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Autopsy: recensione in anteprima

Due film in uno, Autopsy di André Øvredal, al suo primo film in lingua inglese, eccelle nella prima parte per poi lievemente affievolirsi nella più debole ed ordinaria seconda

pubblicato 7 Marzo 2017 aggiornato 30 Luglio 2020 01:22

Nell’obitorio di Tilden senior (Brian Cox) e junior (Emile Hirsch) un poliziotto porta il cadavere di una giovane ragazza: è stato prelevato pressoché intatto dal luogo dove si è svolta una carneficina di cui però è estremamente arduo comprendere le dinamiche. Lì per lì sembra un caso come tanti altri, anche perché, come dice il padre Tommy, al coroner non spetta fare congetture sul come ma solo descrivere tutto ciò che riesce a ricavare dall’esame del corpo.

Autopsy è un film che si divide sostanzialmente in due parti: la prima, se vogliamo scientifica, molto aderente alla raccolta di dati scrupolosa, sulla falsa riga di un CSI, giusto per avere un appiglio; la seconda, invece, è quella che ci scaraventa nell’horror vero e proprio, quando le varie anomalie riscontrate culminano nell’inspiegabile. Laddove non arriva la scienza, lì lavora il genere, servendosi del mistero per smuoverci, per rendere il tutto più interessante. Si scopre allora che il cadavere di Jane Doe cela un segreto tremendo, che è motore di tutto ciò che avviene da metà film sino al suo epilogo.

André Øvredal è consapevole del potenziale di questo passaggio da una dimensione a un’altra, e che tutto sta o cade in base a come il suo Autopsy riesca o meno a renderlo credibile, accettabile. Ecco perché la prima metà o giù di lì del film funziona molto bene, tanto che, qualora non si conoscesse a priori dove il film intenda andare a parare, si sarebbe portati a credere che si tratti di tutt’altro tipo di horror, nulla a che vedere col soprannaturale. Molto grafico, Autopsy non risparmia quasi nulla del procedimento che conduce gradualmente a scoprire cosa nasconda l’assurdo riscontro degli esami che i due Tilden vanno conducendo non senza un certo stupore.

Fondamentale si rivela il mantenimento dell’unità di tempo e di spazio, il non distoglierci dall’autopsia, che, per quanto in modo macabro, assume a tutti gli effetti le sembianze del racconto: è questa l’idea più riuscita e meglio integrata di tutto il film, che induce lo spettatore, a seconda della propria sensibilità, a dividersi tra la difficoltà, quasi la repulsione ad osservare il meticoloso smembramento di un corpo di per sé peraltro piacevole alla vista, e la curiosità di sapere quale altro frammento di storia possa svelare il momento successivo, sia esso la frattura della cassa toracica con una pinza o l’apertura del cranio.

In fin dei conti, se tutto procede anche dopo, quando i vari indizi combaciano in una maniera finanche troppo forzata, è proprio grazie a come viene gestita quella che a conti fatti è una vera e propria indagine, attraverso la quale Tilden sconfessa sé stesso: il coroner si è dovuto fare detective. Il fatto che la parte successiva, quella horror diciamo, non sia allo stesso livello non significa che non riesca ad attecchire: gli strani fenomeni che si verificano lasciano col fiato sospeso a prescindere dai pochi e comunque prevedibili jump scare, su cui non per nulla Øvredal fa poca leva. L’incipit resta perverso di suo.

Un mistery horror che perciò prima incuriosisce, per poi tenere comunque incollati, quando si è capito di cosa si tratta e non resta che il confronto con la verità appena emersa. Girato molto bene, paga proprio questa sua struttura all’interno della quale cerca di contenere due film, di cui il primo è notevole, mentre il secondo si risolve per lo più nell’ordinaria amministrazione. Qualcuno potrebbe perciò avvertire una certa frustrazione a fronte di premesse così incoraggianti, ma in generale il seppur evidente ridimensionamento non incide in maniera così marcata.

Autopsy non sarà dunque all’altezza dei suoi primi quaranta minuti, ma ha al contempo le spalle abbastanza larghe da sopravvivere con dignità ai restanti cinquanta o giù di lì; quasi un’ora in cui si avverte per lo più lo stacco netto, uno stacco che, come in parte già accennato, il regista norvegese gestisce con competenza, non consentendo al suo film di perdersi nemmeno in quei punti in cui tutto o quasi sembrerebbe suggerirci il contrario.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”6.5″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”7″ layout=”left”]

Autopsy (The Autopsy of Jane Doe, Regno Unito, 2016) di André Øvredal. Con Brian Cox, Emile Hirsch, Olwen Catherine Kelly, Ophelia Lovibond, Michael McElhatton, Parker Sawyers, Yves O’Hara, Mark Badham e Jane Perry. Nelle nostre sale da mercoledì 8 marzo 2017.