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A Dragon Arrives!: recensione in anteprima del film in Concorso a Berlino 2016

Stimolante quantunque confusionario l’ultimo film in Concorso quest’anno. È dell’iraniano Mani Haghighi, che con A Dragon Arrives! assembla un giocattolo complicato ma dal fascino innegabile

pubblicato 20 Febbraio 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 08:30

Che strano esperimento A Dragon Arrives!, film dell’iraniano Mani Haghighi. Talmente particolare da risultare oltremodo infelice lo slot assegnatoli, trattandosi dell’ultimo film del Concorso. Ed è un peccato poiché nella sua atipicità, nel suo essere sfuggente, forse addirittura sgangherato, si tratta di un progetto che vale la pena analizzare. Oltre ad essere praticamente l’unico, vero film di genere/i in Competizione.

Il 22 gennaio del 1965 l’ispettore di polizia Babak Hafizi viene spedito presso un antico cimitero nel deserto, accanto al relitto di una barca utilizzato come “soggiorno” per gli esiliati. Uno dei prigionieri si è appena impiccato, il che è strano, considerato che la sua pena avrebbe avuto termine all’incirca sessanta giorni dopo. Il mistero, quale che esso sia, sembra però legato proprio al luogo. Terremoti, strani versi, qualcosa di inquietante vive lì.

Non è certo opera conciliante quella dell’iraniano, che sovrappone costantemente più dimensioni, quella reale, quella onirica, quella allegorica. Lavoro stratificato, che pecca senz’altro nel suo impostare un discorso non necessariamente alla portata; parecchi, non a caso, restano i quesiti irrisolti, e non perché Haghighi non chiuda il cerchio ma proprio perché A Dragon Arrives! esige un’attenzione ed una capacità di elaborazione notevoli. Ed in tutta onestà al momento non saprei dire per certo se sia tutta colpa sua o meno, o per meglio dire, se non si sia fatto scappare la mano in corso d’opera oppure bisognasse sforzarsi un po’ di più.

Ciò che è invece possibile evidenziare è che ad un livello meno razionale, qualcuno direbbe “epidermico”, tema musicale e montaggio riescono a ricreare quel mix straniante che piace. Malgrado i pezzi che tocca lasciare per strada, non ti abbandona per un istante la curiosità di capire su cosa in realtà stiano indagando Hafizi ed i suoi due partner, un geologo ed un ingegnere del suono. E già queste due introduzioni, queste due figure professionali, rappresentano una felice intuizione, che c’informa della complessità della vicenda.

Un thriller/horror, questo, essenzialmente d’atmosfera, intriso di simbolismo e rimandi, oltre che strutturato in modo tale da lasciare spazio all’interpretazione, la qual cosa rappresenta in fondo croce e delizia di questo progetto. Haghighi mette su un enigma tutt’altro che immediato, ma allo stato attuale non si riesce a cogliere se l’ambiguità e le sfumature su cui si gioca tutto siano realmente connaturate al suo giocattolo o se al contrario si tratti di una misura aggiunta per celare qualcos’altro.

Malgrado ciò non riesco a rimanere indifferente dinanzi alla sfida lanciata dal film, che è, prima di ogni altra cosa, un’esperienza stimolante. Non frustrante, non direi, anche in virtù di quanto evidenziato sopra circa l’abilità del regista di tenere desta l’attenzione, di ingenerare il desiderio di capire, conoscere di che cosa si tratti esattamente, cosa i tre e l’Agenzia che li interroga a posteriori stanno cercando.

Ed anche il modo di argomentare si mostra interessante, visto che il film mescola non soltanto, come già accennato, più piani spaziali, ma si snoda anche attraverso più piani temporali. Si comincia con Hafizi interrogato post hoc, ovvero dopo gli eventi. Da quel momento in avanti si va a ritroso, tra suggestioni e ricordi, finché non si approda al punto iniziale e la storia prosegue da dove il film comincia. Nulla di originale ma che nell’economia del racconto ha un suo perché.

Resta, va detto, l’impressione che Haghighi ce l’abbia fatta sotto gli occhi, depistandoci sequenza dopo sequenza. In altre parole, esiste realmente un mistero dietro l’intera, intricata vicenda, oppure si tratta di un enorme, ironico McGuffin teso solo ad innescare il dispositivo della narrazione? Allo stato attuale a chi scrive basta questo, ovvero essere approdato a tale domanda, alla quale il film, semplicemente, potrebbe non avere risposta. Ci sto.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”7.5″ layout=”left”]

A Dragon Arrives! (Ejhdeha Vared Mishavad!, Iran, 2016) di Mani Haghighi. Con Amir Jadidi, Homayoun Ghanizadeh, Ehsan Goudarzi, Kiana Tajammol e Nader Fallah.

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