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Sole a catinelle: Recensione in Anteprima del film con Checco Zalone

Dopo le “nubi” e una “bella giornata”, per Checco Zalone c’è Sole a catinelle. Il comico-cantante barese ci parla della crisi globale attraverso quella tra un padre e un figlio. Per così dire…

pubblicato 29 Ottobre 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 08:00

Dov’eravamo rimasti? Ah sì, Checco oramai non è più il meridionale appena approdato al Nord, che interviene ad un meeting della Lega intonando motivetti non proprio padani. Checco è un uomo affermato, che dopo essere Caduto dalle nubi si è goduto la sua (Che) bella giornata.

Una parabola, quella del Checco nazionale, che racconta di un’ascesa come poche se ne vedevano da anni nel nostro Paese. Senza approntare tedianti excursus, pare ieri che la selezione di Lippi alzava la Coppa sotto il cielo di Berlino, in Germania accompagnata dai Queen, qui da noi da Zalone. Nel bene e nel male, il barese in questione ha finito col rappresentarci, con l’assomigliarci, tanto da non distinguere più chi sia la copia di chi. Forse per questo il diniego, la spesso invincibile tendenza a voler negare al comico e cantante lo status di personaggio, anche al cinema. Anzi, soprattutto al cinema.

Eppure il Checco Zalone di Sole a catinelle non è cambiato, non si è montato la testa ma nemmeno se l’è fatta smontare. Prosegue per la sua strada, inneggiando sempre al bel tempo ma senza abiurare alla realtà che lo (ci) circonda. Sopra le righe, simpaticamente populista, in barba al tanto inflazionato politicamente corretto – ché quello scorretto sta diventando a sua volta un cliché. I suoi, più che sonori ceffoni, sono buffetti, somministrati a suon di risate.

Per rispondere a chi, magari in maniera non del tutto infondata, vorrebbe dettare l’agenda ad un comico che vuole fare il comico anche sul grande schermo, verrebbe da citare quel santo che scriveva in merito ad una sua fortunata opera: «per quello che concerne gli abbellimenti letterari, non ho voluto nemmeno pensarci: ho altro da fare!».

Non me ne voglia il santo in questione, né Zalone, né tantomeno lo smaliziato recensore dal palato fine per questa forse improvvida citazione. Ma a conti fatti è così: Zalone non ha tempo per tutto il resto: ha altro da fare… ossia fare ridere! Non solo. Perché la comicità non è roba da accademici, bensì un lusso che è difficile illustrare e che bisogna avere nel sangue. C’è di più. Il comico fa ridere laddove senza di lui ci sarebbe solo da piangere.

Ed infatti a ‘sto giro nessuno ha resistito: e vai di Crisi. Quella con C maiuscola, la Economica-Finaziaria, quella che oramai ci ha quasi fatto dimenticare come fosse vivere quando eravamo liberi da questa carogna sulla schiena. Ed ancora una volta, Zalone passa con disinvoltura, oseremmo dire con voluta ingenuità, dal generale al particolare e viceversa. Attenzione: voluta, non falsa. Oramai suppongo non ci sia più bisogno, spero, di soffermarsi sul personaggio Zalone limitatamente a questa sua propensione a mescolare le carte, indicando con sarcasmo la spina nel fianco di certi nostri vizi e certe nostre virtù, sebbene al ritmo di una risata. La definiremmo semmai furbizia, quella che, con buona pace di chi ne sa di più, colgono in parecchi. Solo che a molti di questi non dà fastidio, anzi.

In Sole a catinelle Zalone è un imprenditore (tradotto: vende modelli di aspirapolvere porta a porta) che, in un eccesso di euforia per qualche piccolo successo professionale, ha cominciato a vivere al di sopra delle proprie possibilità. Niente di così sottile. Un giorno fa una promessa a suo figlio: «se prendi tutti 10 in pagella a fine anno, papà ti porta in vacanza!». Detto fatto. Il piccolo porta a casa la pagella dei sogni, Checco s’incazza con la maestra per la spropositata valorizzazione di un ragazzino «con dei problemi a casa», ma poi si piega all’amore che gli porta. Da lì si parte verso un’estate indimenticabile, e non solo per il piccolo.

A suo modo Zalone cerca di abbattere tutta una serie di tabù che magari non sono più nemmeno tali, ma che lo erano fino a ieri. In quel suo ostentare ignoranza, disinteresse e noncuranza per tutto ciò che di più caro ha avuto certa intellighenzia (fino a ieri, dicevamo), non c’è il-grido-liberatorio-di-una-classe-incolta-che-si ribella-allo-strapotere-intellettuale-di-una-certa-cultura-sin-troppo-abituata-a-guardare-dall’alto-verso-il-basso-tutti-i-non-iniziati-etc. Nossignore, niente di tutto ciò. Molto più semplicemente c’è quello che al radar di un sociologo/psicologo/antropologo/opinionista, ci viene suggerito, sfuggirebbe immancabilmente: un sincero anche se tutt’altro che sdegnoso vaffanculo.

Siamo meno prosaici. Perché se il discorso di Zalone si limitasse a mettere in piedi l’ennesima, stantia ed inutile critica alla cultura, quale che sia il colore, sarebbe soltanto uno in mezzo agli altri. Pochi o nessuno in Italia sono riusciti a controbilanciare certe tendenze soporifere, certe eresie culturali che, in quanto tali, altro non sono che esagerazioni estreme di cose in fondo sane. Solitamente la contro-risposta si è risolta in una pernacchia, una scoreggia o qualche lezione di becero turpiloquio misto a siparietti bassi. E se ad un certo punto Checco intima al figlio di dichiarare seduta stante la propria appartenenza politica («non mi dire che sei comunista ché io c’ho già i miei cazzi, a papà»), la scena successiva lo stesso padre apprensivo non mostra scrupolo alcuno allorché deve dissimulare quella stessa appartenenza vestendosi con la maglietta del Che e le infradito.

Perché in realtà ce n’è per tutti, mica per uno solo, che sia un gruppo o una persona. Zalone è il classico personaggio fuori luogo, sempre e comunque. Estroso imprenditore presso una villa di vegani, fricchettone in una ben più lussuosa dove dormì addirittura Hegel. Sua moglie, operaia, si incatena davanti alla fabbrica in cui lavora in segno di protesta, mentre lui sorseggia champagne sullo yacht del proprietario della medesima fabbrica. Situazioni incredibili nel vero senso della parola, ma a conti fatti accessibili a chiunque. Forse per questo infastidiscono.

Perché sia chiaro, di curarsi delle etichette a Zalone non interessa neanche a discuterne. Il suo è un cinema che vive di battute estemporanee, situazioni sopra le righe, facce strane, sorrisi da ebete. Ciò non significa però che lui sia inconsapevole dell’esistenza di una sua “poetica”, di un suo modo di approcciare il grande schermo. Tale consapevolezza emerge, per esempio, quando ascoltiamo la versione spagnola di Omini sessuali (Hombre sexuali), scelta che denota la strafottenza che più conta, vale a dire quella verso sé stesso.

A questo punto qualcuno potrebbe ipotizzare un film dedito esclusivamente all’elevazione di questo personaggio, Zalone, avulso da tutto il resto. Ed anche in questo caso, avrebbe ragione a metà. Perché Sole a catinelle, così come i due film che lo hanno preceduto, vive della luce riflessa del suo protagonista (e come potrebbe essere altrimenti?), senza però fermarsi al mero esercizio di esaltazione personale fine a sé stessa. Stilizzate, talvolta in maniera eccessiva è vero, troviamo molte delle caratteristiche che ci determinano, in quanto gente più che popolo. Non importa quanto ci piaccia negarlo, anzitutto a noi stessi; quanto ci ripudi ammettere che in certe aspirazioni, in certe uscite, in certi atteggiamenti, in nuce c’è almeno qualcosa di ciò che siamo diventati.

Zalone, cosciente o meno che sia, ha appreso la lezione secondo cui è per lo più inutile parlare agli italiani una lingua che non capiscono per illustrarli, per mostrarli così per come sono. Farci la morale, insomma. Il rischio nel ridimensionare l’altezza dell’asticella, serve dirlo, è quello di perdere per strada non poche sfumature, quelle che in fondo fanno la differenza. Ma anche qui, al contrario, interviene la stima di Zalone verso un proprio imprecisato pubblico, dal quale si aspetta una reazione ponderata; voglio dire, chi pensa sul serio che certi loschi figuri con le mani in pasta ai piani alti siano davvero come vengono dipinti in questo film?

Il suo è un modo nuovo di fare commedia, che non ha precedenti, né in un senso né nell’altro. Laddove infarcita di parolacce non risulta pressoché mai volgare; là dove è superficiale non è mai banale. Inutile discutere sui gusti, perché a questo punto quello di Zalone è un fenomeno che si è oramai imposto e che, come tale, va analizzato e studiato per essere in qualche modo capito. Se la sua verve non vi aggrada, non troverete certo qui ragioni per cambiare idea, anzi. Diversamente datevi a questo suo Sole a catinelle con la stessa spensieratezza con cui, supponiamo, vi siete dati agli altri. Allora avrete di che sorridere, se non addirittura ridere. E se ancora c’è spazio, pure di che riflettere.

Voto di Antonio: 7
Voto di Pietro: 7

Sole a catinelle (Commedia, Italia, 2013) di Gennaro Nunziante. Con Checco Zalone, Aurore Erguy, Miriam Dalmazio, Robert Dancs, Ruben Aprea, Valeria Cavalli, Orsetta De Rossi, Matilde Caterina, Daniela Piperno, Lydia Biondi, Augusto Zucchi e Marco Paolini. Nelle nostre sale da giovedì 31 ottobre.