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Hill of Vision: trailer e nuove clip ufficiali del film biografico di Roberto Faenza

Tutto quello che c’è da sapere su “Hill of Vision”, il biopic di Roberto Faenza sul premio Nobel Mario Capecchi al cinema dal 16 giugno.

15 Giugno 2022 13:26

Dal 16 giugno nei cinema italiani con Altre Storie Hill of Vision, il dramma biografico di Roberto Faenza che descrive la vita del Premio Nobel Mario Capecchi. Il film è basato sui ricordi dello stesso Capecchi, Premio Nobel per la medicina nel 2007, soffermandosi sugli anni della sua infanzia e adolescenza, che sono stati determinanti per ‘scrivere’ il suo futuro di scienziato.

Trama e cast

La trama ufficiale: Seconda guerra mondiale, Alto Adige. Mario ha solo 4 anni quando sua madre viene arrestata dai fascisti. Il piccolo trascorre l’infanzia per strada vivendo di espedienti. Finita la guerra, lui e la madre miracolosamente si ritrovano e ricominciano una nuova vita in America, presso la comunità Quacchera ‘Hill of Vision’. Mario non riesce a inserirsi nel nuovo contesto di normalità, fino a quando non scopre, grazie allo zio scienziato, la passione per la scienza. Basato sull’avventurosa vita di Mario Capecchi, Premio Nobel per la Medicina nel 2007.

Il film che vede Francesco Montanari (Romanzo criminale – La serie, Il cacciatore) nei panni di un Mario Capecchi adulto vanta un cast internazionale: Laura Haddock nel ruolo di Lucy Ramberg, madre di Mario; Edward Holcroft nel ruolo di Edward Ramberg, lo zio; Elisa Lasowski, nel ruolo di Sarah Sargent Ramberg, la zia; Francesco Montanari che interpreta Luciano Capecchi, il padre di Mario; Jake Donald – Crookes, nel ruolo di Mario da ragazzo; Lorenzo Ciamei nel ruolo di Mario da bambino; Rosa Diletta Rossi, nel ruolo di Anna.

Hill of Vision – trailer e video

 

Curiosità

  • Originariamente intitolato “Resilient” prima che il titolo cambiasse in ‘Hill of Vision’, il nome della comunità quacchera che accolse Mario Capecchi al suo arrivo negli Stati Uniti, giocando un ruolo cruciale nella sua formazione.
    Roberto Faenza (Jona che visse nella balena, Sostiene Pereira, I Viceré, Un giorno questo dolore ti sarà utile) dirige “Hill of Vision” da una sua sceneggiatura scritta con David Gleeson (Amici per la vita, Don’t Go). Gleeson e il regista Roberto Faenza sono alla loro seconda collaborazione dopo Anita B..
  • Nel film la fotografia è affidata a Giuseppe Pignone, i costumi al pluri-Premio Oscar Milena Canonero, con Bojana Nikitovic, la scenografia a Francesco Frigeri, le musiche a Andrea Guerra e il montaggio a Walter Fasano.
  • “Hill of Vision” presentato in anteprima al Bif&st alla presenza di Capecchi è stato accolto con grande calore e commozione. “Vedere il film è stata una grande emozione – ha aggiunto Il Premio Nobel per la Medicina Mario Capecchi, perché sono riaffiorati tantissimi ricordi, alcuni belli altri decisamente meno, ma credo che il film contenga tutti gli elementi della mia storia e soprattutto un messaggio importante: dobbiamo credere sempre in noi!”.
  • “L’idea di realizzare un film sulla vita del Prof. Mario Capecchi, premio Nobel per la medicina nel 2007, è nata per caso quando, qualche anno fa, ho letto della sua storia – afferma la produttrice Elda Ferri, Premio Oscar per La Vita è Bella. Fin da subito ci siamo convinti che questa vicenda straordinaria meritasse di essere raccontata, in quanto non solo è talmente avventurosa da giustificare in sé la produzione di un film, ma è anche ricchissima sotto il profilo psicologico, emotivo e morale. Rai Cinema, nostro partner storico, ha manifestato un immediato e concreto interesse per il progetto, coproducedo il film”.
  • “Hill of Vision” è una produzione Jean Vigo Italia con Rai Cinema, in compartecipazione con Rhino Films Inc.

Note di regia

Sono quindici anni che lavoriamo a questo film, ovvero dal 2007, da quando io e Elda Ferri abbiamo appreso della vita di Mario Capecchi, premio Nobel per la Medicina. Sua madre Lucy, americana, viene arrestata dai nazifascisti e deportata a Dachau, e Mario all’età di 4 anni viene abbandonato tra le montagne di Bolzano. Come può un bambino così piccolo sopravvivere vivendo alla giornata, senza mai un pasto caldo, e poi emigrare in America dove si trova ad affrontare altre enormi difficoltà? Sarebbe una storia incredibile se non fosse accaduta davvero. Infatti è stata la stessa Accademia del Nobel a segnalare che la biografia di Capecchi sarebbe perfetta per un film. Speriamo di essere stati all’altezza del compito. La cosa che più mi ha affascinato di questa impresa è stata l’idea di dovermi cimentare con la psicologia di Mario in quell’arco di tempo che va dai 4 agli 11 anni, il periodo che intendevamo raccontare. Come ha potuto quel bambino superare la fame, la povertà, l’abbandono prima della madre e poi del padre? Come è riuscito, partendo da una condizione di vita a dir poco impossibile, ad affrontare il passaggio dall’Italia all’America, da una lingua all’altra, dall’analfabetismo alla scienza? Ho sempre avvertito il fascino della psicologia infantile, che ho raccontato in alcuni miei film, da ‘Jona che visse nella balena’ a ‘I Viceré’. Anche in quei casi un bambino parte da condizioni tragicamente avverse, il campo di concentramento in Jona, un padre despota ne I Viceré, per poi essere capace di ribaltare la realtà, lasciare alle spalle il passato, far tesoro delle difficoltà e alla fine emergere pienamente. Freud sosteneva che nei primissimi anni di vita si forma il carattere di un individuo. È certamente vero nel caso del nostro piccolo Mario, che deve aver introiettato da sua madre Lucy un insegnamento così forte e potente da superare quell’inferno che ha vissuto sino a quando è stato ritrovato, allorché nel 1945 lei è tornata viva dal campo di concentramento. Anche Lucy è un personaggio di raro spessore, capace di arrivare in America solo per mettere in salvo il figlio e poi consegnarsi all’oblio per curare le proprie ferite. Non si esce da un lager indenni e la vita successiva della madre di Mario ne è una prova. La sceneggiatura di questo film ha richiesto molti anni di elaborazione. Intanto, partendo da una storia vera, la prima preoccupazione è stata di combinare lo spettacolo con la realtà. Sono stati anni di lavoro accanto a Capecchi, che oggi ha 84 anni, per il quale ricordare il suo passato non è stata una passeggiata. Tornare indietro nel tempo, affrontare momenti drammatici della propria vita, anche se poi accompagnati da molte gioie, comporta uno scavare dentro se stessi che richiede forza e dedizione. Ho contato il tempo dei nostri incontri e siamo a molte decine di ore registrate, oltre alle giornate spese a tornare sui luoghi dove ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza sia in Italia che in America. Più che ricercare le location dove girare il film, abbiamo scavato “le location dell’anima” di Mario. Gli snodi della sceneggiatura riflettono questo tragitto. Parlando con Mario ho avuto la sensazione di entrare in una miniera dove scendendo i vari piani si scopre sempre qualcosa di nuovo. Andando indietro con la memoria probabilmente neppure lui si aspettava di ricordare tanti episodi. Come quando Lucy, compiuta la sua missione di mettere in salvo il figlioletto, sceglie di ritirarsi, rendendosi conto di non poter fare di più. Entreranno in scena suo fratello Edward e la moglie Sarah, altri personaggi indimenticabili, raccogliendo il testimone e aiutando Mario a passare da una dolorosa infanzia a una fruttuosa adolescenza. Il senso del film è offrire allo spettatore gli stessi momenti di emozione e passione generati in me dall’incontro con la vita di Mario, un’avventura così appassionante che sembra un romanzo. Vedi ad esempio l’incontro con quella ragazzina che vuole essere chiamata Frank, con un nome maschile, rimasta orfana insieme al fratellino, che vagabonderà con Mario insegnandogli i trucchi della sopravvivenza. La trama della sceneggiatura si snoda su più piani: il momento dell’abbandono e dello spaesamento nel ritrovarsi solo a 5 anni, dopo due anni passati insieme ai contadini, e dover pensare ogni giorno a come mettere qualcosa nello stomaco per non morire di fame; il doversi comportare non più come un ragazzino, ma come un adulto per sopravvivere in tempo di guerra, dove la violenza quotidiana è la prima realtà da affrontare; la sorpresa di riabbracciare la madre dopo anni in cui la credeva morta; il viaggio in America e l’ingresso in un nuovo mondo, dove è d’obbligo parlare una nuova lingua, osservare nuove regole, lasciare alle spalle un tragico passato; infine il salto nel buio di una nuova realtà, all’inizio apparentemente ostile, poi foriera del più straordinario e meritato successo. Lo stile del film non può che essere questo: raccontare tutto ciò, sapendo che chi lo vedrà, se il risultato sarà quello che spero, uscirà arricchito da tante emozioni fuori dall’ordinario. Il messaggio è chiaro: se ce l’ha fatta Mario, partendo da una condizione così estrema, allora possiamo farcela anche tutti noi. Basta saper essere “resilienti”, ovvero non darsi vinti mai. [Robert Faenza]

La storia vera dietro il film

La storia di Mario Capecchi, nato in Italia e cresciuto negli Stati Uniti, richiama l’attenzione su molte inquietudini che caratterizzano la nostra epoca. Con il suo esempio e la sua tenacia, infatti, Mario offre una possibile risposta rivolta a credere nel futuro, a dispetto delle condizioni più avverse. 1941: Mario è un bambino di 4 anni. Sua madre Lucy Ramberg, americana cresciuta a Firenze, è una militante antifascista e si è trasferita sull’altopiano del Renon, vicino a Bolzano, per essere meno “visibile”. Luciano Capecchi, il padre di Mario, è un pilota dell’aeronautica militare, lasciato da Lucy che non lo ha mai sposato e che non condivide le sue scelte politiche. Lucy, temendo di essere arrestata, affida il bambino ad una famiglia di contadini. Appena in tempo: di lì a poco verrà arrestata e finirà in un campo di prigionia tedesco. Dopo poco più di un anno Mario, a seguito di una rivelazione che sente ascoltando di nascosto, abbandona la famiglia che lo ospita e dove pure si è trovato bene. Scende verso Bolzano, dove si unisce a bande di ragazzini anche loro orfani o abbandonati. In quegli anni non fa mai un pasto caldo, dorme all’addiaccio, ruba per mangiare, viene a più riprese chiuso in orfanotrofio, ma riesce sempre a scappare. A Bolzano Mario incontra una ragazzina di 12 anni che si fa chiamare Frank, orfana di guerra, e un bambino più piccolo, che non parla e che lei chiama “Fratello”. Frank è un personaggio indimenticabile per la sua forza e la sua originalità di carattere. I tre diventano una piccola banda, che sopravvive rubando, arte nella quale Frank eccelle e di cui insegnerà a Mario i segreti. Nel 1944, Mario parte alla ricerca del padre a Reggio Emilia. Luciano si rivela un uomo pericoloso e aggressivo, e dopo un episodio di particolare violenza Mario si dà nuovamente alla fuga insieme a Frank e a Fratello. Non rivedrà più il padre. Dopo qualche mese di vagabondaggio i tre finiscono in un orfanotrofio gestito da un giovane prete, Don Piero, che si affeziona a Mario, di cui, come dice spesso, vuole salvare l’anima. Mario risponde che non sarà possibile perché non resterà lì abbastanza a lungo. La loro serenità finisce quando Frank muore sotto un bombardamento. Mario e Fratello vengono soccorsi e portati in ospedali diversi, rimanendo separati per sempre. 1945: l’esercito americano arriva in nord Italia, liberando la popolazione dal giogo nazifascista. Nel 1946 Lucy, sopravvissuta alla prigionia, torna in Italia e con l’aiuto della Croce Rossa ritrova miracolosamente il figlio in un ospedale vicino a Reggio Emilia, proprio il 6 ottobre, il giorno del compleanno di Mario. È strano vederli insieme dopo tanti anni, pallidi, smagriti e in un mondo dove tutto è cambiato… Lucy si imbarca con Mario per gli Stati Uniti, dove vengono accolti da Edward Ramberg, fratello di Lucy, e dalla moglie Sarah, che li portano a vivere con sé in Pennsylvania, presso la comunità Quacchera di Bryn Gweled. Edward è un noto scienziato che lavora per la Radio Corporation of America e sta sviluppando la tecnologia della televisione a colori. Sarah è un’insegnante. Per Mario inizia una nuova vita, ma non è facile. Il ragazzo ha formato un carattere molto forte che non si adatta alle regole dei Quaccheri, la cui comunità si fonda sul rispetto e sulla collaborazione fra i suoi membri. Intanto Lucy si rende conto di non essere più in grado di crescere il figlio. L’esperienza nel campo di concentramento le ha tolto una parte di sé, e con una decisione struggente lascia Mario con Edward e Sarah, che vivono una vita improntata a valori solidi e non hanno figli. Per Mario il passaggio da una vita di vagabondaggi e di pericoli ad una fatta di ordine e serenità è traumatico. Il suo temperamento ribelle, gli scoppi d’ira, non facilitano il rapporto con gli altri. Oltretutto, per fargli imparare l’inglese, gli viene imposto di non parlare più italiano. A scuola, gli insegnanti sono delusi: il ragazzo è del tutto indisciplinato e non fa progressi. Intanto Lucy, dopo un ciclo di cure a Philadelphia, fa ritorno a Bryn Gweled, dove passa le giornate a scrivere poesie in giardino, come se avesse portato a termine la sua missione nella vita, che era quella di salvare il figlio. Mario siede accanto alla madre e di tanto in tanto interrompe il silenzio chiedendole del suo lavoro, della loro vita in Italia, del futuro. Lucy non risponde, come se fosse assente; eppure, misteriosamente, per madre e figlio quei momenti insieme sono preziosi. Il preside della scuola ritiene però che non ci sono speranze che Mario possa andare all’università e anzi lo espelle dalla scuola a seguito di una rissa. È un duro colpo: gli zii sono convinti che l’istruzione sia alla base di una vita piena e soddisfacente. Proprio per questo rifiutano di arrendersi. Sarah intuisce che il nipote ha bisogno di sentirsi libero come quando viveva nelle Dolomiti. Ma Mario deve comprendere la necessità delle regole. Sarah ha un’idea: introdurlo al mondo dello sport. Lo iscrive ad una palestra di lotta libera, dove Mario ha la possibilità di misurarsi con se stesso. Il combattimento alla fine del film decide di fatto le sorti del ragazzo. Mario Capecchi nel 2007 è stato insignito del Premio Nobel per la Medicina insieme ai colleghi Martin Evans e Oliver Smithies. Oggi, Distinguished Professor presso la School of Medicine dell’Università dello Utah, vive a Salt Lake City, ai piedi di una montagna che gli ricorda quella vicino a Bolzano dove ha vissuto da bambino. Le sue ricerche sulla genetica molecolare si sono rivelate di fondamentale importanza nella lotta contro gravissime malattie, in primo luogo il cancro, e sono attualmente rivolte allo studio delle componenti genetiche dell’ansia.

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