Home Festival di Venezia Venezia 2019, Julie Andrews Leone d’Oro alla carriera: “Non sono perfetta, impreco e non so cucinare”

Venezia 2019, Julie Andrews Leone d’Oro alla carriera: “Non sono perfetta, impreco e non so cucinare”

Oltre 50 anni di carriera tra teatro, cinema e scrittura. Julie Andrews a 360° alla Mostra del Cinema di Venezia.

pubblicato 3 Settembre 2019 aggiornato 29 Luglio 2020 17:04

83 anni, un premio Oscar, cinque Golden Globe, due Emmy, tre Grammy, due BAFTA, un People’s Choice Award, uno Screen Actors Guild, un David di Donatello e tre nomination al Tony, Julie Andrews ha ricevuto dalle mani di Luca Guadagnino il Leone d’Oro alla Carriera nel corso della 76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

Il giorno dopo tale onore, la Andrews si è concessa una lunga conversazione con il pubblico, in cui ha risposto a decine di domande. Leggendaria e indimenticata Mary Poppins, Julie, a breve di nuovo in libreria con una nuova autobiografia, si è presentata al Lido insieme ad una delle sue tre figlie, a due nipoti, al genero e ad un po’ di amici.

Nei primi anni ’60 esplosa a Broadway, la Andrews si trovava dietro le quinte di Camelot quando Walt Disney in persona le chiese di interpretare la famigerata tata.

Credevo che fosse venuto a salutarmi per complimentarsi per il musical, ma mi propose di andare ad Hollywood, ascoltando nuove canzoni per scoprire quel film. Gli dissi che ero incinta di 3 mesi e lui mi disse, “ok, aspettiamo”. Si rivolse al mio ex marito (Tony Walton, ndr) e gli chiese, “lei cosa fa?”. “Sono un designer per il teatro”, rispose lui. “Quando verrai ad Hollywood portami il tuo curriculum”, e nel momento stesso in cui vide i suoi progetti gli affidò tutti i disegni del film. E ottenne una nomination agli Oscar. Disney aveva il sesto senso nei confronti del talento altrui, fu molto gentile.

Ottenuto a soli 27 anni il ruolo della vita, la Andrews ha ricordato anche quanto fu innovativo, e complicato, Mary Poppins, grazie ad effetti speciali per l’epoca rivoluzionari.

A quei tempi non c’erano tutte quelle aggiunte in CG dei giorni nostri. In Mary Poppins non si vede nulla. Nessuno di quei fili che ci permettevano di volare. Fu uno dei primi film tanto innovativi. Avevo un’imbragatura molto dolorosa per volare, non a caso le scene in cui volavo me le fecero fare tutte alla fine, perché temevano che potesse succedermi qualcosa. Una volta sentì che un filo si era spezzato e la cosa mi innervosì molto. Chiesi a quel punto di farmi calare molto lentamente, ma l’attrezzista mi fece scendere come un sacco di patate. E mi uscirono non poche parole che Walt Disney difficilmente sentì in altre occasiioni, dalla bocca di una donna.

Vinto l’Oscar, la Andrews girò quasi contemporaneamente Tempo di guerra, tempo d’amore di Arthur Hiller e soprattutto Tutti insieme appassionatamente di Robert Wise, che inizialmente faticò ad accettare.

Il rischio era che fosse eccessivo. Montagne, bambini, tutto molto bello, ma mi dicevo “tutto insieme? Davvero?”. Robert Wise la pensava allo stesso modo. Credeva che avremmo dovuto essere essenziali, ed evitammo l’eccesso. Sentimentale, ma senza strafare. Wise fu molto capace, un eccellente capitano. Ho tanti ricordi di quel film, che contemplano freddo, pioggia, montagne, tempi d’attesa infiniti. Nessuno disse ai produttori come quel posto fosse il settimo in Europa per pioggia. Poco sole, ma un luogo bellissimo. La scena d’apertura del film la girammo l’ultimo giorno. C’ero soltanto io. Ero ai lati di un campo e questo cameraman, su un elicottero, si avvicinava verso di me, rasente al suolo, come se fosse una gigante cavalletta che mi veniva incontro. Io dovevo solo girarmi, ad un certo punto, iniziare a cantare, e correre all’indietro. L’abbiamo fatto 6/7 volte, ma ogni volta che mi giravo quell’elicottero mi faceva cadere con la forza delle sue pale, perché era troppo vicino. E io mi lamentavo, perché mi ritrovavo sempre a mangiare paglia. A fine giornata ero così contenta di aver finito, e di potermi fare una doccia.

Eppure la carriera di Julie sembrava non volesse proprio decollare, almeno al cinema. Questo perché il ruolo di My Fair Lady, da lei agognato e interpretato a teatro, andò ad un’altra. Ma la vendetta è un piatto che va servito freddo, come dimostrato ai Golden Globe, quando Julie si concesse un epocale ‘ringraziamento’ per il premio vinto.

Avevo sperato che mi dessero My Fair Lady, ma alla Warner serviva una grande star, io non ero nessuno e chiamarono Audrey Hepburn, mia grande amica. Ero delusa, all’inizio, ma poco dopo la Disney mi propose Mary Poppins. Quando vinsi il Golden Globe per Mary Poppins mi alzai e ringraziai Jack Warner, che rese possibile tutto quello. Con il suo rifiuto.

Impossibile separare la vita e la carriera di Julie Andrews dal gigantesco Blake Edwards, suo secondo marito con cui girò ben 7 film insieme.

E’ difficile da raccontare, da spiegare, come fosse il nostro rapporto. Credo che lui mi capisse, credo che lui mi abbia voluto vedere non solo come la brava ragazza di turno, facendomi fare anche qualcosa di diverso. Anche io lo capivo molto bene, siamo stati sposati 41 anni. Era divertente, irriverente, pieno di gioia. Chiunque potrà dirvi che ad Hollywood tutti pregavano per poter lavorare con lui. Il nostro fu un lavoro molto innovativo. Film come Victor Victoria, ad esempio, ma tutti i nostri film avevano una visione inedita, innovativa.

E’ il 1982 quando Julie interpreta Victor Victoria, capolavoro poi nominato a sette premi Oscar che l’attrice inizialmente faticò ad abbracciare.

Dissi a mio marito, “in Victor Victoria faccio una donna che fa un uomo che fa finta di essere una donna”. Era una cosa impossibile. Dovevo essere uomo o donna? Ero molto preoccupata per la reazione del pubblico. Gli dissi, “non sarò mai credibile”, ma lui mi rassicurò. “Non ti preoccupare, farò in modo che tutti gli spettatori crederanno al fatto che tu sia un uomo”. Per la parte studiai molto gli uomini, come si muovono e siedono, con le gambe aperte e le mani nelle tasche. Poi cambiai la voce, rendendola più profonda. Un’operazione assai difficile. Il film era ambientato nel 1934, a Parigi. Non c’era nessun luogo in cui non trovare antenne o dispositivi moderni. Così girammo tutto all’interno degli studios. Questo diede inavvertitamente al film un’intimità che non avremmo avuto, in caso contrario.

Nel 1966 la Andrews girò Il sipario strappato di Alfred Hitchcock, ancora oggi mai dimenticato.

Ricordo una scena, ero a letto con Paul Newman (non male, aggiunge ridendo), su una barca. Si gelava, la scena era ambientata in Russia. A quel punto Hitchcock mise sul letto 10 coperte perché voleva far capire come fuori si gelasse di freddo, ma come dentro facesse caldo. Ma faceva così caldo che io e Paul non riuscimmo a creare alcun tipo di passione sulla scena. Così misero un ventilatore sotto le coperte, pur di rinfrescarci. Hitchcock amava travolgere i tuoi sentimenti, incutere paura e subito dopo farti ridere. Amava la manipolazione nei confronti dello spettatore.

Ci furono anche anni di insuccessi, per la Andrews, da lei elegantemente superati.

Non ci si può aspettare che tu possa vincere un premio ad ogni occasione. Ma in quei giorni ero ancora sulla strada dell’apprendimento, avevo fatto tre film che furono delle cocenti delusioni, ma avveniva tutto così rapidamente. Accettai film sotto consigli del mio agente, anche se non ne ero sicura. Non arrivavano script a pioggia, cercavo di essere cauta. Spesso guardo una sceneggiatura e mi chiedo, ‘ce la farò?’. Ora mi piace l’idea di poter fare la regista, ho diretto My Fair Lady in Australia. Mi piace scrivere, produrre, doppiare. Ho tanto ancora da fare. Sono sorpresa di stare tanto bene, alla mia età. Mi piace la vita, conoscere gente, sono così fortunata, sempre. Curiosa di mantenermi al passo.

Dall’alto della sua sterminata carriera, Julie ha provato a seminare consigli nei confronti dei più giovani, raccontando anche cosa non le sia mai piaciuto di Hollywood.

Ai più giovani dico studiate, sempre. Quando canto, quel che è importante sono sempre le parole. Se una canzone non ha nulla da dire, non si può cantare. Imparate tutti dal passato. Io ormai non canto più da quando ho avuto un intervento chirurgico che mi ha fatto sparire la voce, ma cerco di inserire la musica in tutto quel che faccio. Ho la musica sempre in testa, scrivo musicalmente. Quando ero più giovane si parlava di un’industria cinematografica, nei confronti di Hollywood, e mio marito impazziva perché a suo dire non andava considerato come un business, un’industria, ma arte. Invece è sempre stata un’industria. Odio l’ignoranza, la mancanza di empatia. Quella è la cosa che mi delude di più, ad Hollywood, che mi fa arrabbiare.

Se My Fair Lady è stato il film agognato per una vita ma mai arrivato, un’altra sua celebre interpretazione teatrale non è invece mai sbarcata in sala. Quella della Regina Ginevra nel musical Camelot di Lerner e Loewe, interpretato nel 1961. Eppure qualcuno le chiese di interpretarlo anche in sala.

Me lo chiesero, avevo già fatto Mary Poppins e Camelot mi sembrava troppo teatrale. Fu fantastico farlo a Broadway, ma non riuscivo a visualizzarlo al cinema. Così rifiutai, perché avevo altre proposte in ballo.

Sorridente, cordiale, ironica e fisicamente in formissima, Julie Andrews appare ancora oggi semplicemente perfetta, come il suo alter ego Mary Poppins. E invece…

Sono una cuoca terribile, sono la regina delle prime colazioni. Ho 10 nipotini, ma non so cucinare. Una volta ho provato a fare dei cookies, ma non avevo gli ingredienti adatti. Neanche si spezzavano, una volta usciti dal forno. Ah, e impreco.

Mary Poppins che vomita parolacce davanti ai fornelli. Chi l’avrebbe mai potuto immaginare?

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