Home Animazione Tim Burton a Roma per presentare Dumbo: ‘Odio il circo, Bava, Fellini e Argento tra i miei maestri’

Tim Burton a Roma per presentare Dumbo: ‘Odio il circo, Bava, Fellini e Argento tra i miei maestri’

Tim Burton ha incontrato la stampa romana, motivando il perché abbia scelto di girare un altro live-action Disney dopo Alice in Wonderland.

pubblicato 27 Marzo 2019 aggiornato 29 Luglio 2020 20:21

E’ arrivato a Roma per ritirare l’ambito David alla Carriera, che gli sarà consegnato questa sera nel corso della cerimonia di premiazione dei David, in diretta su Rai 1 e in live-blogging su Cineblog, ma anche per presentare la sua ultima fatica. Dumbo in live-action.

Tim Burton, 60 anni, Leone d’Oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia, vincitore di un Golden Globe nel 2008 con Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street e solo due volte candidato agli Oscar (per La sposa cadavere e Frankenweenie), ha incontrato la stampa capitolina nella giornata di ieri, uggiosa e cupa come parte della sua filmografia.

Per Burton si è trattato del 2° live-action Disney dopo Alice in Wonderland, necessariamente mutato nel passaggio dall’animazione agli attori in carne ed ossa, quanto mai centrali così come i topoi classici del suo cinema. Anche se il circo, da sempre legato alla sua immaginazione, non l’ha mai particolarmente amato.

Pur avendo fatto più di un film su un circo, non li ho mai amati. I clown mi facevano paura e odiavo vedere gli animali esibirsi. Un animale selvatico non dovrebbe essere costretto a fare cose inusuali. Diversa cosa è lo zoo. Gli animali nei circhi non mi sono mai piaciuti. Faccio eccezione per cani e cavalli, che sembrano divertirsi.

Gli occhioni di Dumbo, esattamente come accaduto nel 1941, sono straordinariamente espressivi, ribadendo la centralità dello sguardo, specchio dell’anima, nel cinema burtoniano.

Dumbo è un personaggio che non parla, quindi le emozioni andavano espresse in modo diverso. Cercavo una forma semplice, pura, in un mondo tanto caotico. Abbiamo lavorato molto sugli occhi di Dumbo, pur di trovare la formula giusta. Quando ho letto lo script mi sono reso conto che c’erano diversi parallelismi tra Dumbo e gli altri personaggi. C’è sempre questo senso di perdita, di assenza. Chi ha perso i genitori, chi la moglie, il lavoro, il braccio. Volevamo esplorare la famiglia, anche non tradizionale.

Una famiglia che si è ricreata sul set, perché Burton ha voluto al suo fianco attori con cui aveva già lavorato in passato, ovvero Michael Keaton, Danny DeVito, Eva Green e Alan Arkin.

Era importante per me poter lavorare con figure che conoscevo bene, che ho già frequentato. In fondo, il circo è come un film, una famiglia, persone strane che provano a realizzare qualcosa. Vediamo l’arte che prova ad imitare la vita. Sono stato felice di poter tornare a collaborare con queste persone. Con Danny De Vito mi dicevo, ‘abbiamo fatto 3 film con ambientazione circense, e a nessuno dei due piace il circo’.

Un tempo assai polemico nei confronti della Disney, con cui esordì in qualità di animatore ai tempi di Red e Toby – Nemiciamici, Burton è tornato a collaborare con la major in modo continuativo, sotterrando l’ascia di guerra (“Come avviene in tutte le famiglie, c’è del buono e del non buono. La vita è così. Nessuna polemica. Voi amate la vostra famiglia sempre e comunque? Io non esisterei se non fosse stato per la realtà Disney dell’epoca. Non avrei mai potuto fare quel che ho fatto, se ci fosse stata una realtà più strutturata rispetto a quella che c’era un tempo”), motivando il perché abbia scelto proprio Dumbo, per questo suo secondo live-action.

Dumbo era il personaggio che più mi permetteva di fare il mio cinema, perché non si poteva semplicemente fare un remake di un film datato. Prendere tematiche di un certo tipo e trasformarle, questo mi ha attivato. Ho voluto puntare alla semplicità della tematica trattata, su questo personaggio che è chiaramente diverso dagli altri, ma che riesce a tramutare la propria debolezza in punto di forza.

Tra le scene più attese, e forse più complicate da realizzare, quella dei mitici ‘elefanti rosa’, che nel cartoon originale il piccolo Dumbo vedeva perché ubriaco.

Ricordavo perfettamente quella sequenza, una sequenza folle. Lo era un tempo e lo è ancora oggi. Era doveroso ricrearla ma in un contesto diverso. L’ispirazione l’ho avuta osservando alcuni artisti che usano le bolle di sapone. Mi sembrava il modo più onesto per entrare nella testa di Dumbo. Mantenere lo spirito originale di Dumbo, senza stravolgerlo più di tanto.

In questo Dumbo, inevitabilmente, c’è tanta CG, ma Burton ha preteso la costruzione di un gigantesco set, per mantenere i suoi attori in un contesto più reale possibile. Ma anche il suo cinema, inesorabilmente, si è fatto più ‘digitale’, dimenticando probabilmente l’artigianalità di un tempo.

Le cose cambiano, ora abbiamo a disposizione nuovi strumenti straordinari. Se mi mancano le cose più tradizionali? Certo che sì. Amo i film d’animazione classici, quelli in stop motion. Però continua ad essere presente la natura tattile, del fare cinema, e si cerca sempre di mantenerla, nonostante l’industrializzazione.

Passaggio finale, più che doveroso, nei confronti del cinema italiano, che l’ha formato in qualità di cinefilo e che tra poche ore lo celebrerà, con Roberto Benigni che gli consegnerà il David alla Carriera.

Federico Fellini, Mario Bava, Dario Argento, ma anche qualche film di Ercole per completare il quadro, sono figure che mi hanno ispirato. Dario è uno straordinario regista e ha un negozio pazzesco (Profondo Rosso, a Roma, ndr). Il David è un premio speciale per me. Non ricevo molti premi, poi mi sento a casa in Italia. Uno dei motivi per cui faccio cinema è grazie anche a figure come quelle prima menzionate.

Dumbo uscirà in Italia il 28 marzo, con oltre 700 copie.

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