Home Recensioni I Bambini di Cold Rock: Recensione in Anteprima

I Bambini di Cold Rock: Recensione in Anteprima

Paul Laugier sbarca negli States con il suo primo film a stelle e strisce. Cineblog recensisce per voi I Bambini di Cold Rock

pubblicato 21 Settembre 2012 aggiornato 31 Luglio 2020 21:56

Ogni anno negli USA si registrano circa ottomila denunce di bambini scomparsi. La stragrande maggioranza di questi torna a casa nel giro di poche ore. Tuttavia una seppur piccola percentuale non si trova più. Che fine fanno? Da tali premesse muove la trama de I Bambini di Cold Rock, thriller che tratta un tema evidentemente delicato.

A fare da sfondo alle vicende è la classica cittadina americana, tanto piccola per chi ci è cresciuto quanto misteriosa per coloro i quali si trovano ad averci a che fare. E’ questo il caso del tenente Dodd (Stephen McHattie), spedito ad investigare su un caso ancora irrisolto, nei pressi di Washington.

Siamo a Cold Rock, e da queste parti gira una spaventosa storia, a cavallo tra realtà e leggenda. Pare infatti che un certo “uomo alto” sia solito rapire i bambini che risiedono in quel minuscolo centro extraurbano. Cosa ancora più terribile, nessuna delle povere creature fa più ritorno tra le braccia dei disperati genitori.

Lo spunto tende ad esercitare un innegabile fascino, intensificato dalla presenza dei bambini, aspetto che suscita maggiore riverenza verso ciò a cui si assiste. Sensazioni che si mescolano con una certa curiosità, anche se non prima di aver superato la mezz’ora circa dall’inizio del film. In questo lasso di tempo, giocando con la sempre intrigante manipolazione temporale (qui appena accennata, e giusto in apertura), assistiamo ad una fase per lo più descrittiva. Troppo.

I Bambini di Cold Rock parte, come appena evidenziato, dal punto in cui la narrazione approda a tre quarti di film, quando la trama comincia a dispiegare i suoi ultimi tentacoli e renderci consapevoli dell’insieme. Espediente notevole, che quasi in ogni caso finisce col funzionare. Eppure non tutto procede per il verso giusto. La storia dell’infermiera Julia Denning, il cui defunto marito è considerato un filantropo a Cold Rock, procede a tentoni.

Finché non viene coinvolta più da vicino nel mistero che si cela dietro la figura del cosiddetto “uomo alto”, il suo è un ruolo che si colloca in quella strana via di mezzo tra eroina ed investigatrice. Ciò che si ricava da queste battute è una certa inconsistenza di fondo, probabilmente dovuta al fatto che il film ci mette parecchio a decollare.

Nondimeno, anche quando ci riesce, le sue ali sembrano tarpate. Apprezzabile il capovolgimento con cui l’intero impalco narrativo muta completamente pelle, passando da una posizione al suo esatto opposto. Per certi aspetti ancora più notevoli le questioni che solleva, visto che, poco alla volta, la leggenda assumerà forme sempre più verosimili, fino a divenire cronaca vera e propria.

Offesa, ingiuriata, martoriata nello spirito e nel corpo, il personaggio di Julia svela forse con un attimo d’anticipo le sue carte, finendo col vanificare, almeno in parte, quello che a nostro parere è un ottimo ribaltamento narrativo. Il punto è che la reale potenza della storia raccontataci giace sepolta sotto le fondamenta di una sceneggiatura che poco osa e quindi poco sorprende.

Fino all’ultimo, quando davvero il film colpisce, manca quel guizzo tale da far leva nel modo giusto. In altre parole, si resta troppo in superficie, scelta che finisce con lo smorzare in maniera sin troppo netta il vigore insito in una storia su cui ci si sarebbe potuto soffermare con un respiro un po’ più ampio.

Di primo acchito, data la vocazione a mescolare le carte, non avremmo visto di cattivo occhio la possibilità di giocare in maniera più coraggiosa sull’alternanza dei punti di vista. Tale mossa, per esempio, avrebbe consentito un maggiore spessore ed una maggiore profondità anche in relazione a chi certi meccanismi li “subisce” e non solo di chi li mette in atto. Ma forse la preferenza è caduta volutamente su questo scarso approfondimento di fondo. Solo che probabilmente è soprattutto in questi passaggi che I Bambini di Cold Rock risulta poco incisivo.

Anche perché la prova dei protagonisti principali non è malvagia, specie quella di Jodelle Ferland, ragazzina da tenere d’occhio e di sicuro non semplicemente per la prova offerta in questo lavoro. Bene pure McHattie, mentre alla Biel manca quella naturalezza tale da reggere l’importanza del ruolo che il suo personaggio ricopre nell’economia della trama.

La stessa location, per quanto ispirata, contribuisce poco ad un’atmosfera a tinte timidamente horror in alcuni specifici frangenti. Quel che resta al termine della proiezione è uno strano retrogusto, frutto di una pietanza un po’ insipida ma che a priori non si presentava poi così male. E proprio perché ce sono di cose da salvare ne I Bambini di Cold Rock si resta ancora più perplessi dinanzi a un’opera che davvero di rado pare essere sul punto di trascinarci, per poi lasciarci immancabilmente stravaccati sulla poltrona. E pensare che Pascal Laugier è lo stesso dell’acclamato Martyrs. In questo caso siamo ahinoi su un altro livello però.

Voto di Antonio: 5
Voto di Carla: 5

I Bambini di Cold Rock (The Tall Man, USA, 2012). Di Pascal Laugier, con Jessica Biel, Stephen McHattie, Jodelle Ferland, William B. Davis, Samantha Ferris, Katherine Ramdeen, Colleen Wheeler, Teach Grant, Eve Harlow, Janet Wright, Kyle Harrison Breitkopf e G. Michael Gray. Nelle nostre sale da oggi, 21 Settembre. Qui trovate il trailer italiano ufficiale.