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Rotterdam 2013: Il futuro – Recensione del film di Alicia Scherson

Il futuro, diretto da Alicia Scherson, dopo il Sundance si mostra anche a Rotterdam. Cineblog lo recensisce in anteprima

pubblicato 27 Gennaio 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 18:12

Da dove cominciare? Il futuro è uno di quei film di cui preferiremmo non dover mai scrivere. Non perché stia a noi revocargli il suo diritto di cittadinanza, ci mancherebbe. Bensì perché parlar male di qualunque film è un trattamento tutt’altro che edificante tanto per chi lo mette in atto quanto per chi lo subisce. Solo che dinanzi ad un amalgama così informe e priva di mordente in maniera così imbarazzante non si può far altro che allargare le braccia.

Alicia Scherson ci ha provato. Ha provato ad infondere consistenza in una storia non facile, ma che lei rende ancora più complessa, senza motivo apparente alcuno. Bianca e Tomas restano orfani a seguito di un incidente che ha causato la tragica morte dei loro genitori. Da quel momento, come un fulmine a ciel sereno, ai due non resta che crescere di botto e farsi una vita. Vada come vada.

Poco importa che la location sia Roma, in fin dei conti irrilevante ai fini del discorso approntato dalla Scherson. Ci sono solo due modi per affrontare una disgrazia di questo tipo: lasciarsi andare del tutto o reagire, in qualunque modo. Oppure c’è la terza via, quella che non porta né da una parte né dall’altra: quella contemplata in questo film.

Non doveva certo essere il ritorno in pompa magna dell’indimenticabile Rutger Hauer, certo, ma pur sempre di un ritorno si tratta. Speso non un granché bene, anche questo bisogna ammetterlo. Fratello e sorella s’imbattono in due scansafatiche (tra cui uno è Nicolas Vaporidis, qui anche in veste di produttore associato), che escogitano il “colpo da maestro” (sic). Si tratta di intrufolarsi nella villa di un attore sepolto sotto le macerie del tempo, messosi in mostra per il suo bel fisico e per una lunga serie di film in cui ha interpretato sempre lo stesso ruolo, quello di Maciste.

Per riuscirci serve una chiave, in questo caso rappresentata dalla giovane e confusa Bianca. Bianca, o Bianca! A tratti (solo a tratti eh) sembra di assistere ad uno di quei maldestri prodotti pseudo-adolescienziali, in cui la fanciulla di turno si confida in esclusiva al proprio diario e quindi al mondo intero. Cadute che avvengono sistematicamente, a più riprese, allorquando alla giovane protagonista vengono fatte recitare, male, una serie di elucubrazioni sconclusionate, la cui assurdità viene coperta da un manto di concetti apparentemente elaborati, quindi inutilmente complessi. Onanismo del cerebro, direbbe qualcuno. O, a limite, effetto oppiaceo, ma non è questo il caso.

La prima cotta di una ragazza descritta non in maniera banale, ma senza capo né coda. La vediamo, la smarrita Bianca, aggirarsi per l’enorme e desolante magione del povero malcapitato, costantemente nuda e ben oliata (!), mentre il di lei amante prepara sandwich e chiede delucidazioni in merito al colore del proprio sperma. No, non ci stiamo inventando nulla. È tutto vero. Scenario voluto, dunque? Studiato attentamente a tavolino per sortire l’effetto che sortisce? Mmmhhh, non ne siamo così sicuri, anche se il beneficio del dubbio non si nega mai, in nessun caso.

A un certo punto abbiamo vagliato anche l’ipotesi meno confortante, ossia che a noi stesse sfuggendo qualcosa. Ma poiché, tra tutto, non è certo stata l’attenzione a mancare, bisogna prendere abbastanza seriamente l’ipotesi che la regista abbia proprio sbagliato qualcosa. Non è questa la sede per rilevare quando, dove e cosa sia andato storto, anche perché a queste condizioni si fa prima a dire cosa sia andato se non bene, meglio. In quest’ultima categoria potremmo infilare il soggetto, non per forza così limitato come sia lecito supporre a seguito della visione del film.

Quel che rimane è qualche rara battuta riuscita, nonché la magia, rimasta allo stato di potenza e mai liberata anche solo per un istante. Quella di un’adolescente senza punti di riferimento, sola, alla quale non resterebbe che aggrapparsi alla fantasia, che eppure, sentendola dissertare su ciò che le accade attorno, non dovrebbe mancarle. Il futuro, come la sua protagonista, dunque, finisce con l’essere materia informe in disperata ricerca di un’anima che non arriva mai. Vuoto, come il concetto alla base del suo titolo, il quale, per l’appunto, indica qualcosa che non è mai esistito.

Voto di Antonio: 2