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Il viaggio di Norm: recensione in anteprima

Straniante parabola per più piccoli, a sfondo ecologista, Il viaggio di Norm sembra tutt’al più la brutta copia di ciò che avrebbe dovuto essere

pubblicato 31 Gennaio 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 09:03

Norm è un orso polare non proprio comune; non saprà cacciare, come gli altri suoi simili, ma in compenso sa ballare; non ha idea di come si guidi una comunità, eppure, a dispetto di certa sua goffaggine, c’è chi lo vede come il leader ideale. Il suo viaggio ha inizio quando la Greene Homes decide di portare nell’Artide delle residenze di lusso, deturpando così l’intera regione. L’unico modo per impedirlo è andare a New York, presso il quartier generale di Mister Greene, scoprire che fine ha fatto il nonno di Norm ed impedire che il losco affare vada in porto.

Ora, ci è piuttosto chiaro a quale tipo di pubblico Il viaggio di Norm si rivolga, composto per lo più da bambini, diciamo dai 3 ai 10, magari con famiglia al seguito. Trattasi di una componente essenziale, che informa ogni singolo elemento del film, a partire dalla scrittura. A breve si soffermeremo anche sull’aspetto visivo, perché anche questo in un film d’animazione ha un suo peso. Tuttavia dove il film si mostra davvero carente è proprio sul fronte della scrittura, per niente coadiuvata dal montaggio, va detto; specie nella prima parte, tempi morti, passaggi raffazzonati, tutte magagne che non abbisognano di chissà quale budget per metterci una pezza.

Nulla o poco da ridire sulla storia in sé, ennesima parabola naif a sfondo ecologista, tesa a sensibilizzare i più piccini seppur attraverso un contesto grottesco ed in fondo giocoso. Ciò che infatti può mettere in imbarazzo una persona più adulta, come certi improvvisi stacchi musicali con tanto di coreografia, può invece rivelarsi un prezioso divertissement per i più piccoli, ai quali i brandelli di trama vanno somministrati cum grano salis, visto la loro tendenza per lo più a viverlo un film anziché “comprenderlo”. D’altronde Il viaggio di Norm tenta di fare leva proprio su una struttura rodata, fatta di siparietti, sketch estemporanei. Si prendano i lemming: la loro presenza ad un certo punto diventa soverchiante, per quel misto di scaltrezza e tenerezza che vagamente li accomunano ai più celebri pinguini di Madagascar.

Allora Il viaggio di Norm va inquadrato come prodotto, incidentalmente cinematografico, poiché non si mostra in nessun caso interessato ad amalgamare la serie di rimandi, citazioni e finanche le proprie stesse intuizioni in un lavoro omogeneo. Il risultato è infatti scomposto, indisciplinato nell’accezione negativa del termine, a tratti alienante proprio a motivo di questa sua incapacità di legare i vari ingredienti da cui è composto. Questo è un limite che attiene già alla sceneggiatura, sì, ma che con una regia meno asettica (inutili almeno metà dei movimenti di camera, tra l’altro) ed un montaggio più competente avrebbe comunque potuto aspirare a qualcosa di più. Conseguenza? Ritmo surreale, chiaramente in maniera del tutto involontaria, finanche inconsapevole.

Sul fronte tecnico le attenuanti sono ben altre, e ci mancherebbe. Come sempre, però, lo stile va separato dalla tecnica; e qui si entra nella sfera della soggettività. Chi scrive ritiene questo tratto così cartoonesco, sempre uguale malgrado leggere variazioni, abbia fatto il proprio tempo, e chi debba osare di più anche a costo di fare brutte figure. Tecnicamente parlando, i limiti maggiori si segnalano su comparti come l’illuminazione, per esempio, a tratti rudimentale, vecchia non soltanto per gli standard di oggi ma anche per quelli di qualche anno fa. Stranamente tale aspetto appare gestito molto meglio in particolare in una sequenza, in mare aperto, di notte. Tuttavia il discorso è importante, poiché una buona illuminazione è requisito fondamentale ai fini di una credibilità visiva che trascende persino la qualità dei modelli, siano essi sfondi o personaggi; se ben illuminati, con annessa buona resa delle ombre e via discorrendo, se ne ricava un’armonia visiva che tende a farci passare sopra a tutto il resto. A queste condizioni, invece, con gli elementi in movimento praticamente “staccati” dall’ambiente entro il quale si muovono, l’effetto generato è straniante e addio sospensione d’incredulità.

I limiti di produzioni come Il viaggio di Norm possono dunque essere anche di natura economica, ma non solo. Come rilevato qualche capoverso sopra, sulla carta emergono delle “intemperanze”, dovute più che altro ad una cura ridotta, quasi che questa il lavoro ultimato fosse in realtà la copia in brutta, in attesa di essere trasposta in bella. Certo, non tutti possono permettersi il budget, e dunque il tempo, di certe compagnie blasonate, ma allora ci si domanda se non sia il caso di valutare bene quali sono le proprie possibilità e regolarsi di conseguenza, concependo progetti in linea con le premesse. Qui, come in altri casi, si ha davvero l’impressione che su tale fase si glissi direttamente, sperando che da un lavoro di rattoppo ne venga fuori, se non un capolavoro, qualcosa di anche solo accettabile. La realtà dei fatti, quasi sempre, ci dice che purtroppo non è così.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”3″ layout=”left”]

Il viaggio di Norm (Norm of the North, USA, 2016)di Trevor Wall. Con Bill Nighy, Heather Graham, Rob Schneider, Ken Jeong, Loretta Devine, Janet Varney, Colm Meaney, Zachary Gordon, Gabriel Iglesias, Jess Harnell, Michael McElhatton e Debi Derryberry. Nelle nostre sale da giovedì 4 febbraio.