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Fuga di cervelli: Cineblog intervista Paolo Ruffini

Paolo Ruffini ci parla di Fuga di cervelli, di cinema e di “critica” in un’intervista dedicata alla stampa

pubblicato 20 Novembre 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 07:05

Si è tenuta stamane la roundtable a seguito della proiezione di Fuga di cervelli, film diretto da Paolo Ruffini, per la prima volta nei panni del regista. Un’opportunità notevole, per un film che va ad inserirsi nel filone della commedia senza troppe pretese. Anzi, di fatto trattasi del remake di un film spagnolo (Fuga de cerebros, per l’appunto). Un’operazione portata avanti dalla Colorado Film, che non a caso segue per certi versi la linea del programma televisivo, almeno in termini di verve meramente comica. Di seguito l’intervista a Paolo Ruffini.

Ti senti soddisfatto?

Eccome! È uno dei film più belli che abbia mai visto. I film più belli che abbia mai visto sono Aurora di Murnau, Lolita di Stanley Kubrick, Solaris di Tarkovsky, Eyes Wide Shut di Kubrick che mi piace molto, qualcuno di Milos Forman, mi piace anche il primo Fassbinder, tipo Nessuna pietà per il cane di Satana e Fuga di Cervelli di Paolo Ruffini.

Quanto si discosta dall’originale, dato che è un remake?

Guarda, l’originale non l’ho visto nemmeno io. Scherzo. In realtà Colorado ha preso i diritti di questo film che in Spagna era andato abbastanza bene, ed abbiamo pensato che le tematiche fossero interessanti per costruirci sopra qualcosa. Io l’ho visto tante volte… e poi l’ho dimenticato. Fino a che non ho finito il nostro e ad un confronto ci siamo resi conto che i due film sono abbastanza diversi.

(Interviene il produttore)

Fuga di cervelli è un po’ come se fosse una cover. Così come succedeva nella musica, che certi cantanti prendevano in prestito certi brani e ci facevano delle cover.

Temi qualche critica in particolare da parte della stampa?

No macché, anzi. Per me è una cosa positiva. Ti dirò, io vengo da un’esperienza stracult, per cui a me certe critiche possono solo piacermi. Prova a dirmene una. Che è un film di serie B? Ma magari, io li amo! Che è un film un po’ scurreggione? Beh, è il mio pane. Io penso che la bellezza del cinema sia veramente trasversale; da Blake Edwards a Bombolo per me c’è proprio una linea retta. Netta! Che stringe i due. Quindi sai, il problema della critica è quando ti arriva dal pubblico. Il rifiuto dei vostri colleghi è comprensibile, sebbene mi auguro che non arrivi. Spero invece che questo rifiuto non venga dal pubblico, anche perché voi giustamente non pagate per vedere il film e loro sì. Quindi mi sento più responsabile nei confronti di chi paga. Però vi voglio bene uguale, dai.

E per una commedia italiana davvero nuova?

Se va bene questo la faccio. Le idee ci sono. Alla fine comunque penso che non si debba nemmeno inventare nulla a volte, dipende sempre dall’adattamento che fai rispetto a qualcosa. Il cinema va avanti per archetipi, che son sempre quelli. È chiaro che la storia di Checco Zalone è una commedia nuova; nuova fino al punto in cui non c’è un eroe che compie un viaggio. Ma alla fine la storia è sempre quella.

Avete girato realmente a Oxford?

No, a dire il vero a Torino. Siamo stati benissimo, anche perché è una città che offre delle condizioni e dei servizi ottimi per girare. In fondo questo è un film che non aveva un costo pazzesco (due milioni di euro, diritti esclusi ndr.). Magari la prossima fuga di cervelli la facciamo a Ibiza.

In una scena del film c’è anche tua moglie, giusto?

Sì, mia moglie si è anche occupata delle canzoni originali, tranne quella di Max Pezzali, che ci ha fatto questo grande regalo. E poi interpreta la professoressa.

E come vive questa tua popolarità e il fatto che spesso sei circondato belle donne?

Bene! Sai lei c’ha una battuta meravigliosa che mi disse quando lavoravo con Belen. A suo tempo mi disse: «se mi fai le corna con Belen ti do una medaglia». Perché insomma, immagino che sia anche lusinghiero per una moglie dire «mio marito mi ha fatto le corna con Belen». È una cosa che dal parrucchiere penso faccia risonanza.

Dato che si parla di «fuga di cervelli», hai mai pensato di andare all’estero?

Io sono molto legato a questo posto. Sono un po’ provinciale, quindi mi garba il cacciucco, gli spaghetti alle vongole etc. Poi non credo di potere esportare granché. In fondo il titolo del film è molto sintomatico. Insomma, non credo di essere un cervellone. Però, deh, domani chissà… se mi chiama Spielberg a fare Indiana Jones 7 ci vado volentieri. A proposito, volevo soffermarmi proprio sul senso del film. Di solito quando si parla di Fuga di cervelli si pensa all’intelligenza, a portare fuori la propria genialità. In questo caso i nostri protagonisti portano fuori la loro sensibilità. Io sono convinto che a volte la sensibilità sia più importante dell’intelligenza: loro sono un po’ scemelloni, però sono persone che capiscono che il valore del cazzeggio può essere un valore d’amicizia. E che un gruppo di persone magari inadeguate o poco fortunate poi può avere un successo. Questo è un po’ il messaggio che il film, nel suo piccolo, vuole trasmettere.