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Cineblog consiglia: The Truman Show

The Truman Show (USA 1998) Di Peter Weir. Con Ed Harris, Jim Carrey, Laura Linney, Noah Emmerich, Natascha McElhone, Holland Taylor, Paul GiamattiDomani notte, 16 febbraio, alle 2.40 su RaiunoDopo trent’anni di placida esistenza il giovane Truman comincia a capire che nella propria vita c’è qualcosa che non va. Scoprirà presto che si tratta di

15 Febbraio 2008 23:39

The Truman Show (USA 1998)
Di Peter Weir. Con Ed Harris, Jim Carrey, Laura Linney, Noah Emmerich, Natascha McElhone, Holland Taylor, Paul Giamatti

Domani notte, 16 febbraio, alle 2.40 su Raiuno

Dopo trent’anni di placida esistenza il giovane Truman comincia a capire che nella propria vita c’è qualcosa che non va. Scoprirà presto che si tratta di un’enorme messa in scena.

“The Truman Show” è da segnalarsi soprattutto per alcune assurdità. Non è sicuramente il film più bello o riuscito del bravo regista australiano Peter Weir (è ampiamente inferiore, per esempio, a “Picnic ad Hanging Rock”), eppure è sicuramente il suo lavoro più popolare e, ragionando per assurdo, il suo più grande successo, e non solo ragionando in termini economici. All’interno del sistema hollywoodiano, rispetto al quale Weir, quasi miracolosamente, è riuscito a mantenere una quasi totale indipendenza, il regista riesce, fatto più unico che raro, a realizzare un blockbuster d’autore d’autore da ottanta milioni di dollari, con un linguaggio complesso che però riesce, al tempo stesso, ad essere accessibile a tutti.

Carrey è perfetto nel ruolo che interpreta (ma la vera acting star è il meraviglioso Ed Harris), forse anche troppo. La sua recitazione è così intensa da risultare quasi incredibile. Di certo quella di Truman Burbank è la sua interpretazione migliore, eppure resta, in un certo qual modo, sempre inadatto al tono del racconto, inferiore al film per così dire. Eppure rimane difficile pensare a qualcuno che avrebbe potuto vestire meglio i panni del candido Truman, se non un giovane Jack Lemmon.

“Truman Show” si riconferma un paradosso anche perché è sicuramente il miglior film tratto dall’opera letteraria dello scrittore americano Philip K. Dick, anche se non troverete il suo nome citato nei titoli di coda. Eppure, l’influenza (per essere garbati) di un libro come “Tempo fuori di sesto” è più che evidente.

Eppure il film, anche se con qualche lungaggine, non si potrebbe definire meno che perfetto. La sceneggiature di Andrew Niccol (che quando scrive e non si ostina a mettersi dietro la macchina da presa, produce lavori eccezionali), è di una chiarezza sibillina, senza quasi mai scadere nel didascalismo.

Punto di arrivo di molte delle teorie di punta relative alla nostra epoca contemporanea (quella del villaggio globale, per esempio) ma anche di tante utopie e distopie narrative e cinematografiche, la pellicola rappresentò la perfetta chiusura (e il miglior commento) dell’appena passato XX secolo.
Meraviglioso senza essere perfetto, assolutamente da vedere.