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Venezia 64: settimo giorno di Gabriele

E’ probabile che The Darjeeling Limited non sia il miglior Wes Anderson. Ma appunto è sempre un Wes Anderson, che non rinuncia mai a fare le commedie a modo suo e ad incentrarle, come anche nei precedenti due film, su una visione particolare e malinconica della famiglia. Morto il padre, i tre fratelli Whitman, che

5 Settembre 2007 14:59

E’ probabile che The Darjeeling Limited non sia il miglior Wes Anderson. Ma appunto è sempre un Wes Anderson, che non rinuncia mai a fare le commedie a modo suo e ad incentrarle, come anche nei precedenti due film, su una visione particolare e malinconica della famiglia. Morto il padre, i tre fratelli Whitman, che non si parlano da anni, prendono assieme un treno per l’India, convinti dal maggiore di loro che vuole trovare la sua strada spiritual-esoterica. Inizia per i tre l’avventura, che li riporterà anche dalla madre, che intanto si è fatta suora. Al solito, dietro al nuovo film di Anderson c’è un ottimo lavoro di regia, fotografia e scenografia, a cui si uniscono i costumi (bellissimi!) della nostra Milena Canonero: la gioia per gli occhi è assicurata.

Diverte ed ha all’attivo vari momenti riusciti, e in più è recitato molto bene da Owen Wilson (che gira con bende e cerotti dopo un tentato suicidio…) e Jason Schwartzman, grande amico e collaboratore del regista il primo, attore protagonista di Rushmore (recuperatelo!) il secondo. Ai due si aggiunge la new entry di “casa Anderson” Adrien Brody. Ruoli anche per i veterani andersoniani Bill Murray (un cameo) e Anjelica Huston (la mamma). Da notare che il film è preceduto dal delizioso cortometraggio Hotel Chevalier, con protagonisti Schwartzman e Natalie Portman. Anderson ha chiesto che il corto venga sempre visto prima del film, sia al cinema che in dvd. Come mai? Semplice: c’entra eccome.

Sempre in concorso troviamo il nuovo film da regista dell’attore cinese Jiang Wen, che sin dall’inizio fa esplodere il suo film, tutt’altro che calmo: scene cariche di fatti e anche di dialoghi, montaggio veloce, varie “follie” sparse di quà e di là. Diviso in quattro momenti ambientati in periodi differenti (in teoria per i primi tre si cambia stagione, poi col segmento finale si va indietro di una ventina d’anni), Taiyang zhaochang shengqi (The Sun Also Rise) è lodevole dal punto di vista registico e dell’immagine, con un’ottima fotografia e scenografie che incantano l’occhio, soprattutto grazie all’uso dei colori. La sensazione di puro caos non è però così indifferente, anche per la durata di due ore del film: anche il suo regista ammette che forse non c’è neanche un significato nel suo film, ma usciti dalla sala non balza subito in testa di volerlo per forza ricercare. Per certi è un valore aggiunto, per alcuni no: non l’ho amato, anche se la scena finale rimette in gioco l’emozione che non s’era mai fatta sentire durante tutta la pellicola.

Il terzo film in concorso visto oggi è La Graine et le mulet di Abdellatif Kechiche, regista del bellissimo La schivata. Sorta di “saga” di una famiglia di origini magrebine, però residente nella Francia popolare così come i ragazzi protagonisti del precedente film, la pellicola riconferma la voglia di realismo del suo bravissimo regista. La sceneggiatura è basata tutta su lunghissimi dialoghi il più naturali possibili, sostenuti da una recitazione assolutamente spontanea e mai forzata; così come ovviamente la regia non tenta mai di inserire inutili sfoggi di tecnica, lasciando che siano i volti e i dettagli dei protagonisti a parlare. Dura tanto, ben 2 ore e mezza: ma in confronto ad un Franchi, qui siamo di fronte al film più ritmato della mostra. La rappresentazione della famiglia e dei conflitti, con le continue litigate, gli spettegolezzi, le riflessioni e i dolori non è mai banale e non scade nel retorico, neanche nel finale. Che fra l’altro si chiude (quasi) con un balletto femminile che sfida direttamente la lap-dance di Death Proof come scena più sexy dell’anno. Se poi ero convinto fino ad oggi che la Coppa Volpi fosse già nelle mani di Kierston Wareing, eccellente protagonista di It’s a free world di Loach, ora ho un po’ di dubbi: tutte le attrici femminili del film sono bravissime, ma la ragazzina amica e collaboratrice del protagonista maschile (mi scuso per non sapere i nomi!), che appunto nel finale fa la danza del ventre con tanto di pancina abbondante, è una seria candidata alla vittoria.

Per la sezione Giornate degli autori, oggi era la giornata della prima proiezione de Un Baiser, s’il te plait diretto dal francese Emmanuel Mouret: una commedia incentrata sull’amore e sulla capacità di prenderti all’improvviso, insiegabilmente. Garbato e raffinato nella regia, il film diverte lungo tutto la sua durata e colpisce per alcuni momenti di autentica ilarità, come il primo approccio sessuale tra un uomo e una donna, che sono migliori amici ma decidono di fare sesso per un disperato bisogno di “fisicità” da parte di lui. Applauditissimo dal pubblico, che ha gradito con grosse risate.
Ed ecco poi uno dei film più attesi in assoluto di questa 64esima Mostra: The Nines (da noi I Nove) nella sezione Settimana della critica. Il film è diretto da John August, sceneggiatore degli ultimi tre Tim Burton (Big Fish, La fabbrica di cioccolato, La sposa cadavere). Costruito su tre momenti differenti, girati in modo diverso anche nell’uso della macchina da presa (da pellicola si passa al digitale), è un film che si ricollega, più che a Lynch, ai dubbi esistenziali e misteriosi di Donnie Darko: è facile intuire che non è facilmente comprensibile, ed alla fine della proiezione sono arrivati applausi ma anche qualche fischio. L’altr’anno fu The Fountain, oggi The Nines: ad ogni edizione del festival un film che si presenta incomprensibile ci sta… Tutti e tre gli episodi (che ovviamente non sono assolutamente scollegati fra loro) sono interpretati dallo stesso trio di attori, composto da Ryan Reynolds, Hope Davis e Melissa McCarthy, a loro agio in tre diversi ruoli e situazioni. Attendo l’uscita nelle nostre sale per poterne discutere.

Avvistati Julian Schnabel, Luigi LoCascio e Oreste Lionello.
A domani con i nuovi film di Andrea Porporati e Lee Kang-Sheng; qui trovate la recensione di Io non sono qui, in sala da venerdì.

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