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Les Miserables: la recensione in anteprima

Fra i titoli di punta di questa stagione cinematografica e favorito agli Oscar, arriva sugli schermi il colossale musical Les Miserables

di simona
pubblicato 10 Gennaio 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 19:13

Epico, monumentale, magistralmente interpretato. La mia recensione di Les Miserables potrebbe concludersi qui. Il film di Tom Hooper arriva finalmente nelle sale – accompagnato da un’hype inusuale per un musical – e riesce a non deludere le aspettative. Accontenta chi (come chi scrive) i musical preferisce vederli a teatro, convinto che le performance dal vivo emozionino di più; accontentando anche chi, invece, preferisce vederli trasposti sul grande schermo, per godere di ambientazioni ed effetti visivi che sarebbero impossibili su un palcoscenico. Teatro e cinema sono perfettamente fusi ed amalgamati nella colossale produzione targata Universal, che resta fedele all’opera di Boublil e Schonberg pur vivendo di vita propria.

Siamo a Toulon, nel 1815. Sotto lo sguardo impietoso del carceriere Javert, un gruppo di forzati è al lavoro in un cantiere navale (la computer grafica non è il massimo, siamo disposti a chiudere un occhio!). Fra loro c’è il prigioniero 24601, Jean Valjean, condannato a 5 anni per aver rubato del pane con cui sfamare la sorellina e a 14 anni aggiuntivi per aver tentato la fuga. E’ il suo ultimo giorno di detenzione, ma la libertà tanto attesa non sarà dolce come l’aveva sognata. Tutti lo trattano da reietto, non trova alloggio nè lavoro. L’unico a trattarlo con gentilezza è il Cardinale di Digne che lo accoglie, lo sfama e gli salva la vita negando davanti alla polizia il furto di alcuni pezzi di argenteria che Valjean ha rubato durante la notte. Da qui avrà inizio il lungo e drammatico viaggio dell’uomo verso il riscatto e la redenzione. Nel film, il ruolo del Cardinale è stato affidato a Colm Wilkinson, amatissimo performer teatrale nonchè primo a vestire i panni di Valjean tanto nel West-end londinese quanto a Broadway. Il fatto che sia lui, quasi trent’anni dopo, a ricoprire un ruolo tanto fondamentale nell’economia della narrazione, è un bellissimo omaggio oltre che una graditissima chicca per gli appassionati (e la toccante e quasi mistica apparizione sul finale è la proverbiale ciliegina sulla torta).

La performance di Hugh Jackman su What have I done? è da brividi. Intensa, sofferta e davvero toccante. La scelta di registrare il cantato in presa diretta sul set – lo abbiamo già detto parlando della colonna sonora, qualche giorno fa – è assolutamente vincente. Le orchestrazioni perdono in grandiosità ed opulenza, ma le performance degli interpreti guadagnano in trasporto emotivo e alla fine il risultato è stupefacente.Le esecuzioni vocali spesso imperfette, le voci rotte dal pianto, sporcate da sospiri e sussurri, sono belle ed emozionanti come non mai.


L’azione si sposta a Montreuil sur Mer, 8 anni dopo. Qui Valjean si è costruito una nuova vita ed una nuova identità. E’ l’onesto e rispettato proprietario di una fabbrica oltre che stimato sindaco della città. All’interno della fabbrica facciamo la conoscenza di Fantine e con lei, dal momento del suo ingiusto licenziamento in poi, scendiamo agli inferi. La performance di Anne Hathaway, riuscita ad annullarsi totalmente per dare voce alla disperazione di Fantine, è da applauso a scena aperta. Una I Dreamed a Dream così non si era mai sentita. Sembra quasi un’altra canzone…lacrimoni e grande tifo: Oscar, please!!

Decisamente meno ci ha convinto Helena Bonham Carter e la sua Madame Thenardier. O si è voluto omaggiare Sweeney Todd (vista anche la presenza nella stessa scena di Baron Cohen-Pirelli) e non lo abbiamo capito, oppure semplicemente non si spiega perchè Mrs. Lovett si sia trasferita in Francia! La Bonham Carter è infatti vestita e pettinata come nel musical diretto da Tim Burton, perfino dotata di tritacarne in cui infila di tutto, code di gatto comprese (si vede che i micetti di Montfermeil sono meno veloci di quelli di Londra…). Cosa che un po’ stona e distrae lo spettatore. Per il resto tanto lei quanto l’istrionico Sacha Baron Cohen danno dignitosamente vita ai Thenardier, eccessivi, grotteschi e colorati quanto basta. E, a proposito di Thenardier: Stephen Tate, che per vari anni ha vestito i panni di Monsieur Thenardier a Londra, veste nel film i panni di Fauchelevent, l’uomo che Valjean salva sollevando il carro rovesciato e che successivamente lo aiuta a nascondersi assieme alla piccola Cosette (l’esordiente Isabelle Allen, assolutamente perfetta per il ruolo).

Altra nota stonata: Russell Crowe e la sua Stars. A parte la discutibile scelta di fargliela eseguire in bilico su un cornicione con vista su Notre Dame (e anche qui la computer grafica non è proprio il massimo), l’attore canta – più che discretamente, a dirla tutta – ma non interpreta, non emoziona. Sembra essere troppo concentrato sul canto per lasciarsi coinvolgere appieno dal contesto. Perfino la sua uscita di scena, svariate sequenze dopo, non è drammatica come dovrebbe. Forse si tratta di una scelta registica per rendere fino in fondo la figura di Javert fredda e granitica? Se così fosse, non ci è sembrata una scelta molto azzeccata… Meglio la Confrontation con Valjean alla morte di Fantine, in cui riesce a trasparire la furia trattenuta di Javert.

Se la Cosette di Amanda Seyfried non ci ha convinto al 100%, la dolce Eponine di Samantha Barks è invece, semplicemente, perfetta. On My Own è una delle scene più riuscite e più toccanti dell’intera pellicola, ed è quasi impossibile restare indifferenti alla sua A Little Fall of Rain fra le braccia dell’amato Marius. Il Marius di Eddie Redmayne sembra inizialmente non reggere il confronto con l’Enjolras di Aaron Tveit, perfettamente in parte. Si riscatterà con un’Empty Chairs at Empty Tables da pelle d’oca e lucciconi, dove la musica si fa da parte per lasciare spazio ai sussurri ed ai dolorosi ricordi. Bellissimi i funerali del Generale Lamarque che fanno da sfondo a Do you hear the people sing? in una Parigi in odore di imminente rivolta. Bravissimo il piccolo monello Gavroche Daniel Huttlestone (anche lui, come la Barks, arriva dalla produzione teatrale di Les Miserables). Stupendo il finale, con le reprise di Take my Hand e Do You Hear the People Sing? sulle barricate.

Sinceramente non so come il pubblico italiano accoglierà il film o quali risultati la pellicola riuscirà ad ottenere al botteghino. Probabilmente, chi non ama i musical finirà col trovarlo noioso (facciamo una doverosa precisazione, così da evitare che una volta in sala qualcuno commenti “ma cantano ancora?“: tutti i 152 minuti della pellicola sono cantati. Dal primo all’ultimo); chi invece ama il genere lo amerà alla follia. Les Miserables è una festa per gli occhi oltre che per le orecchie!

Voto di Simona: 8,5

Commento di Antonio Maria Abate

L’unico motivo per non accompagnarvi per mano fino all’uscio della sala senza alcuna riserva risiede essenzialmente nella durata: chi non apprezza particolarmente il musical, forse (e sottolineo forse) farebbe bene a darsi un’ulteriore chance con qualcos’altro. Perché per il resto Les Misérables rappresenta un più che affascinante esempio di trasposizione dal teatro al grande schermo: intenso, sfarzoso, vibrante. Hugh Jackman a tratti fa letteralmente accapponare la pelle, tanto la sua performance è viscerale. Una cosa che forse non è stata detta ma che certamente qualcuno evidenzierà, è che al passaggio dal palco alla pellicola Les Misérables si è davvero reincarnato in altro. Sembra un’affermazione banale, me ne rendo conto, ma in quante occasioni certi musical ne sono usciti “snaturati” al di fuori del contesto nel quale sono stati concepiti?

A suggerirci tutto ciò sono anzitutto le interpretazioni, che si vivono come al cinema e si ascoltano come a teatro. Il tutto si alimenta di una specificità propria, ammaliante, magicamente slegata da una trama che grossomodo si conosce. Stavolta, nonostante le comprensibili remore per quell’Oscar peregrino del 2010, bisogna ammettere che la regia di Tom Hooper pesa e cattura: la propensione ad una lunga serie di poetici primi piani rappresentano la cifra stilistica di questo film, cui non manca qualche altra soluzione accattivante.

Ma come tutti i musical, propongo una prova: nel momento in cui non farete più caso al cantato, avvertendolo spontaneamente naturale, quasi scontato, e nonostante questo riuscirete a mantenere gli occhi sgranati, allora vorrà dire che il tutto funziona. Questione di sensibilità, s’intende. Les Misérables nasce a priori come un prodotto non per tutti, ciononostante non disdegna di tendere la mano anche ai meno avvezzi e per nulla cultori del genere.

Voto di Antonio: 8

Commento di Gabriele Capolino

Sostanzialmente, l’idea di regia di Tom Hooper è quella de Il discorso del Re: un continuo cambio di tipi di inquadrature diverse (e abbondanti primi piani) con l’aggiunta dell’uso della macchina da presa a spalla che fa un po’ venire il mal di mare. Qualcuno dovrebbe dirgli che la ricerca continua della “firma” non fa di lui un autore: ancora si deve capire di preciso dove Hooper voglia andare a parare.

Sicuramente con Les Misérables ha voluto cercare il musical cinematografico “definitivo”, quello totale e final. La purezza del palcoscenico e i grandi mezzi del kolossal si fondono sul grande schermo: canzoni eseguite dal vivo e pomposa computer grafica (da mani nei capelli), interpretazioni sentite e dolorose e grandi movimenti di macchina e scenografie opulente. Ma che fatica stare dietro a Les Misérables, anche per chi è avvezzo ai musical.

La scelta di far cantare gli interpreti dal vivo prometteva, a scapito di qualche nota perfetta, sicuramente un carico di emozioni e sentimento inusuale in un musical di tale portata. Scommessa, per quel che mi riguarda, persa: perché Les Misérables è spesso freddo, freddissimo, congelato nella ricerca del brivido che sfugge, nella scena madre che resti in testa.

E non basta una Anne Hathaway assolutamente in parte e bravissima (ma lo diciamo da Rachel sta per sposarsi che la ragazza è una bomba) per dare un po’ di cuore ad un film del genere. Di cui, appunto, ricorderemo una I Dreamed a Dream da lacrime, raro momento di intensità in un’opera stanca, disordinata, probabilmente addirittura talmente rischiosa a priori da far venire il dubbio che sia pure un po’ sbagliata.

Voto di Gabriele: 4

Les Misérables (id. – Musical, GB 2012) Regia di Tom Hooper, con Hugh Jackman, Russell Crowe, Anne Hathaway, Amanda Seyfried, Eddie Redmayne, Aaron Tveit, Sacha Baron Cohen, Helena Bonham Carter,Samantha Barks e George Blagden. Qui trovate il trailer ufficiale, mentre qui On My Own cantata da Samantha Barks. Nei cinema da giovedì 31 gennaio.