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Nessuno ne uscirà vivo, recensione: l’horror sovrannaturale di Netflix funziona a metà

Dal 29 settembre su Netflix “Nessuno ne uscirà vivo”, un nuovo horror sovrannaturale che miscela immigrazione clandestina e mitologia pre-colombiana.

30 Settembre 2021 16:16

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Dal 29 settembre è disponibile su Netflix Nessuno ne uscirà vivo, un horror sovrannaturale che prova a raccontare l’immigrazione clandestina miscelandola con una interessante digressione horror ispirata alla mitologia pre-colombiana. Il film diretto dall’esperto in effetti visivi Santiago Menghini alla sua prima regia non può evitare il confronto con His House, altra recente produzione Netflix e inquietante gioiellino diretto dall’esordiente Remi Weeke. Purtroppo dal confronto “Nessuno ne uscirà vivo” ne viene fuori sconfitto poiché il film di Menghini non riesce a dare consistenza ai vari elementi del racconto: in primis nel raccontare con efficacia gli immigrati clandestini senza un eccesso di stereotipi e poi nel non riuscire a sfruttare a dovere la suggestiva premessa, narrata in un incipit girato in super 8 dal Professor Arthur Welles che ci porta in un sito messicano di scavi del 1963, dove l’archeologo rinviene una misteriosa cassa di pietra.

“Nessuno ne uscirà vivo” è basato sull’omonimo e acclamato racconto dello scrittore Adam Nevill, già autore de Il rituale, un altro horror adattato da Netflix nel 2017. Il lavoro di Nevill in qusto caso viene adattato dalla sceneggiatrice Fernanda Coppel al suo primo lungometraggio dopo aver scritto episodi di The Bridge, Dal tramonto all’alba – La serie e Regina del sud. Coppel ha scritto “Nessuno ne uscirà vivo” da un soggetto di Jon Crocker (The Woman in Black 2 – L’angelo della morte).

Il film è incentrato su Ambar interpretata da Cristina Rodio, un’immigrata clandestina proveniente dal Messico e approdata negli Stati Uniti e più precisamente in quel di Cleveland, Ohio. Ambar è alla disperata ricerca di un documento falso che le potrebbe cambiare la vita e nel frattempo subisce quotidiane vessazioni da un datore di lavoro che sfrutta manodopera illegale, viene truffata da un’amica e trova un alloggio in una vetusta e fatiscente pensione per sole donne gestita da un uomo ambiguo e dal fare sospetto (Marc Menchaca). Lo status di clandestina di Ambar la costringe a scendere a patti e a restare nella casa anche quando cominciano a manifestarsi, in un crescendo di incubi e apparizioni, strani eventi sovrannaturali, eventi che sembrano legati al padrone di casa e a suo fratello (David Figlioli) che presto riveleranno le loro vere intenzioni, e per Ambar e le altre inquiline sarà l’inizio di un brutale incubo ad occhi aperti.

Nella trasposizione da libro a film sono state apportate delle modifiche allo scopo di incorporare il tema dell’immigrazione: la Stephanie Booth del libro è diventata l’immigrata Ambar, l’appartamento si amplia in una pensione per introdurre altre donne immigrate in difficoltà, le prostitute rumene e la triste ed evanescente Freja (Vala Noren). Tutte modifiche puntate ad arricchire la gamma di caratterizzazioni, ma a parte la volenterosa protagonista ogni altro personaggio appare appena abbozzato e finisce per perdersi nei meandri della casa, apparendo e scomparendo senza dare nulla di concreto al racconto, tanto da arrivare a somigliare agli evanescenti spettri che ad un certo punto si manifesteranno nella casa come una sorta di avvertimento per Ambar, ma anche questi ultimi rimarranno inesorabilmente ai margini in momenti in cui dovrebbero invece regalare qualche fugace brivido a puro scopo ricreativo.

Un finale brutale ed efferato, a noi particolarmente gradito, deflagra letteralmente nell’ultimo atto del film dando una sferzata al ritmo. In un epilogo di una ventina di minuti, evidentemente troppo compresso, scopriamo tutto quello che sarebbe stato meglio scoprire, almeno in parte, nell’ora precedente. Scopriamo cosa nascondevano i due fratelli, quale è l’utilizzo della misteriosa scatola e soprattutto facciamo la conoscenza della vera star del film, la creatura a cui sono indirizzati i sacrifici umani, un demone da incubo il cui singolare design, che strappa l’applauso, pare creato ispirandosi alla peculiare modalità in cui le civiltà della Mesoamerica combinavano persone e animali, creando bizzarre creature simbiotiche.

Detto ciò “Nessuno ne uscirà vivo”, nonostante gli evidenti limiti e il suo banalizzare lungo la strada l’elemento sociologico, sarà comunque in grado di intrattenere i patiti di horror meno scafati, e poi il solo dare una sbirciatina al bizzarro demone nella scatola può valere comunque la visione.