Home Curiosità L’infinita fabbrica del Duomo: trailer di un viaggio nei secoli

L’infinita fabbrica del Duomo: trailer di un viaggio nei secoli

Viaggio poetico e artistico nei secoli di attività serviti all’uomo per edificare e mantenere la grandiosità del Duomo di Milano

di cuttv
pubblicato 19 Marzo 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 07:47

Il Duomo di Milano, edificato sin dal 1387 nel cuore del capoluogo lombardo, dove sorgevano la cattedrale di Santa Maria Maggiore e la basilica di Santa Tecla, è frutto dei secoli di incessante lavoro, realizzato da marmisti, carpentieri, muratori, fabbri, restauratori e orafi, oltre al genio di architetti e grandi artisti del calibro di Leonardo.

Uomini senza volto che nel corso di diversi secoli e fasi storiche, hanno lavorano all’eterna grandiosità del monumento, dall’estrazione della pietra nella cava, al cantiere dei marmisti, dalle vette delle sue centotrentacinque guglie, all’archivio storico della Veneranda Fabbrica (l’ente che ha dato vita al Duomo).

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Nascita del Duomo di Milano (1386-1387)
L’arcivescovo Antonio da Saluzzo progetta una nuova Cattedrale, che sorgerà al posto di quella di Santa Maria Maggiore e sarà dedicata a Santa Maria Nascente.

Fase Viscontea (1387-1447)
Gian Galeazzo Visconti, Signore di Milano, fonda la Veneranda Fabbrica del Duomo con lo scopo di portare avanti i lavori di progettazione, costruzione e conservazione della Cattedrale e la decisione di utilizzare il marmo di Candoglia per la costruzione dell’intero monumento.
Arrivano a Milano architetti, scultori e maestranze provenienti dal centro Europa, attirati dalla grandiosità del progetto.

Fase Sforzesca (1450-1520)
L’edificio prolunga le navate fino alla terz’ultima campata, viene costruito l’elegante gugliotto dell’Amadeo e le più belle vetrate.

Fase Borromaica (1560-1650)
Gli arcivescovi Carlo e Federico Borromeo introducono le influenze della Riforma Cattolica nello stile del Duomo, di cui sono esempi i Quadroni di San Carlo ed il coro ligneo.

Sei-Settecento (1650-1800)
Avviene il completamento del tiburio con la gran guglia e la Madonnina.

Ottocento (1800-1900)
In questi anni si ha la conclusione della facciata e degli ornati. Sono di questo periodo le vetrate istoriate, ma con la tecnica del vetro dipinto a smalto.

Dal Novecento ad oggi (1900-oggi)
E’ il periodo dei grandi restauri, in cui si attuano i primi scavi archeologici in Piazza del Duomo.” title=”La Storia del Duomo di Milano nelle sue fasi fondamentali”]

I protagonisti inconsapevoli de L’infinita fabbrica del Duomo di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, alle prese con l’opera artistica scandita da immagini che non hanno bisogno di parole, ritmi che trascendono la sacralità del monumento e citazioni tratte dai testi su Milano e sul Duomo di Guido Lopez, Silvestro Severgnini e Carlo Ferrari da Passano.

Il primo atto della quadrilogia Spira Mirabilis, che affronta il concetto di immortalità attraverso gli elementi della natura, e quello della terra con L’infinita fabbrica del Duomo.

[quote layout=”big” cite=”Massimo D’Anolfi e Martina Parenti]”Abbiamo voluto rappresentare la tensione verso l’infinito, inteso come immortalità. Il Duomo incarna una forma di architettura che forse oggi non esiste più: è stato progettato quando i monumenti si facevano perché durassero per sempre. È il soggetto stesso che ci ha chiesto che tipo di film fare, il Duomo è un’opera artistica e ha voluto essere raccontato così”[/quote]


L’infinita fabbrica del Duomo
, prodotto da Montmorency Film e Rai Cinema, dopo la presentazione all’ultimo Festival di Locarno, arriva nelle sale italiane distribuito da Lab 80 film, da giovedì 31 marzo 2016.

L’infinita fabbrica del Duomo: Note di regia

L’anonima, umile, operosa e quotidiana cura che una struttura come il Duomo di Milano ha richiesto e ancora richiede rivela quella grandiosità dell’agire umano in grado di travalicare il tempo e le generazioni e di racchiudere in se stessa un grande sentimento umanista. L’infinita fabbrica del Duomo è un poema visivo, un’epopea degli umili che prova a restituire un disegno talmente vario e complesso, un disegno i cui passaggi segreti non possono essere forzati o aperti dalla semplice volontà e che una mente sola non può afferrare, ma che può essere suggerito grazie alla potenza del racconto per immagini. Provare a filmare e restituire la cura, la laboriosità e la bellezza del tempo e delle storie umane è la sfida del nostro film. Testi adattati da Milano in Mano di Guido Lopez e Silvestro Severgnini e Storia della Veneranda Fabbrica di Carlo Ferrari da Passano.

Intervista ai registi, Massimo D’Anolfi e Martina Parenti

Come è nata l’idea di questo film?
Da tempo pensavamo ad un film sul Duomo. Questo è il primo capitolo di un lavoro sui quattro elementi e sull’idea di immortalità, un progetto che abbiamo chiamato Spira Mirabilis e in cui L’infinita fabbrica del Duomo rappresenta la terra. Abbiamo voluto rappresentare la tensione verso l’infinito, inteso come immortalità. Il Duomo incarna una forma di architettura che forse oggi non esiste più: è stato progettato quando i monumenti si facevano perché durassero per sempre. È la terra perché è fatto di pietra, quella che viene estratta nella cava, e guardando le immagini si ha proprio la sensazione che l’edificio nella sua interezza venga tirato fuori da lì. Quella cava, tra l’altro, è nata perché fosse costruito il Duomo: tutta la pietra utilizzata nel tempo per la cattedrale è arrivata soltanto da lì e tutta la pietra che la cava produce è stata usata sempre e soltanto per il Duomo.

Le prime immagini sono dedicate ad un vecchissimo albero, un olmo. Perché?
Mentre lavoravamo il film ha preso la sua direzione ed è diventato il racconto del rapporto tra il molto piccolo e il molto grande, tra il molto passato e il tempo grande dell’eterno. L’albero è una grande opera architettonica naturale, sta a metà tra il tempo breve delle nostre vite e il tempo lungo della natura. Metterlo all’inizio è un modo per avvicinarsi immediatamente al tempo grande, quello della storia di cui in quanto umani non potremo mai fare parte. Del resto il Duomo è una costruzione che va avanti da secoli, viene continuamente rifatta e richiede manutenzione continua. Le persone che vi lavorano sanno che non vedranno mai il risultato finale. Il nostro è soprattutto un film sul tempo.

All’enormità eterna del Duomo si contrappone il lavoro costante e dietro le quinte di un esercito di piccoli uomini: marmisti, muratori, carpentieri, fabbri, restauratori, orafi di cui nessuno conosce i nomi.

Il film è un omaggio al lavoro di tutti questi uomini senza volto che nei secoli si sono succeduti. Il Duomo in fondo l’hanno fatto loro, con il loro lavoro anonimo, di cui quasi nessuno conosce l’entità. Anche qui ritorna il rapporto tra il tempo lunghissimo ed enorme della cattedrale e quello piccolo e più breve del lavoro umano.

Nel film c’è pochissimo parlato, le parole entrano in gioco quasi esclusivamente attraverso le didascalie che compaiono e riportano quanto è scritto in vecchi testi che sono conservati negli archivi della Veneranda Fabbrica del Duomo.
L’archivio della Veneranda Fabbrica è vecchissimo e molto ricco, contiene una quantità davvero vasta di documenti e in qualche modo racconta la storia della città, oltre a quella del Duomo. Il nostro è anche un film sulla stessa Veneranda
Fabbrica, l’ente che ha dato vita all’opera monumentale, e la scelta di citare i testi contenuti nell’archivio è stata fatta per dare spazio alla sua memoria, perciò alla memoria del Duomo stesso.

Nel film si vede il Duomo di notte, una prospettiva diversa, inaspettata.
Quando si fa un film bisogna guardare l’oggetto del proprio lavoro con occhi nuovi, bisogna fargli domande differenti. Il Duomo in genere si attraversa e si conosce nelle ore del giorno, che si sia turisti, fedeli o anche lavoratori. Raccontarlo di notte ci è sembrata la condizione più particolare e nuova che potessimo scegliere: lo mostriamo come nessuno lo vede mai. Ci siamo chiesti: cosa succede là dentro quando viene chiuso? E abbiamo scoperto un silenzio potente, forse il momento in cui nel Duomo c’è la maggiore spiritualità.

L’infinita fabbrica del Duomo, rispetto ai vostri lavori precedenti, è un film più poetico e meno politico. Perché questa scelta?
È il soggetto stesso che ci ha chiesto che tipo di film fare. A volte accade così: è l’oggetto del tuo lavoro che ti porta in una direzione piuttosto che in un’altra. Il film ha preso la sua piega, mentre ci lavoravamo. Il Duomo è un’opera artistica, ha voluto essere raccontato così, realizzare un film solo sul suo essere istituzione cittadina sarebbe stato troppo banale.

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