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Omicidio all’italiana: recensione del film di Maccio Capatonda

Maccio resta Maccio malgrado Omicidio all’italiana sia un film più compatto rispetto a Italiano medio. Impietosa ma incisiva critica allo storytelling mediatico del nostro Paese

pubblicato 23 Febbraio 2017 aggiornato 30 Luglio 2020 01:29

Partiamo dal titolo. Con ogni film si dovrebbe sempre partire dal titolo. Marcello Macchia, in arte Maccio Capatonda, reitera il senso della sua indagine, il centro dal quale tutto parte e al quale tutto ritorna. Omicidio all’italiana è quasi un sequel di Italiano medio, lo è senz’altro concettualmente e spiritualmente, alla stregua di progetti come I Griffin, I Simpson, South Park, Futurama e via discorrendo. Per cogliere la portata del lavoro di Maccio è a questi fenomeni che dobbiamo rivolgerci prima di tutto; sono questi appigli che ci consentono di leggere ed interpretare le intenzioni e le relative ripercussioni di quest’ossessivo ed ossessionante caleidoscopio di personaggi, di profili, di luoghi comuni e situazioni grottesche, non di rado assurde.

In questo processo, di nuovo, la TV ricopre un ruolo essenziale, oseremmo dire strutturale: nel primo lavoro di Maccio era un bislacco talent show, qui è un altro format, non meno fortunato, ossia il rotocalco televisivo, capace di passare da una storia all’altra, tutte di segno opposto, nello spazio di centottanta secondi di consigli per gli acquisti. Ad Acitrullo è stato commesso un omicidio: la corpulenta Contessa Ugalda Martirio In Cazzati viene trovata morta con una decina di coltelli da cucina conficcati un po’ dovunque. Il sindaco Piero Peluria (Maccio Capatonda), incalzato da quanto avvenuto in posti come Cogne ed Avetrana, pensa bene di vendere questa macabra storia ai media, dopo anni di vani tentativi per rendere Acitrullo, popolazione composta da sedici abitanti, al passo coi tempi. I media arrivano ed il paesino del Centro Italia viene irrimediabilmente sconvolto.

Maccio e Zalone si completano. Non li si deve per forza trovare divertenti ma nessuno parla di noi con la stessa sincerità ed incisività. La differenza è che Zalone tallona l’italiano che trovi per strada, nei bar, negli uffici et cetera, mentre Maccio è più concentrato sull’italiano così per come ce lo restituiscono televisione e internet. E poi vi sfidiamo a trovare qualcuno che nel nostro cinema lavora così tanto e così bene sulla lingua italiana. Stravolgendola, storpiandola, giocandoci nei modi più disparati la stanno a loro modo preservando: altro paradosso di queste maschere tutte nostrane. Perché questo sono quelle di Maccio, maschere sopra la maschera; altra differenza col comico pugliese, che attraverso un unico alter ego veicola tutto ciò che intende dire.

La schizofrenia di Maccio è molto più postmoderna, sregolata, e abbisogna perciò di svariate personalità al fine di raccontare come noi italiani veniamo raccontati. È questo il punto: indirettamente viene sì chiamato in causa un popolo, con particolare riferimento ai suoi vizi, ma non sono loro l’oggetto; lo diventano in un secondo momento semmai. Si potrebbe finanche dire che Macchia l’italiano, o per meglio dire gli italiani, non li conosca affatto; quel che lui sa di questo popolo, le sue storture, i suoi strambi vezzi, il nostro lo ha ricevuto dalla televisione, dalla radio, da internet. Non ci si è ancora soffermati abbastanza su tale punto, che ribalta la prospettiva rispetto a chiunque altro.

Non per niente la comicità di Zalone è più pacata, empatizzante verso quell’unico personaggio che si è fatto carico di buona parte delle peculiarità che attengono all’essere italiano, definizione che però significa tutto e niente. Quella di Checco non è una maschera italiana, bensì regionale, sia questa regione la Puglia oppure, al massimo, un’area geografica specifica, ossia il Meridione. Zalone piace proprio perché non parte dall’astrazione di un soggetto che non esiste, ossia appunto l’italiano; lo diceva la buonanima di Pasquale Squitieri, il quale a ragion veduta rilevava che un cinema italiano in realtà non è mai esistito e che, semmai, ve ne sono stati diversi, in base ai dialetti e dunque, per l’appunto, alle Regioni. Altra differenza, rispetto a Maccio, è che l’approccio di Zalone è «orizzontale» (Gianni Canova): Checco ride insieme ai suoi spettatori, non di loro, cosa che invece non esiste nel caso di Macchia.

Il cinema di Maccio rappresenta l’unico esempio possibile di “cinema italiano”, oggi come ieri, poiché passa da quell’unico mezzo che ha unito questo Paese, più della Nazionale, ovvero la televisione (che le partite della Nazionale trasmetteva e trasmette). Anche Omicidio all’italiana però, consapevolmente o meno, evidenzia i limiti di tale etichetta, dovendo ricorrere a due paesani dell’entroterra che parlano un italiano arronzato, a scoppio, da seconda lingua. Non si loderà mai abbastanza il lavoro di Maccio (ma anche di Zalone) nel proteggere, quasi tutelare un idioma che in base ai contesti dei loro stessi film appare in pericolo come non mai. Ad un certo punto nel film, ad Acitrullo arriva un gruppo di cinesi… e secondo voi che lingua parlano? Ma il milanese ovviamente! Cinesi nati in Italia, che la Cina non l’hanno mai vista possibilmente, si relazionano all’ambiente in base alla cultura entro la quale sono stati svezzati, che non è italiana (uno di loro, in impeccabile accento meneghino, cerca «figa»). Maccio ci gioca, ci scherza, ma questo cogliere una piega a tal punto drammatica per ricamarci sopra in chiave comica rappresenta una delle prerogative di quella che convenzionalmente viene denominata commedia all’italiana.

Ancora una volta il suo è un ritratto impietoso, cattivissimo, il cui cinismo è smorzato fin troppo bene dal suo intendere tutto come una farsa. Rievocando quanto scritto sopra in merito alla vicinanza di Zalone al tipo che tratta, quasi il suo solidarizzarci, al contrario, va detto che nulla di tutto questo avviene con Maccio, il quale i suoi di tipi non li ha mai conosciuti dal vivo, non ci è mescolato, avendoli per lo più bazzicati attraverso la mediazione di televisione, radio e internet. Quando al personaggio di Sabrina Ferilli (Donatella Spruzzone) fa dire quell’ovvietà per cui la verità è per i propri cari e per le persone che si amano in genere mentre in TV basta e avanza la bugia, Maccio ci sta fornendo delle coordinate per leggere anche questo suo film: «fate attenzione, io ‘sta gente non la conosco, perciò nessuno se la prenda. Se proprio si vuole però, ecco, ce la si prenda con gli ultimi trent’anni di rotocalchi, talk show, talent e programmi passati alla TV: tutto quello che so su certe cose me l’hanno insegnato loro».

È questa distanza a permettere a Maccio di essere così dissacrante, duro, a dispetto dell’approccio comico alla faccenda. Lui non simpatizza con nessuno: prende i difetti e le idiosincrasie di ciascun membro di questa fin troppo eterogenea comunità e ci si scaglia spietatamente, esasperando laddove serve. Si può anche non approvare un atteggiamento del genere, che però nondimeno è sincero, vero, e in quanto tale crudele. Nascondersi dentro le viscere di un maiale macellato per sottrarre il referto di un’autopsia è una scena che in qualunque altro contesto avrebbe avuto implicazioni lugubri, tutt’al più di cattivo gusto. Nell’ambito di quel cartone animato che è, di nuovo, Omicidio all’italiana, una cosa del genere assume tutt’un altro peso specifico, come quando ridiamo e tolleriamo le derive più atroci nei cartoni di MacFarlane, Groening e il duo Stone/Parker.

Sì, ciò che fa Marcello Macchia è quanto di più vicino, credibile e verosimile esista attualmente nel panorama del nostro cinema all’animazione, scorretto quanto basta, senza inutili eccessi. Nella forma è anche una critica alla congerie di commedie commissionate da Roma (malgrado poi parecchie le ambientino in Puglia) e che mensilmente passano dalle nostre sale, qui canzonate forse finanche senza volerlo già dalle prime sequenze, con quell’insopportabile motivetto di sottofondo che accompagna il prologo, dazio amaro che sembrano dover pagare tutte o quasi le commedie che vengono prodotte dalle nostre parti. Maccio vi fa pure lui ricorso, sì, facendosene beffa però, accompagnando un corriere che sbaglia strada mediante quel gioco, che conosce fin troppo bene, della voce narrante che interagisce con quanto sta avvenendo su schermo: il suo sogno sin da bimbo, lui spettatore, di far fare ciò che dice lui a quei pupazzi dentro alla scatola.

Si guardino i dettagli, pena perdersi un mondo: in un punto del film si celebra la festa del santo patrono, l’improbabile San Ceppato, leva per tutta una serie di gag linguistiche ricorrenti, la cui statua viene calata dall’alto; solo successivamente però la scena assume spessore, quando, dopo che Acitrullo è diventata un’attrazione turistica, ad essere calata dall’alto è la statua della contessa coi coltelli conficcati in corpo. Dicono molto più in merito a che punto sia la fede dalle nostre parti queste due brevissime scene che l’intero Non c’è più religione, per dirne uno. Senza contare che Omicidio all’italiana è già opera più compatta rispetto al film d’esordio di Macchia, con una trama che si scorge più nitidamente grazie ai codici del genere.

E tocca tornare a quanto rilevato qualche capoverso sopra. In quest’epoca di malessere, per certi versi terminale, è significativo che qualcuno s’industri a preservare il nostro amato idioma, senza divinizzarlo, perciò senza alcun timore reverenziale, attraverso un procedimento al negativo: trivializzandolo, scomponendolo, sporcandolo, stirandolo all’inverosimile. In questo modo viene fuori la profondità della nostra lingua, le meraviglie che nasconde, il suo essere lingua di poeti, cialtroni e cantastorie, non di tecnici e accademici (per quello c’è l’inglese). Insomma, una lingua con cui ci puoi fare di tutto, compreso fare ridere e sorridere. Attenzione dunque, poiché un giorno non troppo lontano potremmo ritrovarci a studiare questi due comici, Marcello Macchia e Luca Pasquale Medici, per ricollegarci ad una tradizione, ma sì… addirittura a un’identità che pochi o nessun altro sta contribuendo a mantenere viva come stanno facendo questi due. Chiamateli scemi…

[rating title=”Voto di Antonio” value=”7.5″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”5″ layout=”left”]

Omicidio all’italiana (Italia, 2017) film di Marcello Macchia. Con Marcello Macchia, Luigi Luciano, Enrico Venti, Gigio Morra, Sabrina Ferilli, Antonia Truppo, Roberta Mattei, Fabrizio Biggio e Lorenza Guerrieri. Nelle nostre sale da giovedì 2 marzo 2017.