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Il Grande Gatsby: le recensioni dagli Usa e dall’Italia

E’ piaciuto ai critici il film diretto da Baz Luhrmann?

di carla
pubblicato 19 Maggio 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 14:31

Avete visto Il Grande Gatsby? Allora, vi è piaciuto o vi ha deluso? Dopo aver letto la nostra recensione dal Festival di Cannes 2013, ecco che oggi vi propongo un’occhiata a quello che hanno scritto i critici Americani e Italiani.

Anton Bitel – Grolsch Film Works: Luhrmann rielabora un classico molto amato in qualcosa che, pur ambizioso, è venato di un senso di vuoto e di delusione.

Stefan Pape – HeyUGuys: Il grande Gatsby non è una cattiva produzione, è solo un po’ deludente dato le aspettative.

Jane Crowther – Total Film: Come Gatsby stesso, il film è una bella attrazione in cui la ricchezza vertiginosa è spudoratamente ostentata.

Eddie Harrison – The List: l’approccio sgargiante di Luhrmann è appropriato al materiale.

Ken Hanke – Mountain Xpress (Asheville, NC): Il film di Luhrmann cattura l’essenza del libro come nessun’altra versione.

Robert Roten – Laramie Movie Ambito: è come combinare il 4 luglio a Washington con il Mardi Gras a New Orleans.

Al Alexander – The Patriot Ledger: piuttosto noioso.

Pete Hammond – Movieline: Non c’è mai stato un film del genere. Di Caprio offre una delle sue migliori performance.

Jeanne Kaplan – Kaplan vs Kaplan: “Il grande Gatsby” è un paradiso visivo. E’ incredibile e mozzafiato. Fitzgerald si sarebbe entusiasmato!

David Kaplan – Kaplan vs Kaplan: Una produzione sontuosa che dispone di una intensa performance di Leonardo DiCaprio.

Dann Gire – Daily Herald (IL): Ecco un caso in cui la fedeltà a una fonte letteraria non funziona bene.

Justin Craig – FoxNews.com: il libro di Fitzgerald si presta molto bene a questo adattamento.

Steve Crum – Video-Reviewmaster.com: E’ una questione di stile: ultra colorato, costumi e scenografia superbi, e il tutto in 3-D.

Bob Bloom – Journal and Courier (Lafayette, IN): “Gatsby” è abbagliante ed esasperante. Luhrmann esagera nel ritrarre la superficialità dell’epoca, martellante attraverso la musica ad alto volume e colori vivaci.

Fr. Chris Carpenter – Movie Dearest: Più vivace rispetto a qualsiasi altra versione precedente.

Connie Ogle – Miami Herald: Un fallimento che avrebbe dovuto essere un magnifico errore.

Jason Anderson – The Grid: Luhrmann non ha la finezza di Fitzgerald quando si tratta di gestire il passaggio tra satira e pathos.

Rick Groen – Globe and Mail: E’ un adattamento fantastico che riesce non solo come un lavoro del cinema, ma anche, meravigliosamente, come prova della grandezza del romanzo.

Rebecca Murray – About.com: Il grande Gatsby è appariscente ed energico, ma mai emotivamente coinvolgente.

Mark Dujsík – Mark Reviews: Questo è Fitzgerald, visto attraverso gli occhi di un cronista mondano.

Keith Phipps – NPR: Luhrmann ha grande cura con i ritmi delle singole scene, ma il film nel suo insieme suona come un lungo arrancare attraverso una storia familiare.

Peter Rainer – Christian Science Monitor: Con Luhrmann, tutto si trasforma in Mardi Gras.

Lawrence Toppman – Charlotte Observer: DiCaprio cattura tutti i lati di Gatsby: la durezza del truffatore, la morbidezza di un uomo che ha bisogno di un confidente, la follia di un sognatore che investe in un sogno morto.

Cameron Meier – Orlando Weekly: Vedete il film per quello che è: un’eccitante, celebrazione visiva di amore, di vita e di desiderio.

Paul Doro – Milwaukee Journal Sentinel: Che occasione persa.

Peter Travers – Rolling Stone: Quest’estate ci possono essere film peggiori di Il Grande Gatsby, ma non ci sarà una delusione più schiacciante.

Stephen Whitty – Newark Star-Ledger: La vera star di un film di Baz Luhrmann deve essere Baz Luhrmann.

Dustin Putman – DustinPutman.com: Un paese delle meraviglie sensoriale.

Matt Zoller Seitz – Chicago Sun-Times: Anche quando il film non funziona, il suo stile affascina.

Joanna Langfield – The Movie Minute: Baz Luhrmann ha consegnato un adattamento che è imperfetto, ma anche maledettamente affascinante.

Clint O’Connor – Cleveland Plain Dealer: Leonardo DiCaprio e Tobey Maguire sono fantastici.

Victoria Alexander – Las Vegas Informer: DiCaprio fa del suo meglio per salvare la sua dignità.

Roger Moore – Movie Nation: DiCaprio offre la migliore prestazione della sua carriera.

Christy Lemire – Associated Press: è tutto uno scintillio, ma non ha anima; e il fatto del 3-D ingrandisce solo la sensazione di artificiosità.

Caryn James – James on screenS: DiCaprio è meraviglioso, ma non può salvare questo film.

Lou Lumenick – New York Post: Un film che non può essere veramente grande, ma di certo spicca come un faro in un mare di stupidi blockbuster.

Rafer Guzman – Newsday: DiCaprio centra il bersaglio.

Alonso Duralde – The Wrap: Questo film segna il momento ufficiale in cui lo stile della firma di Baz Luhrmann è diventato auto-parodia.

Maurizio Porro – IlCorriere: Quarta versione del romanzo di Scott Fitzgerald in versione fastosamente patinata, marketing anni 20, quasi un musical ruggente in cui si disperde il senso tragico della figura dell’infelice eroe del sogno americano già diventato incubo e d’un amore impossibile. Luhrmann distrae con la cinepresa ottovolante e inutili 3D, ma sotterra il valore del romanzo sotto il glamour. Accarezza, non morde. La Mulligan è fuori parte, DiCaprio spesso anche, bravo lo spider man Maguire.

Paolo Mereghetti – IlCorriere: O so? Ma sì, oso: Il grande Gatsby di Baz Luhrmann è noioso! E lo dico non per «lesa maestà» nei confronti di Scott Fitzgerald (ognuno è libero di tradire i capolavori come meglio gli aggrada, anche facendo del personaggio narrante un romanziere in cura da uno psichiatra), ma proprio in confronto agli altri film di Luhrmann. Specie Moulin Rouge!. Non c’è più il piacere trascinante di quel film, l’entusiasmo e la voglia di originalità che riscattavano (quasi) tutto, a partire dal kitsch. Oggi mescolare jazz e hip hop non fa ritrovare la forza libertaria del rock, capace ieri di vivificare la storia d’amore di Satine e Christian. E il kitsch si svela per quello che è veramente: solo cattivo gusto! Ma soprattutto infastidisce di questo film, sceneggiato dal regista con il solito Craig Pearce, l’inutile e costante sottolineatura di ogni situazione, di ogni battuta. Come se il pubblico non fosse più capace di «capire» quello che sta avvenendo sullo schermo e avesse bisogno di spiegazioni di ogni tipo. Che nel film si trasformano in dialoghi senza verità, in scene senza mistero. E questo è forse il tradimento più grande verso Fitzgerald, che proprio dell’essenzialità e del sottinteso aveva fatto la sua chiave espressiva. No, Jay Gatsby non è il misterioso avventuriero su cui si accavallano le ipotesi: lo vediamo trattare con ogni tipo di banditi, occuparsi direttamente dei suoi interessi nel contrabbando di alcol, approfittare del suo potere di ricatto su politici e poliziotti. E anche il suo imbarazzo nei confronti dell’amata Daisy, che non vede da cinque anni e che lo ha bellamente tradito per accasarsi con un ricco e debosciato milionario, anche quelle titubanze finiscono per apparire parodiate (e non sofferte) da una recitazione troppo sottolineata, troppo marcata. Non se ne fa una colpa specifica a Leonardo DiCaprio: è chiaro che sta ubbidendo alle indicazioni del regista ma sullo schermo fatica a trovare quella compostezza e quel sottotono che facevano la forza di Redford nella versione dello stesso romanzo firmata da Jack Clayton. E il paragone è ancor più impietoso tra la Daisy di Carey Mulligan (una bambina mai cresciuta) e di Mia Farrow (perfetta nel suo essere fatua e superficiale ma insieme attratta). Alla fine resta solo lo sfarzo pacchiano di una ricchezza eccessivamente ostentata, effetti digitali totalmente gratuiti e un 3D di cui francamente sfugge la necessità. Dal festival di Cannes ci aspettavamo qualcosa di meglio.

Roberto Nepoti – la Repubblica: Adattamento del notissimo romanzo di Francis Scott Fitzgerald (1925), già portato sullo schermo con Redford e Mia Farrow nei ruoli principali: un uomo divenuto ricco per realizzare un sogno d’ amore, Jay Gatsby, e una donna sposata che ha sentimenti meno profondi dei suoi. Luhrmann unisce dramma e musica, stinge il colore per conferire un’ atmosfera rétro, impone il 3D. La somma è un kolossal meno ipnotico di quanto vorrebbe; a tratti, anzi, un po’ inerte.