Home Torino Film Festival 26° Torino Film Festival – Sesta giornata, Quemar las Naves, The Shaft, Hirokazu Kore-Eda

26° Torino Film Festival – Sesta giornata, Quemar las Naves, The Shaft, Hirokazu Kore-Eda

Anche la sesta giornata di Festival passa in giudicato, lasciando al pubblico e agli addetti ai lavori solamente altri tre giorni di manifestazione. Ora come ora l’attesa sembra essere concentrata tutta sul chiacchierato film svedese Lasciami entrare (Lat den Ratte Komma in) di Tomas Alfredson, tratto dall’omonimo, ottimo, esordio letterario dell’eclettico John Ajvide Lindqvist, prontamente

27 Novembre 2008 14:55

Lasciami entrare locandina Anche la sesta giornata di Festival passa in giudicato, lasciando al pubblico e agli addetti ai lavori solamente altri tre giorni di manifestazione. Ora come ora l’attesa sembra essere concentrata tutta sul chiacchierato film svedese Lasciami entrare (Lat den Ratte Komma in) di Tomas Alfredson, tratto dall’omonimo, ottimo, esordio letterario dell’eclettico John Ajvide Lindqvist, prontamente e inutilmente e superfluamente ribattezzato come l’ennesimo Stephen King locale; il film sarà proiettato venerdì in seconda serata al cinema Ambrosio. Se grazie alla splendida pensata di ricordare a tutti i nostri lettori il giorno della proiezione venerdì sera dovesse esserci una fila lunga mezzo chilometro, rassegnerò le dovute dimissioni.

Certamente l’attesa rimane alta anche per quanto riguarda i film in competizione. C’è da dire che in questa biennale era Moretti il TFF si è effettivamente riproposto (riciclato?) a un pubblico più ampio tendendo a proporre film via via sempre meno sperimentali, istituendo un magazzino ufficiale per pellicole del genere (la sezione La Zona). Il premio per l’organizzazione si è rivelato essere un aumento esponenziale del pubblico, sempre ricordando che in ogni caso nel Concorso ufficiale non troverete mai “La Fidanzata di Papà”.

Quindi grande folla, anche se a essere proiettato è un film cinese con la caratteristica di essere estremamente cinese. Parliamo dell’esordio di Zhang Chi, che firma anche la sceneggiatura del suo The Shaft, film in tre episodi che raccontano le vicende di un padre e dei suoi due figli, una ragazza e un ragazzo, vicende che non si intrecciano se non in maniera molto marginale. Il tutto tenendo sullo sfondo, ma in maniera vivida e sempre visibile e palpabile, l’elemento che muove i fili di tutto il film, ovvero la miniera dalla quale tutti i nostri protagonisti vogliono fuggire a gambe levate.

Più sopra, lanciando una piccola boutade come fosse una molotov, si definiva il film di Zhang Chi estremamente cinese. Il discorso è effettivamente un po’ più complesso. Il giovane esordiente, infatti, pur avvalendosi di un soggetto molto buono, equilibrato e significativo, in fase di regia incappa in più di un errore dovuto, sembrerebbe, all’ingenuità del regista al suo primo lavoro. La tendenza del film, quindi, è quella di estremizzare e fossilizzare gli stereotipi di un certo cinema cinese continentale, sociale e di fiction.

I nostri amici studenti sono tornati a protestare. Questa volta hanno scelto la prima serata dell’Ambrosio e per la gioia delle coronarie di Nanni Moretti, ieri hanno chiesto il permesso prima di intervenire. Il dubbio è che Moretti abbia dato il consenso giusto per godere dello strambo, ma condivisibile, divertimento di una manifestazione studentesca precedente la proiezione di un film di Francisco Franco.

Locandina Quemar las naves L’emozionatissimo regista messicano, qui al suo esordio, propone un film anch’esso strampalato, perennemente a metà fra il melodramma intenso e pieno di pathos e la divertente commedia generazionale. Franco, peraltro, gestisce bene le due anime della pellicola fino a un certo punto. Da quel momento in poi la situazione gli sfugge un po’ di mano, e si rimane con l’idea che Quemar Las Naves sarebbe potuto durare qualche minuto in meno guadagnandone in compattezza e coerenza.

Un piccolo spazio lo merita la presentazione seppur in sordina, per usare un eufemismo, del nuovo lavoro di uno degli autori giapponesi contemporanei maggiori. Parliamo ovviamente di Hirokazu Kore-Eda, che nel corso della sua decennale carriera ha già vinto un’Osella a Venezia (con lo splendido “Maborosi”), il premio principale al 16° TFF (con “After Life”) e la Palma d’oro per il Miglior attore nel 2004 con il suo capolavoro “Nobody Knows”. Still Walking, confinato ne La Zona, è un film esile, ma non debole, che con pacatezza e grandioso senso del ritmo racconta le vicende di una giornata della famiglia Yokoyama, riunita per commerare il dodicesimo anniversario della morte del figlio Junpei. Una narrazione sensibile e semplice, dalle emozioni ovattate ma non per questo meno significative. Un altro piccolo capolavoro di Hirozaku Kore-Eda, un regista decisamente da riscoprire.

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