Home Notizie Bellezza e denaro bruciano: un grande progetto per un film

Bellezza e denaro bruciano: un grande progetto per un film

Cinecittà è piena di ricordi, sta per compiere i settantasette anni e l’eco del passato c’è ancora, ma non c’è nostalgia, solo voglia di sapere…

pubblicato 2 Marzo 2014 aggiornato 31 Luglio 2020 03:46

I filmoni americani, appoggiati da finanze internazionali, tornano nei giorni nostri ai giorni di Pompei, dove le ceneri delle burocrazie di casa nostra rimboccano spente coperte sui reperti archeologici alleggeriti dall’incuria e dai tombaroli.
L’ ultimo si chiama pomposamente Pompei (2014) ed è costato ottanta milioni di dollars. Boom di coriandoli. Giorni molto deludenti, quelli dei filmoni, hamburger paninosi al sugo di computer, polpette a cui non mancano certo le risorse, manca però l’anima, per così dire. Arrivano come i marines. Meglio “Pompei” del British Museum (2013), onesto documentario.

Quel che capita agli hamburger, è capitato a minestroni colorati tipo Troy (2004), in cui il gusto omerico sparisce tra il peperoncino fossile di qualche divo spaesato e la poco piccante cipolla della diva sformata da effetti generosi . Vanno a fondo, nella melma, il mito di Pompei e di Troia. Porca troia. I nostri occhi si ribellano agli automi inesistenti di masse virtuali: eserciti o flotte sterminati, diversamente nuovi ma in realtà gli stessi, anche se fatti da computer diversi.
Eppure. Se esiste ancora il filone storico-mitologico che vuole riportare alla seppellita Hollywood sul Tevere (muscles boys, bòne alla Jayne Mansfield, colonne di cartone date alle fiamme da Nerone) e all’alba del cinema (la “Cabiria” del muto o forse, come si deve dire oggi, diversamente udente), vuol dire che il fascino del fasullo incantato resiste; non muore, come non defunge la vecchia classe politica italiana abbarbicata alle colonne cartonate della nostra sfortunata repubblica, prima, seconda, terza …, vestiti rivoltati e non rottamati. La mia mente vola al passato. Al leggendario “Gli ultimi giorni di Pompei” (1959) di Mario Bonnard, aiuto Sergio Leone, Leone destinato al “Colosso di Rodi” (1961) e alla carriera che conosciamo.

Volto pagina. E vedo un “altro film”. Eccolo. Firenze dei Medici. Luci di fiamme sulle facciate delle case, nella città di mercanti e di banchieri, di artisti e di predicatori, tra gli occhi sgranati dei popolani. Falò di personaggi ed emozioni. Corpi e fantasmi della storia e dell’arte. Travolgenti. E’ una delle forti suggestioni che ha suscitato in me una Mostra che ho visto un paio di anni fa a Palazzo Strozzi di Firenze, molto visitata, con un allestimento colmo di visioni straordinarie, un successo vero. La riuscita Mostra suggerisce una grande storia. Fatti noti e soprattutto meno noti, ricostruiti a Palazzo Strozzi.

Un racconto, denso di immagini e di evocazioni, capace di rendere in modo appassionante tutti i “colori” della Mostra intitolata Denaro e Bellezza. I banchieri e il rogo delle vanità”: storia, storie, amori, conflitti, abitudini, costumi. I falò si accesero quando si incontrarono due vite, due personaggi, in un’epoca di artisti famosi come Botticelli, Paolo Uccello, Piero della Francesca, Beato Angelico, e molti altri del meraviglioso Rinascimento italiano. Artisti divenuti importanti, che lavorarono per i mercanti e i banchieri, gli appassionati committenti e anche gli ispiratori.

Scenario affascinante, destinato a durare nei secoli, inquietante, reso livido dalle fiamme dei roghi. Due vite parallele: quella di Lorenzo dei Medici, la più famosa casata di Firenze e della Toscana; e quella di Girolamo Savonarola. Lorenzo aveva tre anni più di Girolamo, un frate domenicano di Ferrara che fu invitato a Firenze dallo stesso Lorenzo, il Magnifico, signore della città, scrittore e mecenate che mai avrebbe potuto prevedere quel che sarebbe potuto accadere fra lui e il frate in futuro, in una Firenze percorsa da terribili rese dei conti.

Savonarola diventò in poco tempo un accanito oppositore di Lorenzo di cui non approvava le idee politiche – arrivò a chiamarlo “tiranno”; e lo trasformò con foga nel bersaglio dei suoi attacchi quale alto esponente del gran mondo mercantile: i ricchi e i vanitosi che a suo dire cercavano alibi nell’arte e nel culto della bellezza, pensando in questo modo di affrancare il denaro dalla volontà e dal peccato. Lorenzo morì a soli 43 anni, a causa di una infezione cancerosa. Il frate approfittò della situazione e pronunciò prediche che avevano forte contenuto politico, gridando alla folla: “Ecco, io rovescerò le acque del diluvio sopra la terra”.

In realtà, Savonarola accese dei falò. Più di uno. Falò di libri, quadri e altri oggetti, immagini considerate licenziose. Lo scempio di opere d’arte fu accettato da una parte della popolazione, ma anche accolto con “dispiacere di molti”. A Firenze divamparono proteste e scontri. Il convento di Savonarola fu assaltato e fra’ Gerolamo condotto in carcere. Il 23 maggio del 1498, nella stessa piazza sulla quale in febbraio era stato innalzato il “trionfo” moralizzatore per bruciare le “vanità” venne eretto lo “stilo”, il rogo, dove furono arsi Savonarola e due suoi compagni. Immagini, documenti, ambiente (il Palazzo Strozzi è in pieno centro storico di Firenze) conducono a temi stimolanti, da sviluppare. A cominciare da quello del Denaro. Demonizzato da Savonarola e dai moralizzatori. Riscattato dall’arte per iniziativa dei committenti, mercanti e banchieri, accusati poi di cercare proprio nell’arte un alibi rispetto al denaro strumento del demonio. Un mecenatismo di cui Lorenzo il Magnifico fu protagonista, ispiratore, additato dal Savonarola- che tradì la sua fiducia- come colpevole di aver spinto Firenze a costumi “carnascialeschi” riprovevoli. La Bellezza. Da scoprire e riscoprire. Nei quadri di grandi maestri, degli ambienti, dei luoghi; nei suoi valori. La Bellezza che vive come ricerca, come aspirazione di una esistenza degna. E di cui spesso la storia si dimentica. Quasi quasi ne faccio un film. Qualcuno mi dà una mano per trovare un produttore?

Nel video ad inizio post potete vedere la Lettera a Savonarola da “Non ci resta che piangere” (1984)