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Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato: Recensione in Anteprima e Première di Londra in streaming

Domani 13 dicembre esce in Italia Lo Hobbit. Oggi mercoledì 12 dicembre avrete l’opportunità di condividere l’attesa per questo primo capitolo vedendo la Première di Londra in streaming dal canale Youtube di Warner Italia. Dalle 18.15, ora italiana. Qui sotto la recensione del film. E qui quelle dagli Usa.

pubblicato 12 Dicembre 2012 aggiornato 31 Luglio 2020 19:28

Lo Hobbit: Recensione in Anteprima

10 anni sono passati dal trionfo del Ritorno del Re, ultimo capitolo di una trilogia che ha innegabilmente scritto la Storia del Cinema. Due anni prima la New Line diede coraggio ad un regista neozelandese, praticamente sconosciuto ai più, affidandogli le redini di una produzione titanica. ‘Tale’ Peter Jackson. Nacque un mondo magico, incantato, capace di incassare complessivamente 2 miliardi e 912 milioni di dollari, e di vincere 4 Premi Oscar con il primo capitolo, 2 con il secondo, e ben 11 con il terzo, eguagliando Ben-Hur e Titanic. Mai nessuna saga aveva vinto tanto.

10 anni dopo, come detto, Jackson torna nella ‘sua’ Terra di Mezzo, dopo almeno 24 mesi di tira e molla continui che hanno visto partire, arenarsi e rinviare all’infinito il via alla produzione. Inizialmente doveva essere Guillermo Del Toro ad occuparsi de Lo Hobbit, ma alla fine proprio lui, Peter, ha accettato l’impresa più ardua. Ovvero tornare in casa Tolkien, per far sorgere il ‘prequel’ di quella trilogia che lo rese ‘leggenda’. Un rischio enorme, preso con coraggio e sfrontatezza, tanto dall’aggiungerci una vera e propria evoluzione tecnologica.

Perché dopo 10 anni di cinema ‘girato’ con 24 fotogrammi al secondo, Jackson ha voluto cambiare, raddoppiando i fotogrammi. Da 24 a 48. Per essere chiari: in Europa guardiamo l’HD televisivo a 30fps, mentre la tv la ammiriamo da sempre a 50 fps al secondo. Ora, questo ‘avvicinamento’ alla soglia televisiva voluto da Jackson era innegabilmente atteso, perché a suo dire ‘rivoluzionario’. Ma tutto si può dire tranne che abbia convinto e conquistato, tanto da limitare sensibilmente l’intera opera, che potremmo dividere in due parti. La prima lenta, quasi soporifera e visivamente più vicina a Fantaghirò che alla prima Trilogia; la seconda finalmente sorprendente, magica ed emozionante, come ci aveva ben abituato il Jackson del Signore degli Anelli.



250 pagine contro mille. Possibile che Jackson sia riuscito a dividere Lo Hobbit in 3 capitoli, come fatto con il più celebre ma anche se non soprattutto più ricco ‘fratello di penna’, portato in sala 10 anni fa? Purtroppo sì. Jackson e la Warner hanno ceduto all’idea dell’incasso facile, aggiungendo un ‘episodio’ all’annunciato doppio capitolo, sbrodolando vistosamente l’evoluzione della trama. Perché ciò che appare immediatamente evidente dinanzi a Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato, è la lunghezza eccessiva (172 minuti). Soprattutto nella prima parte a tratti inutile, allungata, forzata. A noi aiutare, sin dai primi minuti del ‘doppio’ prologo, è la tanto strombazzata novità dei 48 fotogrammi al secondo. Assistiamo infatti a due ‘incipit’. Con uno dei due Jackson collega Lo Hobbit alla Compagnia dell’Anello, primo capitolo della trilogia passata. Frodo si prepara alla festa, mentre Bilbo Baggins scrive un’avventura vissuta sessant’anni prima. Quella relativa a Lo Hobbit, per l’appunto. Con la voce narrante di Bilbo – Ian Holm, entriamo immediatamente nel cuore della trama, che vuole il Regno Nanico di Erebor protagonista. Devastato dal terribile Drago Smaug, il Regno viene distrutto e raso al suolo, costringendo i nani a vagabondare per la Terra di Mezzo. Questa scena, che da’ vita all’attacco di Smaug, evidenza tutti i limiti dei 48 fotogrammi al secondo. Perché l’immagine è nitida, troppo nitida e naturale. E’ semplicemente televisiva. La regia è frenetica, quasi scorbutica, mentre l’intera azione appare ‘velocizzata’, creando confusione e fastidio. Persino gli effetti speciali, davanti a cotanta luminosità, appaiono quasi ridicoli, per quanto evidenti.

Con il passare dei minuti, fortunatamente, lo choc dei 48 fotogrammi diminuisce, anche se la sua presenza si farà sentire per quasi tutta la durata dell’opera. Un’opera, come detto, che dovremmo dividere in più parti. Anche La Compagnia dell’Anello ‘presentò’ i suoi protagonisti, è innegabile, ma in modo decisamente diverso. Tutto ciò a causa dello scritto stesso di Tolkien. Perché Lo Hobbit non è il Signore degli Anelli. Non è epico come Il Signore degli Anelli. E’ avventura ed azione, è sicuramente magia e fascino, ma con un taglio differente rispetto a quello che nascerà solo successivamente. Più accessibile ad un pubblico adolescenziale e meno adulto, tanto da condizionare per forza di cose anche la sua trasposizione cinematografica. Assistiamo così ad una lenta ‘conoscenza’ tra Bilbo e i Nani, mentre la trama tira il freno a mano tirato nel momento in cui la ‘Compagnia’ si ritrova tra gli Elfi. Qui, estraendo dal cappello a cilindro il momento ‘revival’, Jackson si concede una signora reunion. Perché al fianco di Gandalf troviamo Galadriel/Cate Blanchett, Saruman/Christopher Lee ed Elrond/Hugo Weawing. Peccato che la scena tanto attesa sia inserita all’interno di una parte che appesantisce la narrazione, evidenziando l’eccessiva e stancante lunghezza. Qui, tra effetti speciali davvero evitabili ed un 48fps che torna a farsi notare con fastidio, compare anche Radagast, stregone ‘Guardiano’ della Terra di Mezzo, da tempo ‘offuscato’ causa funghi allucinogeni, da lui adorati. Il suo ingresso in scena, in sella a velocissime lepri, è straniante, per via di una CG ancora una volta ‘velocizzata’, e automaticamente frenata dalla (presunta) rivoluzionaria tecnologia.

Martin Freeman, diciamolo immediatamente, è uno splendido Bilbo Baggins. Goffo, credibile, coraggioso al momento giusto, divertente. Trascinato all’avventura da un sempre più protagonista Gandalf il Grigio (ben doppiato da Gigi Proietti), Bilbo si ritrova a dover convivere con 13 nani capeggiati dal leggendario guerriero Thorin Oakenshield, in cerca di vendetta nei confronti del drago Smaug. Attraverso terre piene di pericoli, abitate da Goblin, Orchi e malefici Wargs, la curiosa ‘Compagnia’ dovrà raggiungere l’Est e le Montagne Nebbiose, ma non senza ostacoli…

Proprio nel momento in cui il ‘vero’ viaggio ha inizio, il film cambia ritmo quasi per magia. C’è un momento topico che divide in due la pellicola, ed è quello relativo all’incontro con i giganti di pietra. Prima di questa scena, la storia si trascina, spesso con lentezza, alimentando sempre più l’attesa per la ‘svolta. Che arriva. Qui, tra i giganti di pietra, infatti, Jackson si ricorda di essere Jackson, dando vita ad una scena straordinaria. Piovono rocce sullo spettatore, grazie ad una regia sorprendente e ad un uso della CG sontuoso. Il tanto criticato 48 fps finisce il suo disturbo, lasciando spazio alla fantasia e all’immaginazione di un autore, Tolkien, finalmente diventata realtà. Superato il pericoloso e magnifico ostacolo, Gandalf e i Nani entrano nel tunnel dei Goblin, ed è qui che Lo Hobbit prosegue nel decollo. Perché lo scontro che sorgerà sarà epico, e sinceramente credibile sotto tutti i punti di vista, mentre Bilbo, finalmente maturato lungo il percorso dell’eroe, si troverà faccia a faccia con una vecchia conoscenza del Signore degli Anelli. Ovvero Gollum. Un maestoso Gollum. Tecnicamente cresciuto, in quanto a credibilità grafica, il Gollum di Andy Serkis è a due facce. Come sempre a due facce. Perché ha un tesoro da proteggere, un appetito da sfamare, e una doppia personalità da dover tenere a bada. L’incontro con Bilbo è ipnotico, per quanto riuscito, teso, cupo e misterioso. A far esplodere le acque quell’anello che noi tutti conosciamo, trovato da Bilbo e perso da Gollum, che solo 60 anni dopo diventerà leggenda, grazie al giovane Frodo.

Tutt’altro che stanco di regalare azione, Jackson si concede un ultimo faccia a faccia tra i Nani e i malefici orchi, trascinati da scattanti e micidiali Lupi Mannari. Anche qui il regista torna a stupire, appoggiandosi a quel ‘buio’ più volte venuto in suo soccorso, tanto da rendere affascinanti persino un branco di stupidi ed affamati troll, oggettivamente credibili nella loro rappresentazione fisica. Scenograficamente ovviamente nuovamente stupefacente, grazie alla naturalezza incantevole della Nuova Zelanda, e musicalmente inattaccabile, grazie al tocco riconoscibile di Howard Shore, Lo Hobbit ha sicuramente il merito di aver ridato forza ad un genere, quello fantasy, rilanciato proprio da Jackson 11 anni fa. Il problema di fondo, è ovvio, cade nello scontato ma immeritato paragone con Il signore degli Anelli. Perché se è vero che le due trilogie nascono dallo stesso autore, approdando in sala per mano dello stesso regista, è anche vero che tutto ciò accade grazie a due storie ‘differenti’, tanto dal taglio quanto dal tono.

Replicare ciò che 11 anni fa sconvolse Hollywood era impensabile. La sfida non era e non doveva essere questa, perché in caso contrario sarebbe stata persa in partenza. La sfida di Jackson era quella di completare un’opera, ufficialmente ‘divisa’ ma in realtà legata, da un unico autore e da un unico mondo magico, ancora una volta sapientemente ricreato. Ma frenato da alcune decisioni che lasciano spaesati. Parliamo degli ormai celebri 48 fotogrammi al secondo, troppo ‘videoludici’ nell’interazione con la CG e ‘televisivi’ nell’immagine per apparire realmente affascinanti, e della curiosa trovata di allungare la saga con un inedito capitolo, estrapolato dal tanto, troppo girato firmato Jackson, e platealmente allungato in questo primo ‘episodio’. Se il 3D rilanciato in grande stile da James Cameron (e in questo caso ‘avvolgente’ e poco sfacciato, ma intrigante) ha oggettivamente cambiato il modo di pensare il cinema hollywoodiano, questi 48fps (pochi i cinema che supporteranno il formato) potrebbero invece morire qui. Immediatamente. Con la nuova trilogia jacksoniana. Perché la magia di una sala cinematografica è da sempre un’altra cosa rispetto a quella di un televisore in HD. Ed è doveroso, se non addirittura necessario, che sia così. La ‘naturalezza’ sfrontata e cercata da Jackson con Lo Hobbit cozza platealmente con i toni fantasy che traspirano da qualsiasi pagina legata a Tolkien, finendo per lasciare lo spettatore troppo spesso basito, e a tratti perplesso. Anche se il ritorno nella Terra di Mezzo, difetti compresi, è sempre un piacere.

Voto di Federico: 6.5
Voto di Gabriele: 4

Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato (The Hobbit: An Unexpected Journey, Usa, 2012) di Peter Jackson; con Martin Freeman, Richard Armitage, Aidan Turner, Hugo Weaving, Elijah Wood, Ian McKellen, Cate Blanchett, Orlando Bloom, Christopher Lee, Andy Serkis, James Nesbitt, Adam Brown, Ken Stott, Mikael Persbrandt, Jed Brophy, William Kircher, John Callen, Mike Mizrahi, Robert Kazinsky, Graham McTavish, Stephen Hunter, Mark Hadlow, Peter Hambleton, Sylvester McCoy, Lee Pace, Evangeline Lilly, Benedict Cumberbatch, Stephen Fry, Ryan Gage, Conan Stevens, Billy Connolly – uscita giovedì 13 dicembre 2012