Pasolini: a Roma tra set, trama, misteri, dichiarazioni e prime foto del film di Abel Ferrara
A Roma con il “Pasolini” di Abel Ferrara, in tour con ‘la cronaca degli ultimi giorni di vita di Pier Paolo Pasolini’, tra set, trama, misteri, dichiarazioni, qualche indiscrezione e prime foto del film.
Da trentanove anni la morte di Pier Paolo Pasolini è un mistero senza risposte, che tesse trame imperfette di macchinazioni, complotti e crimini, confessati, ritrattati, mai svelati.
Dopo inchieste, libri, film e ricostruzioni, tanto particolareggiate quanto vane, un filmato ‘inedito’ girato da Sergio Citti (fratello del Franco di Accattone) il giorno dopo la morte di Pasolini all’Idroscalo di Ostia, torna alla luce dopo 35 anni, come ‘film nel film‘ di Mario Martone, insieme ad indizi e testimonianze scottanti di un ex Ragazzo di Vita.
L’ennesima occasione ‘vana’ per riaprire le indagini chiuse dopo l’arresto di Pino Pelosi (entrato in carcere senza una goccia di sangue del corpo straziato di Pasolini), il 17enne “Pino la rana”, reo confesso e unico condannato per l’omicidio che in seguito ritratta.
In questi giorni a riaprire di nuovo il ‘vaso di Pandora’ è Abel Ferrara da Roma, set della sua ‘cronaca degli ultimi giorni di vita di Pier Paolo Pasolini‘.
Quel biopic che porta solo il nome di Pasolini (almeno per ora), e a quanto pare una scena della morte molto diversa da quella riferita da Pelosi. Un finale che si cura poco dell’indagine, di eventuali complotti, e dell’etichetta (tipico di Ferrara), stando a quando riportato dal Venerdì di Repubblica.
«Me ne fotto. Questo è un film, non un’indagine. Non me ne frega niente di chi l’ha ammazzato e come. Io mi occupo della tragedia, di quello che abbiamo perduto. Pasolini è morto a 53 anni, avrebbe potuto continuare a dire e a fare tantissimo. Molti suoi contemporanei sono ancora qui».
Un’affermazione toccante, e ‘apparentemente’ in contraddizione con quel “So chi l’ha ucciso“, diffuso a macchia d’olio dal settimanale ‘Oggi’, ma tale da fornire l’occasione a Stefano Maccioni, avvocato difensore di Guido Mazzon, cugino della vittima a caccia della verità, per inoltrare una richiesta formale ai magistrati della Procura di Roma che hanno riaperto (nel 2009) il fascicolo sulla morte di Pasolini, al fine di convocare il regista per sondare la plausibilità dell’affermazione.
Un’affermazione audace, che suona a parecchi come una sensazionalistica trovata pubblicitaria, ma potrebbe anche sorprenderci con la poetica analisi che meriterebbe un grande poeta del calibro di Pasolini, e l’intellettuale scomodo che ha sfidato le ombre d’Italia (e il governo di marionette) con ‘Io so‘.
Affermazioni a parte, la sceneggiatura, scritta con Maurizio Braucci (collaboratore di Matteo Garrone per Gomorra e Reality), e i set del film prodotto dalla Urania con il contributo del MiBACT, partono da Roma, dopo il ritorno da Parigi per la presentazione del suo ultimo film e la scena dell’intervista francese su Salò, con il cinquantanovenne Willem Dafoe nei panni spaventosamente somiglianti del grande scrittore (morto a 53 anni), diviso tra il mondo dell’intellettuale borghese che vive con la madre scrivendo sui giornali, e quello dell’uomo che segue natura e temperamento di notte consapevole del prezzo che deve pagare.
L’attore che a dire di Abel Ferrara «è capace anche di levitare se glielo chiedi» e probabilmente non lo doppierà:
«Will vive da sette anni in Italia, è sposato con un’italiana, abbiamo confrontato la sua voce con quella di Pasolini. Identica».
Another look at Willem Dafoe as Pier Paolo Pasolini: http://t.co/SRXSzHV0rY pic.twitter.com/i1Gq6DRKeK
— The Film Stage (@TheFilmStage) 19 Marzo 2014
“Ci sono tanti libri, tante lettere, tante congetture. È stato un tale gigante! Ho visto tutti i suoi film. E ho cominciato a leggere e a pensare alla forma di questo materiale. Parte del dialogo viene dalle cose che ha detto, ma non abbiamo cercato di attenerci alla realtà. Abbiamo incontrato persone che hanno conosciuto Pasolini, che non volevamo tradire. Vorremmo onorare la sua memoria, senza paralizzarci, dobbiamo considerare l’uomo e le sue azioni, per evitare qualsiasi tentazione nel fare delle lodi eccessive, evitare la propaganda.” Willem Dafoe, Le Monde
Sceneggiatura e set tornano alla mattutina lettura dei giornali, in una casa dell’Eur simile all’appartamento al civico 86 di via Fonteiana a Monteverde, dove Pier Paolo vive con la madre Susanna Colussi, sin da quando arriva a Roma, il 28 gennaio 1950, sospeso dall’insegnamento, espulso dal Partito comunista italiano, «povero come un gatto del Colosseo».
Un viaggio nell’universo culturale e interiore di Paolini, dai bassifondi della città a quelli della coscienza, dal pranzo con il cugino Nico Naldini e Laura Betti al rapporto con la madre Susanna, passa anche per il pratone della Casilina di quel Petrolio vischioso e incompiuto, che in passato ha già offerto letture «inquietante per l’Eni» a Marcello Dell’Utri, l’interrogazione parlamentare di Veltroni, stimoli per riaprire l’istruttoria, e a Ferrara l’occasione per far tornare Pier Paolo a giocare a pallone con i ragazzetti di periferia, in abiti ‘da signore’, come farà la grande mostra ospitata Palazzo delle esposizioni di Roma (dal 15 aprile al 20 luglio 2014).
«Nelle ultime 24 ore non credo proprio che abbia giocato, ma lo faceva sempre. Se era in macchina e vedeva una partita, accostava e scendeva in campo».
Insieme a due scene dedicate a Petrolio, ce ne sono tre anche per il film incompiuto Teo-Porno-Kolossal, scritto per Eduardo De Filippo nel ruolo del Re Magio Epifanio in viaggio dietro la la Stella Cometa che annunciava la nascita del Messia, in compagnia del suo servitorello Nunzio (suo angelo custode travestito), che avrebbe dovuto interpretare Ninetto Davoli.
Ninetto, attore e amico, che non ha mai smesso di amarlo e ricordarlo, di nuovo anche al cinema con il documentario di Gianni Amelio sull’Italia ‘differente’, che al film dedica un piccolo cammeo, oltre ad offrire la propria consulenza.
Si gira alla stazione Ostiense in attesa di un treno lentissimo dal quale scende Ninetto Davoli, nella parte che doveva essere di Eduardo, con papillon, marsina, occhi ‘ridarelli’, un pacchetto regalo e lo schiavetto al seguito, interpretato dal Riccardo Scamarcio.
Per quattro giorni le riprese sono tornate a cena da Pommidoro, il ristorante di piazza dei Sanniti, nel quartiere San Lorenzo, frequentato abitualmente da Pasolini con Elsa Morante, Alberto Moravia e Laura Betti, dove il padrone Aldo conserva ancora quell’assegno di undici mila lire mai incassato, con il quale Pasolini pagò il conto la sera prima di morire.
La stazione Termini torna ad essere crocevia di incontri e vite, insieme al rimorchio di Pelosi, interpretato da Riccardo Scamarcio, come la storica trattoria Al Biondo Tevere, sulla via Ostiense, torna ad essere teatro della loro cena, con arredi d’epoca che i proprietari hanno deciso di tenere anche dopo la fine delle riprese. Un salto nel passato per chi allora c’era, come Giuseppina Panzironi, che da oltre cinquant’anni lavora nella cucina della trattoria
“Assistendo alle riprese mi sono venuti i brividi. Sono stata testimone di quella cena, e dopo ciò che è accaduto, quelle immagini si sono impresse per sempre nella mia memoria. Pasolini arrivò con Pelosi che già stavamo chiudendo e se non fosse stato un nostro cliente abituale non lo avremmo servito. Ma Pasolini era troppo corretto e gentile per non accontentarlo. Ricordo che erano i giorni in cui si cominciava a discutere di aborto e stavano montando molte polemiche; io avrei voluto chiedergli qualcosa in proposito, ma mio marito mi disse di lasciare stare: era troppo tardi e avrei potuto porgli le mie domande alla prossima occasione. Ci salutammo dicendoci: a presto”.
Un viaggio che si propone di fendere le nebbie del mistero, arrivando sino ad Ostia, girando in un campo attiguo a quello dove Pasolini fu barbaramente ucciso, e dopo un ventennio di abbandono ora sorge il monumento in sua memoria scolpito da Mario Rosati; all’ombra dell’antico torrione dell’idroscalo progettato da Michelangelo come vedetta di navi e orizzonti infiniti.
Per il finale avviluppato dal mistero come la realtà sulla morte violenta di Pasolini, bisogna aspettare ancora un po’, ma abbiamo molto sul quale riflettere per immaginare previsioni possibili, facendo tesoro anche dell’intervista rilasciata a Furio Colombo, quando dice
«Con la vita che faccio io pago un prezzo… È come uno che scende all’inferno. Ma quando torno – se torno – ho visto altre cose, più cose».
Magari anche dello stesso Abel Ferrara, che ha aspettato anni per realizzare il film su Pasolini, e non è estraneo ad ossessioni e dipendenze, anche se di recente si è liberato di quella per la droga, proprio in una comunità del casertano, vicina alla cittadina di Sarno lasciata da suo nonno per inseguire il sogno americano.
«Posso entrare nella sua mente solo attraverso questa sceneggiatura e questo romanzo, non so nulla della sua ossessione sessuale e non so neanche se chiamarla ossessione, o dipendenza, ma quella morte all’idroscalo di Ostia, in un posto sprofondato nel nulla, è il risultato della sua esistenza».
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