Home Recensioni Classe Z: recensione in anteprima

Classe Z: recensione in anteprima

Un approccio passato appiccicato ad un fenomeno intriso di attualità, con delle conclusioni peraltro alquanto discutibili. Classe Z ci parla della scuola di oggi soffermandosi sui ragazzi, senza però dirci alcunché di significativo né dell’una né degli altri

pubblicato 27 Marzo 2017 aggiornato 30 Luglio 2020 01:01

Alcuni membri di una classe di giovani irrequieti, tutti maturandi, viene convocata da una commissione disciplinare scolastica per decidere delle sorti di un professore. La ragione è presto detta: l’insegnante in questione si è deliberatamente assentato dalle lezioni per un lungo periodo, senza comunicare alcunché. Classe Z, tuttavia, è proprio di questi ragazzi complicati che parla, facendo un discorso su un sistema tutto.

Un film perciò che punta in alto, quello di Guido Chiesa, che qualcosa vuole dirla. E no che non ci provi. La classe in questione è all’ultimo anno di un Liceo Scientifico, sezione Z per via del fatto che si tratta di una sorta d’esperimento, per così dire: qui vengono infilati tutti gli elementi guasti, considerati irrecuperabili, affinché, si scopre più avanti, non impediscano a quelli studenti che vogliono imparare sul serio, di farlo in serenità. Insomma, si parte da un’astrazione, forse in quanto tale forzata, sebbene si fondi su una misura che un qualunque preside a quanto pare può realmente prendere. Com’è come non è, sta di fatto che questi ragazzi vengono riuniti sotto lo stesso tetto, posti in una specie di quarantena curricolare, lontano dagli occhi lontano dal cuore, nonché col beneplacito di alcuni tra i genitori.

Un discorso però che presta il fianco a critiche fondate, dato che, tra il serio e il faceto, si dipinge un contesto solo in parte verosimile quantunque lo si voglia tale. Sì, quando infatti sembra che s’intenda prendere le distanze dal ritratto a cavallo tra la la storia edificante e la più diretta denuncia, ecco che Classe Z pende verso quest’ultima fattispecie; quando il professor Andreoli comunica a tutti che il suo film preferito, manco a dirlo, è L’attimo fuggente, grazie al quale ha deciso cosa volesse fare da grande peraltro, ecco entrare in un ambito, che è tutt’altro rispetto a quando, più avanti, lo stesso Andreoli manifesta la consapevolezza opposta: tutte stronzate, certe cose accadono solo nei film.

È un passaggio se vogliamo emblematico questo, che denota l’ambiguità programmatica di questo progetto, dall’esito incerto proprio perché incerti lo sono i suoi presupposti. Come denuncia di un sistema, quello scolastico? Non funziona, nemmeno se il mirino, anziché al sistema (!), lo si dirige verso certa mentalità di coloro che operano nel settore (presidi, professori e via dicendo). Come commedia? Beh, si tratta certamente di un fronte più affine, purché fosse stato più duro e spensierato al tempo stesso, non la somma algebrica di certi calcoli mediante i quali si aspirava probabilmente ad un non meglio precisato equilibrio.

Al contrario, l’armonia manca proprio, e a farla da padrone sono certi exploit dei singoli che però non compensano granché la tenuta generale: è proprio l’approccio alla materia a risultare risaputo, perciò stracco, inefficace. Classe Z è un film che se fosse stato girato negli anni ’90 era lo stesso, solo che magari aveva più senso in quel decennio lì. Oggi la situazione non è semplicemente più complessa, è diversa, un’altra proprio: non basta integrare il giovane mattacchione che ha un canale su YouTube da migliaia e migliaia di visualizzazioni, specie quando poi ci ricami sopra con il più ovvio e scontato dei: «avrai pure un sacco di iscritti ma neanche un vero amico».

Cos’è quest’ostinarsi a non voler approfondire un po’ meglio certe dinamiche? Non dico per rappresentarle tali e quali, sennò ci si gira un documentario per la TV e via; non è però la prima volta che ci si trova a ravvisare tale mancanza di percezione circa un fenomeno che attiene alla società in cui viviamo, attorno alla quale certo nostro cinema vuole a tutti i costi ragionare, non a torto, senza tuttavia impegnarsi sul serio a conoscerla meglio. È stato così per Non è un paese per giovani, situazione analoga per quest’ultimo lavoro di Chiesa: una fatica immane, oltremodo tangibile, nel cercare di riprendere una tra le svariate tematiche che ci offre la quotidianità, o per meglio dire quasi la cronaca nazionale, per poi costruirci sopra storie di finzione che ne vanificano la portata.

In Classe Z la questione è pure più complessa per certi versi, perché il film effettivamente a tratti si prende davvero poco sul serio, quasi a sottolineare implicitamente il carattere fittizio, esasperato circa taluni personaggi e situazioni, un modo per stemperare un’atmosfera diversamente indigesta. Ma tale modalità è frutto di quanto scritto sopra circa un presunto bilanciamento, che invece tende ahinoi a creare una pappa informe, qualcosa che non è né carne e né pesce e che perciò si dimentica. Ancora una volta si sacrifica la profondità all’immediatezza, quasi che la prima sia un male da combattere, qualcosa a tal punto respingente che non vale la pena nemmeno evocarla.

Ok, allora però ci si tiri fuori dall’ambito, si persegua qualcosa di più surreale, o semplicemente più personale: in certi casi restringere il campo è l’unica difatti. Invece no, dovremmo credere che il ragazzino con la fissa per il sesso, il bulletto che disegna cazzi mentre in realtà cela un talento artistico ben più elevato, la ragazzina mezza emo che in realtà è brillante, l’altra che sembra stupida solo perché è avvenente e veste “bene”… insomma, che tutti questi profili volutamente standard, nonché il loro cavalcare certi luoghi comuni pure quanto alle loro interazioni, sia più che sufficiente. Anzi, forse il film dovrebbe addirittura esaurirsi lì, in questo loro scontrarsi senza né capo né coda. Grazie al cielo ci è concesso di dissentire e credere che anche opere come Classe Z possano e debbano essere più graffianti di quello che in realtà sono.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”4″ layout=”left”]

Classe Z (Italia, 2017) di Guido Chiesa. Con Andrea Pisani, Greta Menchi, Enrico Oetiker, Alice Pagani, Luca Filippi, Francesco Russo, Antonio Catania ed Alessandro Preziosi. Nelle nostre sale da giovedì 30 marzo 2017.