggono il film. Che alla Pixar lavorino eccellenze nell’ambito della computer grafica è un fatto; il punto è che non si tratta solo di tecnici dal know-how invidiabile, bensì di narratori. Sarà questa una parte considerevole del lascito di Lasseter, che negli anni si è circondato non di programmatori ma di storyteller a tutto tondo. La capacità di veicolare emozioni mediante la più banale delle movenze è uno degli aspetti che eleva da anni l’animazione al rango di cinema ancora più puro rispetto a tanto, tantissimo live-action.

Tanto che per l’intera visione del film non ci ha abbandonato per un istante l’impressione che Il viaggio di Arlo sarebbe stato un capolavoro qualora gli autori avessero optato per la via meno “sicura”, che è poi la stessa intrapresa in WALL·E, e con i risultati che sappiamo. Si tratta di girare un film muto, con dei personaggi che non parlano. Quest’ultima fatica Pixar, infatti, trasmette così tanto in quei frangenti senza dialogo che viene naturale soffermarsi su cosa sarebbe stata un’opera del genere, senz’altro meno accessibile ma dall’indiscutibile valore; oltre che tranquillamente alla portata di questo studio.

Solo che questo è e rimane un film per bambini anzitutto. Più che il parlato, c’informa di tale etichetta il character design, dato che il mondo del film è popolato di dinosauri ed animali in genere tendenti ai pupazzi, vuoi per i colori sgargianti, vuoi per i tratti rassicuranti e “cartooneschi”. C’è da capirli: in Disney sono rimasti scottati già quindici anni fa con Dinosauri, trentanovesimo film del canone ufficiale, il quale sì mostrava bestie decisamente più credibili ma che, per l’appunto, non andò come sperato.

Eppure, tornando ad Arlo, non è nemmeno vero che un pubblico di giovanissimi sia il solo target. Basti pensare alla struttura del film, che è un po’ un rifacimento dei vecchi western, chiaramente e forse anche giustamente annacquato, ma da cui riprende efficacemente, su tutte, almeno due componenti: anzitutto il mito, che è il genere su cui la storia viene costruita; in secondo luogo le numerose, intense panoramiche. Setacciando l’area a nord-ovest degli Stati Uniti, i creatori hanno ricreato degli scorci mozzafiato, tecnicamente superbi; un contesto che, in fin dei conti, potrebbe essere il vero protagonista, quasi personaggio aggiunto. Questo taglio così spiccatamente naturalistico rappresenta un’altra intuizione su cui vale la pena soffermarsi, sebbene brevemente.

L’impressione di cui sopra, riguardo alla possibilità di optare per un film muto, deve tanto proprio a certe immagini da cartolina, alle quali segue, oseremmo dire spontaneamente, un ritmo a tratti contemplativo. Ma soprattutto appare stranamente fortunata l’idea di inserire in questo mondo così “realistico” dei personaggi che di reale hanno poco o nulla. Un mix, questo sì, rischioso, la cui miscela sarebbe esplosa nelle mani di chiunque eccetto Pixar.

Tuttavia non vorremmo che certi accenni di natura tecnica o giù di lì fuorviassero più di tanto: Il viaggio di Arlo è, più di ogni altra cosa, un’intensa avventura di formazione, che perciò segna il passaggio all’età adulta di un dinosauro (che è come se fosse un uomo) e del suo fedele essere umano (che è come se fosse un cane). Sulla falsa riga de Il re leone, immediato riferimento sin dalle prime battute che a poco a poco si fa quasi omaggio. Di mezzo c’è tanta emotività, ben dosata, che sa colpire e fare un discorso incisivo, malgrado tutt’altro che inedito, sulla paura di stare al mondo, e perciò anche e soprattutto di crescere, di cambiare. Dando peraltro l’opportunità di assistere ad uno dei cerchi più commoventi della storia del cinema; un passaggio che, nonostante tutto, concentra la meglio Pixar che trovate nelle sue opere migliori. Migliori anche rispetto a questa, s’intende.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”8″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”8″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Gabriele” value=”6″ layout=”left”]

Il viaggio di Arlo (The Good Dinosaur, USA, 2015) di Peter Sohn. Con Raymond Ochoa, Jack Bright, Frances McDormand, Jeffrey Wright, Marcus Scribner, Steve Zahn, A.J. Buckley, Anna Paquin, Sam Elliott ed Alan Tudyk. Nelle nostre sale da mercoledì 25 novembre.