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Speciale Roma: La giusta distanza

La giusta distanzaDi Carlo Mazzacurati con Giovanni Capovilla, Valentina Lodovini, Ahmed Hafiene, Giuseppe Battiston, Ivano Marescotti, Fabrizio BentivoglioIl 19 ottobre in Sala Sinopoli alle 22:00 sarà presentato La giusta distanza, film di Carlo Mazzacurati in Concorso alla Festa di Roma. Leggendo la sinossi del film e la presentazione del film da parte del regista, il

17 Ottobre 2007 09:11

La giusta distanza

Di Carlo Mazzacurati con Giovanni Capovilla, Valentina Lodovini, Ahmed Hafiene, Giuseppe Battiston, Ivano Marescotti, Fabrizio Bentivoglio

Il 19 ottobre in Sala Sinopoli alle 22:00 sarà presentato La giusta distanza, film di Carlo Mazzacurati in Concorso alla Festa di Roma.
Leggendo la sinossi del film e la presentazione del film da parte del regista, il film mi ha ricordato le atmosfere di La ragazza del lago.
Spero che questo film, che uscirà il 20 ottobre nelle sale italiane, abbia lo stesso valore artistico e uguale successo di pubblico.
Su continua immagini del film, la sinossi e alcune considerazioni del regista.

In un lembo remoto d’Italia alle foci del Po, c’è un piccolo paese di poche case isolate.
Su questo scenario evanescente si disegna l’incontro tra Hassan e Mara.
Lui è un meccanico tunisino, che con anni di onesto e duro lavoro si è conquistato stima e rispetto, lei una giovane maestra, che una supplenza ha portato lì, in attesa di partire per il Brasile con un progetto di cooperazione.

Giovanni, diciottenne aspirante giornalista, passa molto tempo ad aggiustare una vecchia motocicletta nell’officina di Hassan ed è qualcosa di più che un testimone della storia che nasce tra loro.

Una storia che comincia sotto il segno dell’inquietudine, con Hassan che la notte spia Mara nella casa isolata in cui ha preso alloggio, e lei che dopo averlo scacciato intreccia con lui una relazione.

Ma Hassan non è l’unico a essere attratto da Mara.
E di fronte ad una svolta tragica e inaspettata la vita si dimostra più contorta e dolorosa di quello che appare…

Mazzacurati così presenta il suo film:

“La giusta distanza” è quella che un giornalista dovrebbe saper tenere tra sé e la notizia: non troppo lontano da sembrare indifferente, ma nemmeno troppo vicino, perché l’emozione, a volte, ti può abbagliare.
Ci sono posti in cui il presente sembra arrivato solo in parte.

Concadalbero, il paese immaginario, ma assolutamente plausibile in cui questa storia è ambientata, è esattamente questo, un microcosmo alla periferia della realtà.
Un luogo anonimo, misterioso, struggente.

Siamo nel nord Italia, in quel lembo di terra che nelle cartine geografiche sembra sprofondare nel Mar Adriatico assieme alle ramificazioni arteriose del Po nel suo stadio di Delta.
Ma potremmo anche essere in una piatta area della campagna francese o in un qualsiasi piccolo centro agricolo del middle west americano, o in Argentina, e non credo che la storia cambierebbe molto.

Torno volentieri per la terza volta, in questo luogo da cui sono partito vent’anni fa con il mio primo film: “Notte Italiana”.
Mi interessano i mutamenti, ma anche il senso di fissità e immobilità di questa terra, la sua vastità e la solitudine che evoca.
Per me è come uno strano teatro di posa all’aperto in cui, ogni volta, posso inventare un mondo.

I tre ruoli principali del film sono interpretati da attori alla loro prima esperienza da protagonisti.
Avevo bisogno di creare una totale identificazione tra loro e i personaggi.

In parte lo si potrebbe definire un giallo: c’è un morto, anzi due, qualcuno che indaga, un colpo di scena… ma, per me, è soprattutto il ritratto inquieto di una piccola comunità.

Il tentativo di fotografare, anzi radiografare il sistema nervoso di un paese collocato, appunto, nell’Italia del nord in questi tempi difficili.
Forse il tema del film è “il male” che, come sempre, tutti tentiamo di collocare fuori da noi. Qui “il male” avvolge tutti, compresa la voce narrante.

Durante le riprese, ma anche al montaggio, abbiamo cercato di non forzare nulla, ho accettato gli imprevisti come variazioni che arricchivano.
Ho atteso sempre che un senso di autentico entrasse nelle scene e le orientasse.
Quel che più mi premeva era trovare un mondo e dargli vita.
Oggi che il film è finito, ciò che più mi tocca è la sensazione che questo mondo esista e che preceda e vada oltre l’orizzonte del nostro racconto.

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