Home Notizie Apertura con Orson Welles a Venezia 2015, giusto: Orson era il cinema dei “fanatici” buoni

Apertura con Orson Welles a Venezia 2015, giusto: Orson era il cinema dei “fanatici” buoni

Ho “vissuto” due anni con Orson Welles, l’ho raccontato e posso dire che non era un uomo straordinario, era qualcosa di più: un “allucinato” senza dubbi o reticenze

pubblicato 31 Agosto 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 13:11

Era un “fuso d’eccellenza” Orson Welles, il grande regista a cui la Mostra Veneziana dedica la prima serata del 1 settembre, in anticipo sull’inizio ufficiale della stessa Mostra. “Fuso d’eccellenza”, parole scherzose e paradossali, che hanno lo scopo di dare immediatezza a un elogio senza dubbi, con stima e amore per il regista, e il suo lavoro. Ho vissuto due anni circa sul finire degli anni Ottanta con Orson, tra Italia, Hollywood, Parigi e tutto il mondo. Mi ero messo in testa di raccontare il cinema, il cinema che aveva fondato una nuova dimensione: quella della “fantascienza”, intima, serena, drammatica, sognata e sognante, provocatoria e inquieta; la “fantascienza” del vivere tutti i giorni davanti agli schermi,desco della creatività e dell’immaginario totale. Gli ho dedicato due ore. Quelle di due puntate di “Stelle in fiamme”, una saga dedicata alla fantasia e alla realtà diverse che scendevano dagli schermi, il cinema che aveva sedotto tutti e anche noi contemporanei venuti al mondo col cinema della seconda parte del Novecento, il secolo del cinema. Erano, anzi sono, puntate ambiziose, stordite, innamorate, come le altre sedici che no starò qui a raccontare.

Mi preme soffermarmi su Orson che era (lo scoprii, lo scopriamo oggi che lo si celebra per i cento anni dalla nascita) un “allucinato” senza dubbi o reticenze, spudorato, seconoa la lezione del neurologo-scrittore Oliver Sachs che se n’è andato in questi giorni e ha lasciato un libro che presenta il romandi del cinema e dei cinpehiles e degli spettatori, degli amanti di un’arte che è una finta replica della vita, distorta e affascinante della vita di tutti i giorni, proponendola diversa, sognante, carica di pulsione da sciogliere nel cocktail della contemporaneità quotidiana.

Avevo in mente la ricerca delle immagini di “Otello” e del “Mercante di Venezia”, proprio i capolavori veneziani del regista e mattatore, una ricerca che feci a Mauro Bonanni, un abile montatore che aveva conosciuto e lavorato con Welles negli anni dei suoi disperati tentativi vivere e sopravvivere al tempo che, per età,cercava di metterlo alle corde del ring come un pugile suonato. Anni Sessanta – Ottanta.

Trovammo diversa pellicola, scomposta. E fui felice. Gli avanzi meravigliosi delle fatiche di un genio erano la premessa dei contenuti formali e sostanziali per entrare e sostanziali per entrare nel laboratorio di Welles, prima durante e dopo l’esordio straordinario in “Citizen Kane” ribattezzato in “Quarto potere”, titolo italiano. Cercai, cercammo tutto quanto potesse essere utile per raccontare l’attore-regista-genio che tra le sue prime imprese realizzò per a radio la famosa invasione dei marziani che spaventò e paralizzò l’America. Foto, cinegiornali, back stage, manifesti, insomma ogni immagine “sopravvissuta” che poteva essere utile, e lo fu, per ricostruire il corpo ampio e l’anima più ampia di Orson.

Fu un’avventura meravigliosa che esordì negli anni Novanta e che è stata trasmessa, ripresa, ritrasmessa in Rai e in RaiStoria (ancora). Mi cambiò la vita, come l’aveva cambiata a tanti, e la cambierà ancora in chi vedrà i due film recuperati “Otello” e “Il mercante di Venezia”, mirabili sintesi fra teatro, cinema, rabbia, amore, disperato amore per Welles, scorbutico e irresistibile seduttore. Welles che fu ed è “usato” da Pasolini in “La ricotta” come alter ego, come regista poetico, tuonando, assorto, assente, malizioso e polemico, incantato e incantevole in un angolo di Cinecittà. Quel Welles che, una mattina di lavoro, rifiutò la macchina della produzione della “Ricotta” e l’autista mandato a prenderlo per portarlo a Cinecittà. Era una piccola, scassata auto: e un autista (forse) qualunque. Welles pretese la limousine e non un taxi. Furono costretti a procurargliela e a sostituire la vecchia carretta senza infamia e senza lode. Welles vole la Lode. La Lode. Era o non era il creatore assoluto di “Citizen kane?”.