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Argo – di Ben Affleck: recensione in anteprima

Dopo Gone Baby Gone e The Town, Ben Affleck si conferma dietro la macchina da presa con Argo, il suo film più maturo. Leggi la recensione di Cineblog.

pubblicato 31 Ottobre 2012 aggiornato 31 Luglio 2020 20:42

“Quindi tu vuoi venire a Hollywood,
far finta che stai lavorando ad un progetto
grandioso senza realizzarlo veramente, giusto?
Allora hai scelto il posto giusto!”

Ispirato ad una storia vera, Argo racconta l’azione segreta tra vita e morte intrapresa per liberare sei statunitensi e svoltasi durante la crisi degli ostaggi in Iran – la cui vera storia per decenni è rimasta ignota all’opinione pubblica. Il 4 novembre 1979, mentre la rivoluzione iraniana toccava l’apice, un gruppo di militanti fa incursione nell’Ambasciata USA in Teheran, portando via 52 ostaggi. In mezzo al caos, però, sei americani riescono a fuggire e trovano rifugio a casa dell’Ambasciatore del Canada Ken Taylor. Ben sapendo che si tratta solo di questione di tempo prima che i sei vangano rintracciati e molto probabilmente uccisi, Tony Mendez, un agente della CIA specialista in azioni d’infiltrazione, mette in piedi un piano rischioso per farli scappare dal paese. Un piano così inverosimile che potrebbe accadere solo nei film…

Dalla Boston di Gone Baby Gone e The Town a Los Angeles e… l’Iran. Ben Affleck aveva già dimostrato che il suo posto è dietro la macchina da presa, più che davanti. In un certo senso lo si poteva ipotizzare nel 1998, quando vinse assieme a Matt Damon l’Oscar per la miglior sceneggiatura di Will Hunting – Genio ribelle a soli 26 anni. Poi l’inaspettato esordio come regista, e la conferma con il secondo lungometraggio, vera “fatica” per un neo-regista. Argo rappresenta non solo una conferma ulteriore della capacità di Affleck, ma è anche il film della “maturità”.

Argo inizia con un riepilogo, tra immagini d’epoca e fumetto, della storia iraniana nel periodo della rivoluzione di Khomeyni : siamo pur sempre in un film commerciale, e un breve ripasso di storia (per molti: una breve prima lezione) non fa mai male. Gli Stati Uniti danno il sostegno allo scià Mohammad Reza Pahlavi. Centinaia di iraniani manifestano contro l’ambasciata americana a Teheran. Sono 52 le persone che prendono come ostaggi. Ma 6 funzionari riescono a fuggire all’insaputa dei rivoluzionari e trovano rifugio all’ambasciata canadese. È il 4 novembre 1979.


Intanto in America la scritta Hollywood è bruciata e distrutta. La New Hollywood sta per finire, lasciando spazio ai grandi blockbuster. Al governo c’è Jimmy Carter, a cui sarebbe succeduto Ronald Reagan. C’è aria di fermento, e la “crisi degli ostaggi” in Iran scombussola mappe ed equilibri politici. La C.I.A. deve trovare un piano per portare via i fuggitivi: se fallisce, c’è di mezzo anche la propria reputazione. L’uomo dalle uova d’oro è Tony Mendez, che trova l’unica soluzione che potrebbe tirare fuori i sei uomini. Un piano di “esfiltrazione” particolare, che prevede la creazione di un film “segreto” da non girare per davvero. Così facendo, potrà andare a Teheran, dare un’altra identità da crew ai sei Americani e fuggire via con loro…

È il 1980 e viene creato lo Studio Six Productions a Burbank: uno studio ovviamente fittizio, a cui però arrivarono per davvero sceneggiature di progetti (anche importanti, visto che pare Steven Spielberg avesse inviato loro lo script di E.T.!). C’è da inventare un progetto plausibile, un film che sia allo stesso tempo credibile e possa offrire spunti per poter giustificare delle “riprese” in terra iraniana. Non è un caso, ma viene scelto un film di fantascienza, un’opera piena di creature, da ambientare in un mondo sconosciuto e disabitato. Le location medio-orientali sono perfette per un film del genere, grazie ai bazaar e alle landscape lunari e deserte.

Argo – il film nel film – è un film che si rifà a tutto quel che di famoso c’era all’epoca, da Il Pianeta delle Scimmie a Guerre Stellari. Ma, forse inconsciamente, viene scelto proprio uno sci-fi: non è un caso. Il genere di fantascienza, forse più dell’horror, è quello che meglio trasforma in metafora la realtà (da L’invasione degli ultracorpi in poi, soprattutto): quindi, in un certo senso, la “copre”. La C.I.A. deve attuare un piano segreto internazionale e Hollywood offre un film di fantascienza: si chiude un cerchio…

A questo punto c’è bisogno di un produttore di facciata: viene scelto Lester Siegel (un grandissimo Alan Arkin), che un tempo era un grandissimo autore – in bacheca ha premi del Festival di Cannes… negli anni 40! – ed oggi si dedica a filmetti sci-fi. Come truccatore viene chiamato il meglio sulla piazza, ovvero John Chambers (l’altrettanto bravissimo John Goodman), Premio Oscar per gli effetti de Il Pianeta delle Scimmie nel 1998, e che ha già collaborato con la C.I.A. in altre missioni. C’è tutto, quindi, per un film che sarebbe rimasto segreto fino al 1997. E che non fu nemmeno girato.

Agli Americani, Argo piacerà per la sua natura superficiale anti-iraniana, che denuncia il sostegno degli Stati Uniti a Pahlavi Jr. contro la volontà degli Iraniani, scherza sulla C.I.A. e su Hollywood, ma poi finisce con una vittoria per gli States. In realtà Argo è un film molto più bello e complesso di quanto appaia in superficie. Una superficie assolutamente da film mainstream di Hollywood, ovvio. Ma si tratta di quel cinema hollywoodiano che quasi non si fa più, e che George Clooney e Grant Heslov hanno provato a riportare in sala più volte (ma dentro ci si può inserire anche Munich di Spielberg).

Argo ha un equilibrio interno che lascia stupefatti, tanti sono i cambi di registro nella sceneggiatura. Film solidissimo, grazie ad uno script brillante e pensato, e ad una regia sicura e davvero matura, è benedetto dalla fotografia strabiliante di Rodrigo Prieto, che dà linfa seventies a scenografie, ambientazioni e costumi già perfettamente anni 70. Affleck riesce poi ad infilare un paio di scene magistrali: quella del furgoncino che passa attraverso la folla di rivoluzionari, e quella della lettura dello script del film. Tutta la parte finale, poi, è un’applicazione rigorosissima di suspense hitchcockiana da cardiopalma.

“Quindi tu vuoi venire a Hollywood, e far finta che stai lavorando a un grande progetto senza realizzarlo, giusto? Allora hai scelto il posto giusto!”. Ben Affleck costruisce un film stratificatissimo, classico ed impegnato, storico e divertente, ragionando su quello che sta dietro al cinema. Allo stesso tempo, in parallelo, affresca l’identità di una nazione, raccontandone il “dietro le quinte”. E questo dietro le quinte, che sembra conciliatorio e vittorioso, è invece ancora una volta costruito sul gioco delle parti. Stati Uniti e Canada hanno collaborato come mai prima d’ora nella Storia, dimostrando che ci sono altri modi per “vincere” senza usare la violenza.

Ma Affleck va oltre questo discorso giusto ma un po’ didascalico. “Puoi insegnare anche ad una scimmia ad essere regista in un giorno”, dice Chambers, che conosce alla grande il mondo della produzione di Hollywood. Le illusioni più importanti sono create in segreto – al cinema quanto nella vita – da uomini, e preconfezionate per la massa: che crede in una verità, in un punto di vista confezionato ad hoc. Per mantenere gli equilibri c’è bisogno di bugie, anche a scapito del riconoscimento di chi ci ha messo corpo e anima in prima persona.

Tony (interpretato in prima persona da Affleck, in un’interpretazione un po’ più sentita del solito) è un uomo solo. Il rapporto con la moglie è in crisi, e non vede praticamente più suo figlio di 6 anni, che intanto sogna da casa altri mondi guardando Anno 2670 ultimo atto. Fragile, sull’orlo dell’alcolismo, schiacciato dal fantasma della solitudine, Tony è colui che si è preso sulle spalle un incarico più grande di lui: rischiando di venire scoperto, magari torturato ed ucciso. La sua parabola si chiude in modo speculare a quella del Doug di The Town: due destini diversi, ma restano entrambi a loro modo due “fantasmi”.

D’ora in avanti possono esserci SPOILER Sahar, la cameriera iraniana dei Taylor che ha capito che in casa si nascondono i fuggitivi, è costretta ad espatriare nella vicina Iraq. Proprio nell’anno in cui gli Stati Uniti, ancora una volta, interverranno nella questione politica dell’Iran e spingeranno l’Iraq a dichiararle guerra per otto anni. Intanto il Canada si prende tutti gli onori per aver contribuito alla liberazione degli ostaggi. Se non si facesse così, salterebbero tutti gli equilibri politici. Ancora: c’è bisogno di bugie.

Mentre gli Stati Uniti restano costretti a confezionare una realtà altra, i pupazzetti di Guerre Stellari sono ancora lì, sulle mensole del figlioletto di Tony. Argo si chiude proprio su questa immagine, quanto mai emblematica. C’è bisogno delle illusioni, c’è bisogno del cinema. Anche quando sembra morto ed è in fase di cambiamento: “John Wayne se n’è andato sei mesi fa… ed ecco cosa resta dell’America”. Chissà se, nel finale, quando si trova a dormire finalmente con il figlio, Tony non avrà ripensato ancora una volta alla frase che si scambiava di continuo con Lester e Chambers: “Argo vaffanculo!”.

Voto di Gabriele: 8.5
Voto di Federico: 8
Voto di Simona: 8

Argo (USA, 2012, Drammatico / Thriller, 120′) di Ben Affleck; con Ben Affleck, Bryan Cranston, Alan Arkin, John Goodman, Victor Garber, Tate Donovan, Clea DuVall, Scott McNairy, Rory Cochrane, Christopher Denham, Kerry Bishé, Kyle Chandler, Chris Messina, Michael Parks, Adrienne Barbeau – Qui il trailer italianoUscita in sala l’8 novembre 2012.