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Take Five di Guido Lombardi: intervista al co-protagonista Gaetano Di Vaio

Un anno dopo gli applausi raccolti al Festival di Roma, esce nei cinema d’Italia Take Five. Intervista al produttore e protagonista Gaetano Di Vaio

pubblicato 16 Settembre 2014 aggiornato 30 Luglio 2020 22:09

Un ricettatore. Un gangster leggendario e depresso. Un pugile squalificato a vita. Un fotografo di matrimoni, ex rapinatore, reduce da un infarto. E un idraulico con il vizio del gioco, che un giorno si ritrova nel caveau di una banca, per via di una perdita della rete fognaria. E si fa venire un’idea. Prende così piede Take Five, folgorante ritorno in sala di quel Guido Lombardi nel 2011 premiato al Festival di Venezia con il Leone del Futuro grazie a Là-Bas. Presentato al Festival di Roma 2013 e da noi qui recensito, il film uscirà nei cinema d’Italia il prossimo 2 ottobre. Un titolo ispirato a quello del mitico brano jazz registrato del Dave Brubeck Quartet nel 1959.

Al fianco della ‘banda’ di protagonisti (Gaetano Di Vaio, Peppe Lanzetta, Salvatore Striano, Carmine Paternoster e Salvatore Ruocco), figura un cast di grande impatto in cui spiccano Esther Elisha, Gianfranco Gallo, Antonio Pennarella, Antonio Buonomo, Alan De Luca e Vittoria Schisano. Oggi, a due settimana dallo sbarco in sala, abbiamo intervistato Gaetano Di Vaio, co-protagonista nonché tra i produttori della pellicola.


Lo scorso anno presentato con successo al Festival di Roma, ha finalmente trovato una data d’uscita in sala il folgorante Take Five, opera seconda di quel Guido Lombardi già premiato a Venezia con Là-Bas. Come mai tanto tempo prima di trovare un distributore, Microcinema in questo caso. Avevi perso le speranze, in quanto anche produttore insieme a Dario Formisano e Gianluca Curti?

“No la speranza non l’ho mai persa in tutta la vita (ride, ndr), sono un uomo che non perde mai la speranza. Fa parte della mia storia personale. Abbiamo perso tempo in ambito produttivo, forse. Microcinema ha amato immediatamente il film e l’ha preso 2-3 mesi dopo la proiezione al Festival di Roma. E’ passato un po’ di tempo anche perché volevamo evitare un massacro, andando incontro a tante altre uscite in periodi poco buoni. Noi abbiamo trovato la distribuzione per Take Five verso febbraio, forse dovevamo cercarla prima ma è stato un errore organizzativo, di inesperienza. Soprattutto da parte mia, per il futuro cercherò di muovermi con largo anticipo”.


I soliti ignoti che incontra Gomorra strizzando l’occhio a Tarantino e agli spaghetti western che hanno reso leggendario il cinema italiano. Tra archetipi di genere e spruzzate di contemporaneità. Take Five è stato sceneggiato da Guido Lombardi, partendo proprio da un tuo soggetto. Come ti è venuta l’idea di questi 5 ‘irregolari’ che provano il colpo della vita in una Napoli a tinte Jazz?

“In realtà anche il soggetto è stato scritto da Guido Lombardi, poi l’abbiamo ricreato insieme ma nasce da una sua idea. Io ho partecipato alla parte iniziale, poi lo sviluppo è merito di Guido. Il contributo più importante che ho dato è stato quello di individuare i 5 protagonisti. Dal primo istante, quei 5 volti da me immaginati sono poi diventati realtà. Non ne abbiamo mai pensati altri, assolutamente. Chi può essere questo, ci chiedevamo, e i nomi uscivano da soli”.


16 anni fa uscito dal carcere dopo 9 anni di galera per spaccio, hai avuto la forza e le capacità di reinventarti. Attore, produttore, sceneggiatore e scrittore, avendo pubblicato un romanzo autobiografico, Non mi avrete Mai. Qual è stato l’input che ti ha portato ad incrociare il mondo del cinema? Sei la prova lampante che c’è sempre una seconda opportunità. Per tutti. Basta saper e volerla cogliere.

“Al di la’ di tutte le retoriche possibili ed immaginabili, da ragazzino ho girato parecchi collegi e riformatori. E iniziai a fare teatro all’interno di un istituto. A 10/11 anni ebbi un certo successo con uno spettacolo. L’anno successivo dovevo farne un altro ma scappai dal collegio. Quello spettacolo non divenne mai realtà. Avevo circa 12 anni. Scappai perché mi seviziarono i cosiddetti ‘educatori’, se così si possono chiamare. Scappai a malincuore perché lo spettacolo volevo farlo ma data la violenza subita me ne andai. Poi ho intrapreso la via della strada, abbandonando la recitazione, e sono finito in carcere. Qui ho iniziato a vedere Peppe Lanzetta che andava da Maurizio Costanzo. Faceva conoscere la sua storia, raccontava il mio mondo, anche con uno squarcio moderno. Quando lo ascoltavo in tv, anche se io avevo la 5° elementare, mi piaceva, toccava le corde giuste, riavvicinandomi a quell’esperienza fatta da bimbo. Così gli scrissi direttamente dal carcere e gli chiesi se avesse piacere a fare teatro con me. Lui non mi ha mai risposto, dopo due anni sono uscito di prigione e mi sono piazzato sotto casa della suocera, perché sapevo che lui andava da lei a mangiare il ragù. La domenica mi mettevo sotto il balcone, in attesa che l’infinito pranzo napoletano finisse. Un giorno scese, mi presentai, poi ricevetti la sua telefonata, mi propose uno spettacolo con lui e così ho incominciato. Poi io sono sempre del parere che è il talento a premiarti. Possono anche dartela la possibilità, ma senza il talento non si va da nessuna parte”.


Non mi avrete Mai potrebbe un giorno diventare biopic cinematografico? Qualcuno si è interessato ai diritti della tua autobiografia? E soprattutto, potresti essere proprio te a dirigerlo?

“Diciamo che proprio in questo momento ci stiamo pensando, è una doppia possibilià. All’esordio con la regia, intendo. Ho anche realizzato dei documentari, uno dovrebbe andare in Concorso al Festival di Roma, si chiama Largo Baracche, potrebbe andare da Muller. Poi ne feci un altro anni fa, si chiamava Il Loro Natale, che ebbe un certo riscontro di critica forte. Anni dopo ne ho realizzato un altro, Interdizione Perpetua, e un altro ancora, Il pranzo di Natale. Ho pensato molto alla possiblità di debuttare alla regia in un lungometraggio con Non mi avrete Mai. Ne ho parlato anche a Venezia con alcuni produttori e l’idea piace. Il problema è che devo decidermi io. Entro l’anno prossimo prenderò una decisione. Ho anche pensato a qualche altro autore, magari più navigato, di cui non posso fare ancora il nome. Diciamo che se questo mi dice no ci proverò io, anche perché so la complessità del romanzo. E’ una storia rocambolesca, molto positiva, nonostante sia un viaggio all’interno di un mondo criminale. Ovviamente c’è un legame fortissimo tra me e il romanzo”.


Gomorra la Serie, in cui hai interpretato il personaggio di Baroncino per 7 episodi, l’applaudito Anime Nere che ha conquistato la critica a Venezia, il premiato Belluscone, Perez con Zingaretti e Marco d’Amore, Senza nessuna pietà con Favino, La Santa di Cosimo Alemà, il vostro Take Five. La produzione italiana degli ultimi anni sembrerebbe aver riscoperto il cinema di ‘genere’, tra criminalità, noir e mafia. Credi ci sia una spiegazione logica, o è un puro e semplice caso legato alle richieste del mercato.

“Vero, verissimo. Noi di Take Five siamo riusciti ad emergere grazie al premio Leone del Futuro “Luigi De Laurentiis” per la miglior opera prima vinto da Guido Lombardi con Là-Bas. Girando con Sollima la serie Gomorra, io sono Baroncino, mi sono poi reso conto che stavamo percorrendo la strada giusta, noi come piccola produzione. Questo è un tipo di cinema che piace molto alla gente, anche se fino a pochi anni fa in molti si cagavano sotto, avevano paura. L’importante è che lo racconti bene, come si faceva nell’Italia degli anni ’70. Erano film che una volta producevamo, per poi perderci. Take Five ha invece proposto qualcosa di nuovo, perché Romanzo Criminale e Gomorra sono serie tv, tornando ad un tipo di cinema che si era dimenticato”.


Incrociando tra le altre cose i generi in modo meraviglioso. Detto candidamente, a mio avviso lo scorso anno avreste meritato un Premio al Festival di Roma.

“Non ce l’hanno voluto dare, un po’ ci hanno fatto pagare di essere andati a Roma. Venezia non ci volle ma ci volevano altri. Poi io ho scelto Roma perché Muller ci voleva e io lo ringrazio, personalmente, perché ha avuto coraggio. Così abbiamo scelto la Capitale perché abbiamo visto il suo entusiasmo. Potevamo anche aspettare Torino, ma dopo aver incontrato Muller non ho avuto dubbi. Personalmente ho molta stima nei suoi confronti”.

Pochi giorni ancora e Take Five sarà nei cinema d’Italia. Che risultati vi aspettate. Previsioni?

“Ma, diciamo che ci aspettiamo un premio da Napoli e dalla Campania, in modo tale che poi possa apprezzarlo e premiarlo l’Italia intera. Come successo come Song’e Napule”.

Song’e Napule dei Manetti Bros., lo ricordiamo, presentato proprio al Festival di Roma 2013 e vincitore di 2 David di Donatello e 4 Nastri d’Argento. Che Take Five possa seguire le sue orme?