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Cineblog Consiglia: Million Dollar Baby

Million dollar baby (2004) di Clint Eastwood con Clint Eastwood, Hilary Swank, Morgan Freeman.Stasera martedì 2 settembre su Rai 3 alle 21:05 Stasera su Rai3 viene riproposto quello che a mio parere è il miglior film del Clint Eastwood versione regista, quel Million Dollar Baby che, arrivato nelle sale dopo il favoloso Mystic River, riesce

di mario
2 Settembre 2008 09:00

Million dollar baby Million dollar baby (2004) di Clint Eastwood con Clint Eastwood, Hilary Swank, Morgan Freeman.

Stasera martedì 2 settembre su Rai 3 alle 21:05

Stasera su Rai3 viene riproposto quello che a mio parere è il miglior film del Clint Eastwood versione regista, quel Million Dollar Baby che, arrivato nelle sale dopo il favoloso Mystic River, riesce non solo a confermare quanto di ottimo si era detto sulle capacità di narratore dell’ex “texano dagli occhi di ghiaccio”, ma a trasportare le sue ambizioni di autore in una dimensione ancora più elevata e raffinata.

Scritto da Paul Haggis (Crash, Nella valle di Elah), sceneggiatore nonché regista di prima classe, in un macrocosmo hollywoodiano dove ormai tutti credono di essere in grado di sapere scrivere cinema e pochi in realtà lo sono, Million dollar baby è un amaro sguardo all’America che non ce l’ha fatta ma che nonostante tutto continua a lottare per ottenere quel riscatto sociale che è parte integrante del Dna del sogno americano.

Frankie Dunn (Clint Eastwood) gestisce una vecchia palestra per pugili, un disilluso che porta stampato sul volto il disincanto di chi ha visto molto nella propria vita senza peraltro riceverne granché. Una figlia lontana che non vede da molto, troppo tempo, ed una malcelata solitudine solo lievemente rinfrancata dalla costante presenza in palestra di Scrap (Morgan Freeman), anziano ex pugile roso dal rimpianto e con una grande voglia di dimostrare qualcosa a se stesso e al suo ex manager, lo stesso Frankie.

Nella vite di questi due caratteri così difficili entra come un ciclone Maggie, cameriera ormai sulla soglia dei trent’anni con la grande passione della boxe. Maggie vede nel ring non solo una possibilità di sfogare le frustrazioni e le tristezze di una vita avara di gioie e soddisfazioni, ma anche e soprattutto una tortuosa strada di riscatto sociale, un modo di urlare finalmente al mondo che lei esiste e può competere, in una realtà senza pietà e, come scoprirà sulla propria pelle, senza regole.

Con il suo entusiasmo e la sua sana passione per la boxe, Maggie riesce a vincere pian piano le numerose riserve di Frank, che, quasi senza accorgersene, finisce per affezionarsi alla ragazza, in cui traspone l’affetto che, per eccesso di orgoglio, non riesce più a riservare alla sua vera figlia. Il rapporto diventa quindi bidirezionale: Maggie impara da Frankie i trucchi dello sport, ma lui riceve a sua volta una ben più importante lezione sulla vita e su come vadano affrontate le difficoltà quotidiane.

Il tutto mentre Maggie, ben allenata e dotata di un incontestabile talento naturale, inanella vittorie su vittorie, fino a voler competere per i titoli che contano davvero. Ed è lì, dove sembrava poterci essere il riscatto finale, che si nasconde invece la tragedia, guidata dalla mano del fato che si fa beffe dei nostri sogni. Dando il via peraltro ad un secondo film, strettamente legato per temi ed atmosfere alla prima parte, ma che costituisce in un certo senso una svolta, dove tutti i personaggi possono dimostrare cosa hanno veramente imparato l’uno dall’altro.

La battaglia si sposta dal ring di boxe all’interno delle coscienze dei singoli, che devono infine fare i conti con le proprie responsabilità ed i propri valori. Il tema dell’eutanasia, che tante sterili polemiche ha suscitato all’uscita del film, viene trattato qui con una delicatezza ed una sensibilità unici, senza voler dare insegnamenti e senza pretendere che la scelta effettuata da Frankie, in lotta con tutto ciò in cui aveva sempre creduto, sia quella giusta. Eppure la scelta straziante appare l’unica possibile agli occhi di un uomo, un padre, cui viene sottratta nuovamente una figlia. Figlia dotata di una voglia di vivere, di un fuoco interiore che si scontrano drammaticamente con il corpo incatenato e costretto in un letto d’ospedale.

Il finale è triste, ma al tempo stesso catartico. Tutti sono cambiati. Tutti hanno riscoperto parti si sé che sembravano sepolte per sempre. A mio avviso il miglior film sulla boxe (e forse sportivo) di tutti i tempi, al pari solo del capolavoro Toro Scatenato. Valore riconosciuto una volta tanto in sede di Oscar, dove ha ricevuto quattro statuette pesanti: Miglior film, Miglior regia, Miglior attrice protagonista, Miglior attore non protagonista. Niente male per chi, come Clint Eastwood, era considerato un attore dotato di sole due espressioni (con o senza cappello), ed un regista bravo ma fin troppo classico. A buon vedere al momento è invece uno dei migliori autori di cinema al mondo, come stanno lì a confermare gli ultimi due ottimi Flags of our fathers e Letters from Iwo Jima (non a caso anche questi scritti da Paul Haggis, ormai fedele collaboratore).

Voto Mario: 9