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Smetto quando voglio: Recensione in Anteprima

Opera prima per Sydney Sibilia, che con Smetto quando voglio si affida ad un humor di matrice anglosassone per raccontare una storia a conti fatti non poco italiana. Una commedia leggera, spensierata ma fatta con criterio

pubblicato 30 Gennaio 2014 aggiornato 31 Luglio 2020 04:41

«I miei sforzi sono stati tutti finalizzati a far divertire, e a far trascorrere al pubblico 90 minuti di evasione. Il resto è decisamente secondario». Partiamo da qui, da queste dichiarazioni di Sydney Sibilia, classe ’81 al suo primo lungometraggio. Di solito si tenderebbe a prendere simili dichiarazioni come un voler mettere le mani avanti: quasi a dire che no, il film non ha pretese quindi se non vi sembra all’altezza il problema sta lì. Di solito. Non stavolta per fortuna.

Di Smetto quando voglio si direbbe che è un prodotto derivativo. Eccome se lo è! Pesca a piene mani da alcuni fenomeni di costume che già trascendono il proprio ambito di appartenenza, come la fortunata serie TV di Vince Gilligan, Breaking Bad, calato in un format vagamente riconducibile ad un Ocean’s a caso, più qualche elemento piluccato qua e là come nel caso dei non troppo vaghi richiami a Snatch di Guy Ritchie. Tutto questo senza però prendersi affatto sul serio, puntando davvero sull’intrattenimento puro, alla portata, ed ottenendolo in svariati passaggi.

La storia si concentra su questi sette laureati, i migliori nelle rispettive discipline, che costretti a ripiegare sui lavori più avulsi dalle loro competenze finiscono con l’abbracciare la possibilità di spacciare droga. Sembra una barzelletta: due pluripremiati latinisti lavorano come benzinai, scagliandosi vicendevolmente improperi nella lingua di Cicerone; un antropologo tenta invano di farsi assumere presso un meccanico; un genio della chimica computazionale lavora come lavapiatti in un ristorante cinese; un più che competente archeologo, precario da undici anni, non ha nemmeno i soldi per il pranzo a sacco; un economista che di mestiere conta le carte a poker; e poi c’è lui, Pietro (Edoardo Leo), l’ispiratore dell’intera iniziativa, che dopo l’ennesima frustrazione alla facoltà di Neurobiologia ed una pasticca mal digerita scopre questa nuova vocazione.

Il piano è quello di creare la ricetta definitiva, benché legale. Non manca ad un chimico e ad un neurobiologo applicare l’algoritmo giusto per dar vita al prodotto giusto. Da lì in avanti si procede per sketch, battute più o meno sottili, tra il surreale ed il grottesco. Una «rivincita dei nerd» in salsa romanesca, dove il concetto di sfigato ha oramai assunto una forma un po’ diversa ma la cui condizione ai margini di una società che li rigetta non è cambiata per nulla. E sì che di implicazioni per imbastire un discorso un po’ più ad ampio respiro ci sono, data l’attualità del contesto evocato. Orde di laureati col proprio pezzo di carta in mano, che a prescindere dalle competenze acquisite non trovano non solo la collocazione che più compete loro… ma proprio una collocazione quale che sia. Tuttavia si tratta di una tentazione alla quale facciamo volentieri a meno di cedere, rifacendoci proprio all’affermazione di cui in apertura da parte del regista.

Tutti bravi in Smetto quando voglio, che, a prescindere dallo scenario tetro, riescono a conferire quel grado di credibilità comica che tanto spesso latita anche nelle commedie meglio intenzionate sfornate da noi. L’humor del film si colloca a cavallo tra il vagamente sofisticato ed il triviale, in una cornice di soli romani che fanno ridere o per lo meno sorridere. Qualcosa che possiede un tenore a tratti sensibilmente diverso rispetto ad altre produzioni nostrane, tra macchine a mano, rallenti, ed in generale qualche piccolo rischio in più rispetto ai classici format che oramai non ci provano nemmeno a guardare fuori dal recinto – tanto che scene notevoli come quella delle armi risalenti alla campagna napoleonica in Italia sembrano prese di peso da altrove.

Certo, di contro emerge una fotografia francamente discutibile, con quella precisa scelta di intingere l’intera pellicola nel verde acqua alla quale non ci si riesce ad abituare fino alla fine. All’inizio l’impressione è che si vogliano evocare certe tinte psichedeliche, quasi a dirci che l’intera vicenda altro non è che l’ennesimo trip da eccesso di sostanze psicotrope, peraltro in linea con l’argomento. Sta di fatto che manca la padronanza nel saper reggere tutti quei contrasti, quelle fonti di luce al neon che se in uno Spring Breakers, per esempio, fanno positivamente la differenza qui stonano nella medesima misura. Specie con la luce naturale, quella del giorno, quel filtro tendente a uno strano verdognolo genera più fastidio che altro. E non si pensi ad un eccesso di estetismo o addirittura tecnicismo, perché stiamo traducendo a parole sensazioni che chiunque, anche il più distratto, senza dubbio può trovarsi a sperimentare.

Ad ogni buon conto, ciò non intacca comunque in profondità un lavoro che si lascia seguire tranquillamente, la cui leggerezza è se vogliamo la sua virtù, senza però porla a vessillo di un prodotto dichiaratamente stupido, ossia idiota per idioti. Grazie al cielo nulla di tutto questo in Smetto quando voglio, in cui gli autori stilizzano certe peculiarità, certi profili, certi episodi, evitando al tempo stesso di scadere troppo nel banale. Troverete non pochi cliché, qualche luogo comune e pure qualche citazione di troppo. È vero. Ma a tutto vantaggio del divertimento, quello spensierato ma non per questo imbecille. Perché Sibilia ed i suoi collaboratori ci confermano che lo spasso fine a sé stesso non è necessariamente un peccato, ma soprattutto che non fa necessariamente rima con cretinata. Poi possiamo anche discutere su alcuni innegabili limiti, che ci sono e riguardo ai quali abbiamo in parte accennato. Ma di quanto poco sopra evidenziato bisogna in ogni caso dare atto a quest’opera prima.

Voto di Antonio: 6,5

Smetto quando voglio (Italia, 2013) di Sydney Sibilia. Con Edoardo Leo, Valeria Solarino, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Libero de Rienzo, Stefano Fresi, Lorenzo Lavia, Pietro Sermonti e Neri Marcorè. Nelle nostre sale da giovedì 6 febbraio.