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Speciale Roma. Rendition, l’incontro con autori e cast

Rendition di Gavin Hood. Con Reese Witherspoon, Jake Gyllenhaal, Meryl Streep, Alan Arkin, Peter SarsgaardIncontro con Gavin Hood, Reese Witherspoon, Jake Gyllenhaal e lo sceneggiatore Kelly Sane Già il nostro dr apocalypse ci ha scritto le sue prime impressioni sul film. All’incontro con la stampa, gli autori hanno parlato con passione del loro film, non

21 Ottobre 2007 20:04

Rendition
di Gavin Hood.
Con Reese Witherspoon, Jake Gyllenhaal, Meryl Streep, Alan Arkin, Peter Sarsgaard

Incontro con Gavin Hood, Reese Witherspoon, Jake Gyllenhaal e lo sceneggiatore Kelly Sane
Già il nostro dr apocalypse ci ha scritto le sue prime impressioni sul film.
All’incontro con la stampa, gli autori hanno parlato con passione del loro film, non nascondendo il loro desiderio che possa stimolare un dibattito attorno al problema che viene affrontato: la pratica della CIA di rapire cittadini sospetti e di interrogarli tramite tortura per scoprire loro eventuali connivenze con il terrorismo.
Il regista è il sudafricano Gavin Hood, autore dello splendido Tsotsi, che ha meritatamente vinto l’Oscar nel 2006come miglior film straniero.

Come sono venuti a conoscenza di questa pratica?
Gavin Hood: ho letto un articolo sul New Yorker proprio mentre leggevo la sceneggiatura che aveva già il titolo “Rendition”.
Quando ho finito di leggerla, mi ricordavo di aver letto l’articolo a riguardo e sono andato a cercarlo; ho fatto ricerche anche su google, e mi sono documentato anche sui libri.

Kelly Sane : ho fatto delle ricerche e sono venuto a conoscenza di 5 ° 6 casi del genere: si trattava di vittime di questi sequestri che hanno cercato di ottenere un risarcimento.
Ho contattato anche i loro avvocati.
Poi ho fuso tutte queste esperienze creando un singolo personaggio e narrando la sua storia.
Gli avvocati che si sono occupati di questi casi si sono complimentati dicendomi che ho riportato fedelmente molti dettagli di questa pratica. Anche l’aereo in cui queste persone vengono costrette a salire è uguale, abbiamo cambiato solo il numero.

Ci sono diverse storie parallele e alcuni personaggi non si incontrano mai. Quale è stato il suo metodo di lavoro?
Ho scritto le storie separatamente, le ho elaborate dando a ciascuna vita propria e poi le ho fuse, facendo in modo che potessero costituire un corpus unico.
E’ stato fondamentale anche l’ aiuto del regista.



Come pensate che sarà accolto dal pubblico? Avete delle aspettative?
Noi speriamo che induca a riflettere, speriamo che stimoli un dibattito attorno al problema e che porti a capire la necessità di regole.
Quando abbiamo iniziato a lavorare il film il problema era nato da poco, e sembrava che i casi esaminati fossero casi isolati.
Sono passati due anni e purtroppo questa pratica rimane. Il problema è più che mai attuale.
Ciò che intendiamo fare vedere che dietro queste pratiche di rapimento e tortura ci sono degli uomini.
Il fatto che se ne parli è importante. Anche parlando con gli avvocati delle associazioni dei diritti civili che si occupano di questi casi, e con le vittime stesse mi sono reso conto che la finalità delle cause civili che loro intentano è soprattutto quella di far conoscere il problema: le cause infatti non vengono mai vinte.
Grazie all’opera di queste persone, viene attirata l’attenzione dei giornali così il Governo non può negarne l’esistenza.

Ci può parlare del personaggio di Meryl Streep?
Il suo personaggio non è completamente negativo. Lei ha le sue ragioni per agire in modo violento e con freddezza. E lo spiega proprio al personaggio interpretato da Jake Gyllenhaal.
Dice che attraverso la tortura è riuscita a salvare 5mila persona. Lei conduce la sua guerra al terrorismo.
Ciò che vogliamo mettere in evidenza è fino a che punto ci si può spingere senza regole.
Il problema di oggi è il giusto equilibrio tra il rispetto de diritti civile e la sicurezza del popolo americano.
E per ottenere questo equilibrio è necessaria la formulazione di regole altrimenti persone come quella che interpreta Meryl Streep non si fermerà davanti a nulla.
E’ la stessa C.I.A. che chiede regole chiare per i suoi agenti.

Signora Witherspoon, come si è preparata per il suo ruolo?
Il mio ruolo mi ha molto toccato ed interessato perché è una donna molto simile a me, una borghese americana, madre che però è sposata con un mussulmano e con figli mussulmani.
E’ stato molto interessante immergersi in questo ruolo per toccare avvicinarmi al pregiudizio razziale e credo mi sia stato utile per non avere mai quel tipo di pregiudizi.
Guardando la televisione si fa l’abitudine alle scene di violenza, al dolore.
Nel momento in cui il dolore viene inserito in una storia, la parte emotiva torna ad essere fondamentale.



Signor Gyllenhaal il suo personaggio è molto complesso.
La sua ambiguità lo rende umano. Io credo infatti che l’onestà dell’uomo sta nel fatto di non riconoscersi in un valore assoluto.
Non si è completamente buono o cattivi.

Signor Gyllenhaal come si rapporta con le tematiche trattate nel film, lei che viene da una famiglia molto impegnata nel promuovere i valori della pace?
Naturalmente io sono stato allevato con questi valori e credo in questi valori, sebbene riconosca che politicamente possano esistere dei problemi più complessi che necessitano di valutazioni diverse.
Il film affronta entrambi i punti di vista: la tortura come mezzo sbagliato per estorcere informazioni; ma anche la lotta al terrorismo che a volte funziona tramite l’uso di queste pratiche.

Attenzione Spoiler: non leggetelo se non volete sapere il finale, ma è interessante come chiave di lettura una volta visto.

Il finale sembra avere sminuito la drammaticità del film.
Io non considero il mio finale un happy ending, anzi.
Ho voluto mostrare il momento in cui loro due si rivedono per far capire la drammaticità del momento.
La loro vita, anche se la vicenda si è conclusa più o meno bene, è completamente stravolta e niente sarà più lo stesso tra loro.
In lei si è addirittura insinuato il dubbio: dovrà fare i conti con questo senso di colpa per sempre.

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