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Anime nella Nebbia – dall’URSS di Sergei Loznitsada al cinema con Moviemax, dopo Cannes 2012

Anime nella Nebbia di Sergei Loznitsa, vincitore del Premio FIPRESCI come miglior film in concorso al Festival di Cannes 2012, arriva al cinema distribuito da Moviemax il 9 maggio 2013.

di cuttv
pubblicato 6 Maggio 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 15:02


Oggi torniamo alle frontiere occidentali dell’ex Unione Sovietica occupata dalle truppe naziste, per avventurarci tra le brume di un’antica foresta, che smarrisce il confine tra amici e nemici, tradimento ed eroismo, con le Anime nella Nebbia, armate, affamate, spaventate, e costrette a fare una scelta morale in circostanze immorali, protagoniste del secondo lungometraggio scritto e diretto da Sergei Loznitsa (My Joy)

Frontiere occidentali dell’URSS, 1942. La regione è sotto l’occupazione tedesca, e i partigiani locali stanno combattendo una brutale campagna di resistenza.

Un treno è deragliato non lontano dal paese dove Sushenya, un operaio ferroviario, vive con la sua famiglia. Sushenya viene arrestato con un gruppo di uomini e accusati di sabotaggio, ma l’ufficiale tedesco prende la decisione di non impiccarlo con gli altri e lo libera. Voci di tradimento da parte di Sushenya si diffondono rapidamente, e i partigiani Burov e Voitik arrivano per vendicarsi. I partigiani portano la loro vittima nella foresta ma vengono subito attaccati, e Sushenya si trova faccia a faccia con il suo nemico ferito.

Nel profondo di un’antica foresta, dove non ci sono né amici né nemici, e dove il confine tra tradimento ed eroismo scompare, Sushenya è costretto a fare una scelta morale in circostanze immorali.

Un viaggio nella nebbia della guerra e della paura, che non lesina colpa, vendetta, sacrificio, perdono e punizione, con il “cattivo” Voitik (Sergei Kolesov) che non è completamente malvagio, Il “santo” Sushenya (Vladimir Svirski) che non è completamente buono, e “l’uomo che ha dei dubbi” duro e appassionato Burov (Vlad Abashin), insieme all’ufficiale Grossmeier (Vlad Ivanov) intelligente, insidioso e spietato.

Le Anime nella Nebbia (In the Fog, V Tumane, Russia 2012) del film drammatico, storico e di guerra, tratto dal un romanzo di Vasil Bykov, adattato e diretto dal bielorusso cresciuto a Kiev (all’epoca ex Unione Sovietica) Sergei Loznitsa. Una coproduzione tra Germania/Russia/Lettonia/Olanda/Bielorussia (Ma.ja.de. Fiction, Rija Films, Belarusfilm), che arriva nella nostre sale con Moviemax il 9 maggio 2013, dopo aver vinto il Premio FIPRESCI come miglior film in concorso al Festival di Cannes 2012, e fresco di “Premio Trieste al Miglior Lungometraggio in concorso” al Trieste Film Festival 2013.

Anime nella nebbia
Anime nella nebbia
Anime nella nebbia
Anime nella nebbia
Anime nella nebbia
Anime nella nebbia
Anime nella nebbia
Anime nella nebbia
Anime nella nebbia

NOTE DI REGIA

Sushenya è accusato di qualcosa che non ha fatto, e non ha modo di provare la sua innocenza. È completamente solo, e anche sua moglie sospetta che abbia fatto qualcosa di sbagliato. È precisamente questa solitudine del personaggio principale, nel suo tentativo di comunicare con la società che non gli crede, che rende così coinvolgente il libro di Vasili Bykov. La comunicazione è impossibile perché “occhi ed orecchie sono povere vittime di quegli uomini le cui anime hanno una barbara natura”, per citare Eraclito. Tuttavia Sushenya rimane fedele a se stesso. Fermo nelle sue posizioni e nelle sue decisioni, non è capace di compromessi o crimini, semplicemente perché la legge morale dentro di lui glielo impedisce. Egli si trova in una situazione in cui, per preservare la sua dignità di essere umano, non può più vivere a lungo. Questo è uno dei paradossi dell’essere. Questo è ciò di cui tratta il libro di Bykov. Ho letto il romanzo Bykov nel 2001 e ho scritto la sceneggiatura poco dopo.

La differenza tra un testo letterario e un film è data dal linguaggio. Le cose che possono essere descritte a parole non sempre possono essere rappresentate a livello visivo e viceversa. Ogni adattamento per il grande schermo è effettivamente una “traduzione” in un diverso linguaggio. Per essere preciso e potente deve funzionare secondo i ruoli della “grammatica” propria del linguaggio visivo. I dialoghi di Bykov sono davvero molto buoni ed anche il modo in cui viene raccontato il background dei tre personaggi principali è sviluppato in modo molto più sofisticato rispetto a come sono riuscito a fare nel film. Nella sceneggiatura, attraverso episodi laconici, ho solo tratteggiato brevemente e introdotto gli antefatti dei protagonisti. È il ritmo del film che detta le regole. È la lunghezza delle scene e il ritmo a cui si susseguono una dopo l’altra che costruisce la narrativa drammatica del film.

UN SANTO, UN UOMO CHE DUBITA E UN CATTIVO

I tre protagonisti potrebbero essere definiti utilizzando questi archetipi: un Santo, un Uomo che dubita e un Cattivo. Ma ritengo che sarebbe superficiale ridurre un personaggio a un’etichetta. E’ una cosa che avviene quando non c’è il tempo di riflettere e le ‘etichette’ difficilmente risultano corrette.

Il “cattivo”, Voitik, non è completamente malvagio. E’ una persona che vuole sopravvivere e non ha la forza interiore di agire. Molta gente potrà identificarsi con questo personaggio, che segue la corrente e lascia che gli eventi esterni determinino le sue azioni.

Il “santo”, Sushenya, non è completamente buono. Ha una propria comprensione del mondo e non è in grado di cambiarla. Per via del suo carattere, si comporta in maniera strana ed è molto diverso dagli altri. Lo stesso vale per Burov, “l’uomo che ha dei dubbi”. Non riesce a vedere le cose con chiarezza e non capisce bene in che genere di situazione si trova. Lui soccombe alle sue emozioni, che non è in grado di tenere a bada.

Tutti questi personaggi sono assolutamente comuni. Solo per via di una serie di circostanze i nostri protagonisti mostrano le loro rispettive personalità in una determinata maniera.

LA GUERRA SENZA BATTAGLIE

Ho scelto una storia che parla della guerra, ma senza descrivere le battaglie. Tutto quello che vediamo al fronte – come le impressionanti scene di combattimento – non mi interessa. Invece, sono interessato alle condizioni che costringono le persone a combattere. E le origini di queste condizioni si possono ritrovare nei momenti banali della vita quotidiana.

Perché realizzare un film sulla Seconda Guerra Mondiale? Per diverse ragioni, gli artisti dell’epoca sovietica avevano poche opportunità di analizzare gli eventi avvenuti in quei tragici anni. Invece, la cultura postsovietica ha prodotto poche opere che forniscano una rappresentazione obiettiva degli avvenimenti di quel periodo. Tuttavia, sentivo il bisogno di affrontare, riflettere e analizzare questi tragici eventi. Ritengo sia mio dovere affrontare il passato e quindi, in questo modo, anche il futuro.

UN’ARTE NON DIDATTICA

Ogni azione si svolge in un determinato periodo storico. Le cose che accadono ora costituiscono una parte della storia. Tuttavia, non li vediamo come eventi storici perché non riusciamo a distaccarci dal presente. Per questo, non riusciamo a comprendere gli avvenimenti attuali. E la distanza (ossia la mancanza di coinvolgimento con gli eventi storici) che ci fornisce la possibilità di comprenderli.

Mi sembra che, dopo le esperienze del ventesimo secolo, sia giusto parlare del collasso dell’Umanesimo, come è stato considerato tradizionalmente nell’arte e nella letteratura. Condivido l’opinione dello scrittore russo Varlam Shalamov, che ha visitato tutti i gironi dell’Inferno nei gulag di Stalin: “Nella nuova prosa, – dopo Hiroshima, dopo quanto accaduto ad Auschwitz e dopo il Gulag di Serpantinka a Kolyma, dopo tutte le guerre e le rivoluzioni – dovremmo rifiutare ogni cosa che sa di didattica. L’arte non ha il diritto di predicare. Nessuno può insegnare nulla, nessuno ha il diritto di farlo. L’arte non migliora le persone, né le rende più nobili”.

NESSUNA TRACCIA DI VITA CONTEMPORANEA

La scelta delle location è stata determinata dal libro. Nella storia di Bykov, l’azione si svolge in una foresta della Bielorussia. Ho iniziato a cercare le location nell’estate del 2010. Ho viaggiato molto in Bielorussia, in particolare nella zona descritta da Bykov. Tuttavia, in breve tempo ho capito che non avremmo potuto girare lì. Infatti, la regione era cambiata molto negli ultimi 50 anni e ovunque si trovavano tracce della modernità: case pitturate di verde e rosa, pali dell’elettricità, edifici industriali, ecc. Così, ho continuato il mio viaggio attraverso la frontiera e ho trovato quello che stavo cercando nella Lettonia orientale, in una regione chiamata Latgalle. Ho scoperto un territorio selvaggio magnifico, dove si può piazzare la cinepresa in qualsiasi punto, muoverla a 360 gradi e non inquadrare nessun simbolo di vita moderna. La foresta di quella zona è molto simile a quella che si trova in Bielorussia. Inoltre, abbiamo trovato una location ottima e completa, dotata di quello che ci serviva per rappresentare una “stazione ferroviaria”, “l’edificio della Gestapo” e “la piazza del mercato”, perfetta per la scena dell’esecuzione.
La popolazione di Latgalle è un misto di etnia russa, bielorussa, polacca e lettone. E’ una ricca tavolozza di volti e personaggi, proprio quello di cui avevo bisogno, visto che stavo cercando degli attori e delle comparse non professionisti per interpretare i civili bielorussi nella scena del mercato.

L’AUTENTICITA’

La casa di Sushenya è stata costruita da zero, così come gli interni. Il nostro scenografo ha portato tanti oggetti dalla Bielorussia, considerando che gli interni di una fattoria bielorussa sono molto diversi da quelli di una casa lettone. Abbiamo studiato migliaia di fotografie e costruito meticolosamente gli interni. Desideravo che i personaggi “vivessero” in questi spazi e non dovessero “recitare”.

LA COLLABORAZIONE CON IL DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA OLEG MUTU

Ritengo che Oleg Mutu sia uno dei migliori direttori della fotografia in Europa. E’ un intellettuale e ha un senso dello stile fantastico. Possiede una visione notevole ed è un perfezionista, proprio come me. Quando mi stavo preparando a girare My Joy, cercavo un direttore della fotografia che potesse riprendere il film con uno stile documentaristico, grazie a una camera a mano e con la minor luce possibile. Sono rimasto molto impressionato dal lavoro di macchina in 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni di Mungiu e ho pensato che sarebbe stato magnifico trovare qualcuno che lavorava in maniera simile. Poi, abbiamo scoperto che Oleg è nato in Moldavia e parlava perfettamente russo. Gli ho mandato la sceneggiatura di My Joy e poche settimane dopo, ci siamo incontrati per la prima volta a Chisinau. Abbiamo parlato per ore di letteratura, filosofia e arte. Ho capito subito che era la persona che stavo cercando.

SOLO 72 STACCHI

Il lavoro di macchina in Anime nella nebbia è molto diverso da quello svolto in My Joy. Lo descriverei come “monumentale” e piuttosto conservatore. Visto che buona parte delle riprese si svolgeva nella foresta, Oleg ha suggerito di mettere la cinepresa su dei binari, in modo da ottenere un’immagine regolare e fluida. Così, siamo passati dalla camera a mano documentaristica di My Joy all’immagine, molto più “monumentale”, di Anime nella nebbia. Ovviamente, in questo film ci sono delle sequenze girate con la camera a mano, ma in generale la direzione della fotografia di Anime nella nebbia è decisamente classica. La sfida per me e Oleg era di girare ogni scena con un’unica inquadratura, utilizzando i movimenti di macchina come uno strumento di “montaggio interno” e inserendo degli stacchi soltanto quando c’era uno sviluppo della trama e iniziava una nuova fase. La camera è fondamentale nella drammaturgia della pellicola. Ci sono soltanto 72 stacchi in Anime nella nebbia, una scelta ambiziosa per un film che dura 127 minuti.