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Science+Fiction 2011: Cineblog intervista George A. Romero

Lucido e critico: è George A. Romero. Leggi l’intervista in esclusiva di Cineblog al papà degli zombie, Premio Urania d’Argento alla Carriera

pubblicato 12 Novembre 2011 aggiornato 1 Agosto 2020 06:43


George A. Romero è esattamente come i suoi film: critico e lucido. Ma è anche disponibile, simpatico, e chiacchierare con lui dei suoi lavori e di cinema horror è, come si può prevedere, un piacere non da poco. Sorride se gli dico che per me l’idea dei fuochi d’artificio ne La terra dei morti viventi è commovente. Abbiamo incontrato il grande regista in occasione del Premio Urania d’Argento alla Carriera, che gli verrà consegnato questa sera alle 20.00 al Science+Fiction di Trieste. Dopo la round table a cui abbiamo partecipato (sempre qui su Cineblog), abbiamo scambiato due parole con Romero sul concetto di indipendenza e sull’horror americano: con risposte a volte sorprendenti…

Nel mezzo del panorama americano, lei appare come una delle figure realmente più indipendenti. A tal proposito ha dichiarato sul suo profilo MySpace qualche anno fa riguardo a Diary of the Dead che è un film indipendente al 100% e che non ha mai avuto così tanta libertà dal 1968.
Il fatto è semplicemente che sono stato capace di farlo con pochi soldi, con un budget di 2 milioni di dollari. E il fatto di essere riuscito a farlo con quei soldi mi ha dato la possibilità di lavorare da solo, in libertà. I produttori sono anche quelli di Survival of the Dead, e con questi due film per la prima volta ho davvero avuto la più totale libertà, sin dal mio esordio.

È un film molto libero anche dal punto di vista formale e non solo, e credo ci sia qualcosa che lo accomuna a Redacted di Brian De Palma…
Sì, credo ci siano sicuramente dei punti di contatto. Sicuramente per il fatto che sono due mockumentary, ma credo anch’io che non sia solo per quello…

LA NOTTE DEI MORTI VIVENTI

Sono due film arrabbiati, girati da due persone che stanno fuori da Hollywood, anche se De Palma ha girato diversi film per le major.
Sì, credo anch’io che le affinità nascano dal fatto che non sono due film hollywoodiani. Anche se non so cosa stia facendo De Palma in questo momento…

Credo nulla, proprio a causa di Redacted. Tornando a Diary of the Dead, la sua definizione di prima suona quasi come un paradosso pensando che La notte dei morti viventi è citato dai libri di cinema come uno degli esempi di film davvero più indie di sempre: cosa è cambiato da quei tempi ad oggi nella sua carriera?
Credo innanzitutto il fatto che in tutti questi anni ho imparato tanto, ho imparato il mestiere sempre un po’ di più. Non avrei mai potuto fare un film come Diary una decina di anni fa. Sarei stato più insicuro nel muovere la macchina da presa, ed è una cosa che si continua a perfezionare nel tempo. Non si hanno alla fin fine mai troppe informazioni su questo lavoro. Pensa, John Ford avrà diretto quasi 200 film, io ne ho diretti solo 17: è un processo di apprendimento continuo, e lo sarà così anche nel mio caso negli anni a seguire.

Anche Survival of the Dead è un film personale e indipendente, ma il budget è quasi il doppio del precedente (4 milioni contro 2): come mai questa differenza tra i due progetti?
Non era esattamente il doppio del budget, era poco più di 3 milioni. Non una grande differenza rispetto al precedente, ma ne avevamo bisogno. Partendo dal cast, tutto era più “grande” rispetto a Diary of the Dead, anche perché volevamo una confezione curata e un look hollywoodiano: avevamo bisogno di certe luci, di certi attori, e per questo c’è stato quell’aumento.

Intende girare un altro spin-off di Diary of the Dead?
Era la mia intenzione iniziale. Quando ho girato Survival avevo in mente tre film, dicendo tutto quello che avevo da dire sugli zombie. Volevo fare tre film con tre stili differenti, così sarebbe stato anche più divertente per tutti: avevo in mente di ambientarne uno in mezzo alla guerra, oppure un film d’avventura nella giungla. Purtroppo Survival non ha guadagnato denaro sufficiente da giustificare l’operazione: nessuno se l’è sentita di imbarcarsi in queste produzioni.

L’anteprima mondiale di Survival of the Dead a Venezia e soprattutto in concorso è un evento che gli appassionati ricorderanno a vita: cosa significa per lei il fatto che oggi un suo film horror indipendente finisca in una delle maggiori competizioni internazionali del mondo?
Non so se se lo meritava [ride]. Ho una grande sostenitrice, Giulia D’Agnolo Vallan, che ha sempre sostenuto i miei lavori, e penso sia stata lei a convincere Marco Müller a prendere il mio film in concorso. Non so se altre persone del festival condividevano l’idea. Credo comunque sia davvero il primo film horror che finisce in concorso in un festival come Venezia, almeno da Dr. Jekyll and Mr. Hyde.

Guarda gli horror americani indipendenti di oggi? Cosa ne pensa del torture porn, dello Splat Pack, dei registi che ne fanno parte?
Non ho visto tanti bei lavori. Non mi hanno mai colpito. Mi piace Lucky McKee, che ha fatto May e The Woman. Mi piace Del Toro: ma non è americano, e forse mi piace per quello [ride].

Non le piace neanche Rob Zombie?
No, davvero no, anche se non vorrei parlarne troppo. Credo basti il fatto di dire che non ho visto molte cose che mi siano davvero piaciute. Insomma, Halloween… Vedi? Remake, è tutto un remake!

Sicuramente siamo in un’epoca in cui l’horror omaggia e cita molto i cult del passato. Forse l’horror americano indipendente ha perso un po’ quella carica politica e quella rabbia che lo ha contraddistinto?
Sicuramente. I registi indipendenti non percorrono più direttamente questa strada, ma io credo che dovrebbero. L’horror è una possibilità che non sfruttano fino in fondo, perché il genere è un modo semplice di fare critica. Invece questi giovani cercano innanzitutto il gore, l’effetto, ed è quello a cui sono interessati soprattutto i produttori. Non succede molto di più. I produttori non se la sentono di provare a fare qualcosa di nuovo: vogliono fare semplicemente di nuovo, che ne so, Halloween 5.

Il premio alla carriera al Science+Fiction glielo consegnerà l’amico Dario Argento. A tal proposito, che dice dei rumor che ci sono stati su un suo remake di Profondo Rosso?
Non è solo un rumor. Claudio Argento mi aveva chiamato per chiedermi se volevo farlo. Ma quando ho sentito Dario e ho scoperto che lui non era coinvolto nel progetto, e visto che è un mio caro amico, ho deciso di non farne parte neanch’io.

Ringrazio Daniele Braida per la fotografia in apertura, Cristina Borsatti per l’intervista e ovviamente George A. Romero per la disponibilità.