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Baywatch: recensione in anteprima

Demenziale omaggio che rievoca a suo modo certi cinepanettoni d’antan, Baywatch è uno degli esempi più tristi di postmoderno applicato al cinema

pubblicato 31 Maggio 2017 aggiornato 28 Agosto 2020 05:34

Mitch Buchannon (Dwayne Johnson) non è un bagnino: è l’asse portante di un’intera comunità, un po’ come il prete di campagna fino a mezzo secolo fa. Tutti, ogni giorno, raccontano le sue gesta, di chi è stato salvato personalmente e chi invece, nella peggiore delle ipotesi, ha un parente che è ancora in vita grazie a lui. Baywatch (il film) nasce forse come omaggio alla nota serie, risolvendosi però in una sguaiata presa per i fondelli. Seth Gordon riesce, qualora possibile, a rendere ancora più fastidiosa una sceneggiatura di per sé già incline ad una mal calibrata demenzialità.

A partire proprio dalle primissime sequenze, Mitch-centriche, che dopo averci per l’appunto introdotto l’eroe di questa trasposizione, lo fa uscire dall’acqua modello spot pubblicitario per costumi da bagno professionali con dietro il massiccio titolo del film e tre delfini che ci saltano davanti (siamo a riva). Lì c’è tutta la portata del progetto, le intenzioni svelate senza alcun infingimento: state per assistere a una farsa. La curiosità però non viene meno, anzi; sai mai che il giochetto riesca e chi di dovere abbia trovato la chiave giusta.

Invece gli autori, in un impeto di postmodernismo nemmeno così tanto raffinato, si sono fatti travolgere. Baywatch è quello che succede quando vuoi sembrare sopra le righe ma al tempo stesso attenerti scrupolosamente a certe istruzioni, immiserendo il seppur gustoso spunto di tirarci su una grossa barzelletta di circa due ore, che invece sembrano quattro, tanto sono indigeste. Come un episodio scaricabile di Grand Theft Auto, però venuto malissimo, del tipo vorrei ma non posso; della nota serie videoludica, la cui menzione qui rasenta effettivamente la blasfemia, questo film condivide pure la medesima ossessione fallica. Solo che in GTA è di gran lunga più sofisticata, perciò divertente, più sensata.

All’inizio si tengono questa sorta di provini per integrare nel gruppo tre nuovi componenti; la spuntano un ex-campione olimpico (Zac Efron) caduto in disgrazia perché, dopo aver vinto le gare individuali, durante la staffetta ha lasciato una scia di vomito dovuta a una sbornia; gli occhi da cerbiatto della Daddario, la cui presenza non si spiega diversamente, dato che non le viene conferita alcuna specificità (no, nemmeno il seno prosperoso, ma su questo ci torniamo a breve); e per ultimo un nerd appanzato al suo secondo tentativo, imbranatello ma con un pacco mica da ridere. Questa squadra, capitanata da Mitch, deve sventare il piano della ricca, avvenente e diabolica Victoria Leeds (Priyanka Chopra), proprietaria del blasonato Huntley Club, confinante con la spiaggia entro cui operano i bagnini e rea di stare distribuendo sottobanco un nuovo tipo di metanfetamina o qualcosa del genere.

Come giustamente evidenziato da qualcuno, Baywatch si atteggia, senz’altro involontariamente, a Porky’s edizione 2017, dove però l’oggetto sessuale non è più la donna bensì l’uomo, intuizione entro una qualche misura accattivante. Femminista in pectore il film di Seth Gordon, che ribalta certe dinamiche in maniera talmente parodistica che le donne per prime dovrebbero avere qualcosina da recriminare dinanzi ad un simile contentino modello serata dell’8 marzo: dalla mimata sodomizzazione del nerd superdotato ad opera di una bionda e tendenzialmente mascolina Kelly Rohrbach (qui nei panni di C.J., ruolo che fu di Pamela Anderson), all’esposizione coatta del corpo statuario di Zac Efron, il cui personaggio è bellissimo ma stupidissimo (sulla falsa riga del Chris Hemsworth di Ghostbusters), passando per il pene di un cadavere in un obitorio su cui si riesce tutt’al più ad intavolare uno sketch di cattivo gusto.

Anni di giuste e doverose battaglie, sebbene talvolta esasperate, per restituire alla figura femminile quel briciolo di rispetto che per lungo tempo al cinema era andato smarrendosi, per poi trattare questa stessa figura con un’accondiscendenza francamente offensiva. Non un seno, non un’inquadratura di troppo su un fondoschiena, giusto qualche battuta sulla generosità della Daddario, a fronte di un’esposizione del corpo maschile quasi maniacale. Blocchiamo sul nascere possibili strali, come se qui il problema stesse nell’eventuale nudo in sé: si mostrino pure le grazie di chi si voglia, finché però la cosa abbia un senso. Senso che va ricercato non in istanze avulse dalla narrazione peraltro, sennò l’inserto si fa messaggio. Ed è proprio ciò che accade con Baywatch, che ci tiene così tanto a dirsi contrario alla cosificazione del corpo femminile da dimenticarsi che manca tutto il resto, ossia il film. Insomma, tanto ostentatamente indisciplinato su altri fronti così come estremamente docile su questo.

Ché a dire il vero qualche battuta potenzialmente sfiziosa la regalerebbe pure, quando l’impronta meta viene in qualche modo epurata da certi picchi squinternati ed allora si sorride per i numerosi nomignoli che The Rock appioppa al personaggio di Efron, tra cui One Direction ed High School Musical, quando quest’ultimo rileva che determinate situazioni si verificano solo in certe stupide serie TV, o quando sempre Dwayne Johnson incontra David Hasseloff, in un «Mitch contro Mitch» impossibile ma spassoso così per com’è. Seth Gordon non si fa nemmeno mancare le esplosioni, figurarsi. Un delirio meta imbevuto dello spirito di quel cinepanettone che, espulso fisiologicamente dal nostro cinema, si reincarna dall’altra parte dell’oceano ed irrompe in maniera non meno molesta: stesso disagio, stesso puntare alla pancia di certa audience.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”1″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”3″ layout=”left”]

Baywatch (USA, 2017) di Seth Gordon. Con Dwayne Johnson, Zac Efron, Priyanka Chopra, Alexandra Daddario, Jon Bass, Kelly Rohrbach, Ilfenesh Hadera, David Hasselhoff, Hannibal Buress, Jack Kesy e Pamela Anderson. Nelle nostre sale da giovedì 1 giugno 2017.