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Trieste Science+Fiction 2013: oggi i premi e l’Urania d’Argento alla carriera a Gabriele Salvatores

Si chiude oggi il Trieste Science+Fiction 2013 con gli ultimi film, la consegna dell’Urania d’Argento alla carriera a Gabriele Salvatores e i premi dei concorsi. Un primo bilancio su un festival che non è mai meno che interessante e che quest’anno ha regalato un’offerta variegata. Fantascienza (e non solo) per tutti i gusti.

pubblicato 3 Novembre 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 07:51

Mancano i quattro film che verranno mostrati oggi e anche l’edizione 2013 del Trieste Science+Fiction chiuderà i battenti. Il film di chiusurà è Haunter di Vincenzo Natali, proiettato dopo la cerimonia di chiusura che vedrà la consegna dell’Urania d’Argento alla carriera a Gabriele Salvatores e i premi ufficiali della sezione Neon con i suoi due concorsi: il Premio Asteroide per il miglior lungometraggio di fantascienza, il Méliès d’Argento al miglior film fantastico e al miglior cortometraggio, e ovviamente il premio del pubblico.

Ottima al solito la risposta del pubblico, che ha assalito le due sedi centrali della rassegna (la Sala Tripcovich per la sezione principale Neon, e il Teatro Miela per la sezione Spazio Italia). E ottimo il programma, almeno nella varietà dell’offerta. Non possiamo dire con una quindicina di titoli se il genere gode di buona salute o meno – le fila si tirano a fine annata con una panoramica più ampia -, ma quel che si evince dal Science+Fiction è che ce n’è ancora per tutti i gusti. Perché la fantascienza ha ancora voglia a volte di porre domande e altre semplicemente di divertire.

A Trieste si è visto di tutto, sin dall’apertura “horror” con Byzantium di Neil Jordan, che già scopriva forse quello che è stato il filo rosso di molti titoli passati in rassegna: come resistono o si trasformano i legami (di sangue, d’amore, d’amicizia) in momenti e periodi di pericolo? Una domanda che Clara ed Eleanor, madre e figlia vampire, si fanno da secoli, costrette a cambiare luogo dove vivere ogni volta che succede qualcosa nelle loro vite.

L’argentino The Desert è il titolo più “intimista” dell’intero programma, come un Romero riletto secondo l’incomunicabilità. Ovvero: i sentimenti all’epoca degli zombie. Tre persone, una coppia di fidanzati formata da lui e lei, più un altro ragazzo, vivono barricati in una casa mentre fuori il mondo è distrutto dagli zombie. Christoph Behl rischia grosso giocando con un passo lento e meditativo, ma il risultato è curioso, anche se non per tutti.


Anche quello di Manuel Carballo è un atipico zombie movie “dei sentimenti”. Il suo The Returned, passato da poco a Sitges e in uscita a giorni in Spagna, ragiona sullo “zombismo” come malattia, con tutte le conseguenze morali ed etiche del caso. I protagonisti sono una coppia formata da lei, infermiera, e lui, insegnante di musica. Lui è infetto e si deve fare ogni giorno una iniezione per placare la malattia e non trasformarsi in zombie, lei gli procura il medicamento in modo illegale.

Ovviamente entrano in gioco dilemmi e pericoli, anche perché la società si pone domande che potrebbero fermare la ricerca: che accadrebbe ad esempio se una persona sotto medicamento si dimenticasse l’iniezione? I parallelismi con le questioni etiche della ricerca, della scienza e della medicina sono riusciti, e il film di Carballo è un notevole esempio di fantascienza che ragiona sull’attualità non dimenticando lo spettacolo.

Ancora più ambizioso il catalano Painless di Juan Carlos Medina, film sulla scia per certi versi di Del Toro e Bayona. Guerra civile spagnola, due trame che vanno in parallelo legate tra loro: la prima, ambientata durante la guerra, inizia con alcuni bambini che misteriosamente non provano più alcun dolore e vengono rinchiusi in attesa di una “cura”; la seconda è ambientata oggi, con un uomo che ha appena perso la moglie in un incidente.

Medina, con mestiere ma anche con una mano che diventa un po’ pesante verso la fine, ragiona sull’importanza di conoscere il proprio passato e il dolore per guardare avanti. All’interno di una cornice che comprende le zone oscure e l’eredità di un paese, ci sono le zone oscure e l’eredità di una famiglia: la “storia” con la s minuscola non può prescindere dalla Storia. Se solo il film fosse più bilanciato…


I rapporti famigliari sono al centro anche di Robot & Frank, il delizioso “buddy movie” di Jake Schreier con anziano e robottino/cameriere. Protagonista è un burbero Frank Langella che sta man mano perdendo la memoria. Visto che vive solo, il figlio gli compra un robot che lo aiuta nelle faccende domestiche e lo tenga sotto controllo, ma l’uomo lo userà in altro modo. A suo modo un crowdpleaser, una divertente e toccante commedia sci-fi che ragiona con intelligenza sul ruolo di padre e marito, sull’amore, sulla memoria e sull’amicizia.

Ma per profondità di ragionamento sui sentimenti, e anche per ambizione, nessuno batte Upstream Color di Shane Carruth, il titolo migliore ad oggi del concorso Asteroide e dell’intera sezione Neon. Ad una seconda visione, Upstream Color si capisce meglio e soprattutto riconferma la sua forza. Va da sé che non è cinema per chi non è a suo modo “preparato” all’esperienza, ma si tratta di un devastante ragionamento sul destino, sui legami e sui tentativi di controllare la vita.

Carruth racconta una storia soprattutto attraverso un montaggio emotivo e concettuale, con immagini straordinarie ed un uso del suono da brividi. Sul grande schermo tutto ha ancora più senso. Malick che dirige un film di Lynch? Ok, ma soprattutto lui: Carruth, firma già riconoscibile con due cult assoluti come Primer e questa sua opera seconda. Il senso c’è, anche se ad una prima visione occorre o sforzarsi tantissimo per rapire i dettagli e provare a ricomporre la trama, o abbandonarsi al flusso di colori e sensazioni.

A proposito di flusso di colori e sensazioni: Hélène Cattet e Bruno Forzani puntano proprio a creare una vera e propria esperienza audiovisiva. Se Upstream Color è Malick che incontra Lynch, il loro difficilissimo The Strange Color of Your Body’s Tears è Lynch che gira il proprio personale thriller all’italiana anni 70. Cinema o videoinstallazione? Il film è da metabolizzare, ma noi consigliamo di dargli un’opportunità se lo si trova sul grande schermo, unico modo “corretto” per vederlo.


L’effetto può essere ipnotico o di totale rigetto. Cattet e Forzani (a cui è andato il Premio Nocturno) rubano stilemi, icone, suoni, colori e modus operandi del cinema di genere italiano dell’epoca d’oro e li usano e ricompongono secondo il loro gusto astratto e onirico. Il risultato, piaccia o meno, è un sensuale attacco ai sensi che è sia omaggio ad un cinema che fu sia esperimento un po’ arrogante. Ma è da rispettare, con tutti i suoi momenti di stanca e i suoi momenti forti.

In mezzo a cotanti ragionamenti su sentimenti, su drammi etico-morali e persino sul linguaggio audiovisivo, dove sta la fantascienza che fa “solo” il suo sporco lavoro? C’è eccome, e pure qui ce n’è per tutti i gusti. Dal “caso” più scientifico che fantascientifico Europa Report, in cui il found footage che registra il pericoloso viaggio di alcuni astronauti verso una delle lune di Giove viene montato in un mockumentary, fino all’omaggio ai b-movie di Big Ass Spider! (benedetto dal cammeo di Lloyd Kaufman).

Dagli zombie nazi-steampunk di Frankenstein’s Army (altro found footage “anacronistico” con seconda parte davvero originale e tosta) fino alla variante austriaca di The Thing, The Station. Anche volendo, al Trieste Science+Fiction 2013 è impossibile non trovare almeno un titolo che riconcili i propri gusti con la fantascienza. A domani per il pezzo finale con tutti i premi e gli ultimi commenti sui film.