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Ottimismo sul cinema italiano, con prudenza

“Istantanee sul cinema italiano” è un documento disincantato, con le mani e le teste pulite.

pubblicato 25 Febbraio 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 17:14

Ci piacciono le campane a morto, eco delle campane che dalle grandi città ai piccoli paesi hanno fatto da colonna sonora della nostra vita e quindi anche del cinema. Le campane di bronzo sono quasi sparite, e il loro suono è conservato in digitale come una reliquia.

Per quanto riguarda il cinema, di cui parliamo qui, le campane in digitale e dolby stereo scandiscono magri incassi per i nostri film (salvo le poche eccezioni), difficoltà ai festival (premi a gocce o a bocca asciutta), tagli e ritagli, fus “o fusse o non fusse la vorta bona” per le vane (?) promesse di soffiate di ossigeno del ministero nei polmoni stanchi del movie patrio.

C’è di che essere scoraggiati. Ma forse lo scoramento è anche derivato dal fatto che stampa stonata esegue i de profundis, mentre sarebbe bene studiare meglio la situazione, e di tenere in conto le riflessioni di chi le sa fare. E’ appena uscito “Istantanee sul cinema italiano- Film, volti, idee del nuovo millennio” , a cura di Franco Montini e Vito Zagarrio, edito da Rubbettino. Montini e Zagarrio sono esperti, studiosi che lavorano senza sbracciarsi nel ring dei giornali e delle tv; sono ancora giovani, rispetto alle cariatidi che piacciono ad Alemanno e a Marzullo ma anche alla sinistra senza età; svolgono le loro attenzioni e le loro osservazioni con continuità, distinguendosi per la misura e per la documentazione.

Il libro è a più mani: i due curatori si sono fatti aiutare da analisti senza cattedra in gola, come Barbara Corsi, Eleonora Raimondo, Christian Uva (che è il responsabile della collana di cinema della Rubbettino), Piero Spila, Cristiana Paternò, Luca Pallanch, Laura Delli Colli e altri, un elenco abbastanza lungo. Ognuno di costoro affronta un pezzo di storia e anche solo di vicende che sono ancora vicine ai nostri tempi, ma esaminano con puntigliosità, e senza pretese di raggiungere verità ma di verificare insieme ipotesi sulle trasformazioni in corso. Vengono citati Garrone e Sorrentino, ma anche Dario Argento, Nanni Moretti, Gianni Amelio, Renato De Maria; e produttori e documentaristi; si vagliano i generi di ieri che cedono alle modifiche di oggi, spesso rilevanti.

Il quadro resta nelle istantanee, cioè non ha pretese di inerpicarsi ma di fornire spunti, idee, conclusioni provvisorie. Ma la spina dorsale forte è nel modo cui le scritture tendono a entrare nelle immagini dei Duemila con una scelta di campo che sta diventando sempre più netta. Basterebbe tirare giù dagli scaffali delle biblioteche i libri e gli studi degli anni Sessanta, Settanta, Ottanta, Novanta: quattro lunghi decenni, un mezzo secolo circa, in cui l’approccio al cinema era solo, esclusivamente ideologico.

La ricerca del passaggio dal neorealismo allo “spettacolo” del cinema venuto dopo, era tutto imbevuto nel brodo (mica tanto primordiale) della sperimentazione, della novità, delle attese, imbevuto nelle scorie del marxismo. Non il marxismo delle analisi e delle acutezze delle prassi economiche e delle estetiche che entravano in gioco, ma il brodo, anzi i brodetti del battesimo ideologico. Un cinema pro o contro un nuovo che veniva e subito tartassato come una bistecca per renderlo malleabile.

Per chiarire. Ogni film italiano e straniero era filtrato, secondo criteri piuttosto banali. Si domandavano lor signori, professori universitari o critici, questo film sta dalla parte del bene o del male? è servo del capitale (Hollywood e le scassate centrali europee) o è espressione di indipendenza, alternativa, contrapposizione. Per esemplificare: un film cubano o terzomondista o di tematica operaia o giovanilistica era sempre meglio di un film americano o europeo, era accolto, premiato, osannato, archiviato con diploma.

I libri a cui mi riferisco- non faccio nomi per non creare dispersione- sono lì, a testimoniare. Alcuni sono buoni, buonissimi, e raccontano il cinema con giudizi appropriati; altri, la maggioranza, a prenderli in mano, fanno venire la voglia di rimetterli subito sugli scaffali a prendere polvere, per un’interpretazione e una lettura dei fatti, film e autori, in nome del pregiudizio. Libri sintomo di ritardi e rozzezze, superficialità, visioni alla moda o alla mode grossolane. Essi hanno creato parte delle difficoltà del nostro cinema, inteso come artigianato (mai industria) vivo, creativo, colmo di talenti intellettualmente liberi, ad esempio i registi della commedia italiana e pochi autori consapevoli, fra cui i più vecchi come Visconti, Fellini, Rosi, Loy, Petri…

“Istantanee sul cinema italiano” è, rispetto a questi libri, un documento che dimostra la distanza da allora, il desiderio di capire e di evitare gli schemi, i possibili schemi. E’ un documento disincantato, con le mani e le teste pulite. In attesa di verifica, e non di prove, o di conferme oracolari. Un ottimismo prudente, consigliabile.